TRADIZIONI CARNEVALESCHE
NEL SALENTO
di Valentina Vantaggiato
Gli abitanti della Terra, fin dai tempi remoti, hanno dedicato un certo periodo dell’anno a manifestazioni di momentanea di allegra follia.
Da ciò è nato il “Carnevale”.
Questo termine deriva da “carmen levare”, che, etimologicamente, indica il primo giorno della Quaresima. Ma, sotto prescrizione ecclesiastica, questa ricorrenza è stata collocata tra l’Epifania e le Ceneri, e il suo inizio coincide,
per essere più precisi, con la festa di Sant’Antonio Abate, il 17 gennaio.
Sicuramente, le celebrazioni odierne, non corrispondono pienamente a quelle del passato.
Un tempo, infatti, il Carnevale, valvola di sfogo per le tensioni sociali, veniva accolto con più entusiasmo da coloro che aspettavano con impazienza questo periodo dell’anno per ricoprire un ruolo che, in realtà, non gli apparteneva.
Da questa voglia di libertà nacquero, in epoca romana, i “Baccanali”, dedicati al dio Bacco, i “Saturnali”, votati al dio Saturno, e i “Lupercali”.
In quei giorni sparivano le differenze sociali e il popolo dimenticava la sua miseria, celandola dietro ad una maschera.
In Italia, la tradizione carnascialesca, ha un primato indiscutibile.
Sotto il pontificato di Paolo II, nel 1466, il Carnevale romano ebbe il suo grande momento.
Il Pontefice organizzava personalmente le parate in maschera, pagandole di tasca propria.
Negli attuali festeggiamenti rimangono le sofisticate e sfarzose maschere che si possono incontrare tra le strette calli di Venezia, oppure gli splendidi carri allegorici di Viareggio, o le rievocazioni storiche, come la battaglia delle arance di Ivrea, e, fuori Italia, le notti coloratissime di Rio de Janeiro.
Non è necessario, tuttavia, andare così lontano per recuperare le vere tradizioni carnevalesche.
La Puglia, infatti, può essere fiera del Carnevale di Putignano e di Manfredonia, ma può altrettanto vantare realtà più vicine a noi salentini, realtà che fanno parte delle nostre tradizioni.
Nel Salento, questa festa, era una ricorrenza propiziatoria del calendario contadino; si pensava, infatti, che avesse effetti benefici sulla terra. Le maschere rappresentavano gli esseri
demoniaci che donavano la fecondità ai terreni.
Esiste una dettagliata descrizione delle usanze carnevalesche nel territorio di Maglie, dove, alla fine dell’Ottocento e ai principi del Novecento, tutti i cittadini si adoperavano nell’organizzazione del proprio divertimento, per molti concesso soltanto in questo periodo.
Il popolo era solito allestire delle feste mascherate nelle proprie case, dopo avere, però, ottenuto una licenza del sindaco.
Il prezzo d’ingresso oscillava tra i 15 e i 20 centesimi.
I rappresentanti della media borghesia partecipavano, invece, alle cosiddette “veglie danzanti”, organizzate nei teatri, alle quali si accedeva tramite una tessera, comprata al prezzo di 5 lire.
Nelle ore pomeridiane, un gran carro, rappresentante il Carnevale, girava per le strade del paese, per poi fare, verso sera, il suo ingresso trionfale nel teatro.
Le famiglie gentilizie e i ricchi proprietari si riversavano nei circoli privati, addobbati per l’occasione con finissimo gusto e con particolare eleganza.
In questo periodo tutto il paese era invaso da allegre brigate di cittadini in maschera, da numerosi carri addobbati sfarzosamente dai “ricchi” del paese
e da rustici carretti creati con pochi mezzi dai popolani.
Dopo le sfrenate danze, gli schiamazzi e la tanta agognata allegria, la fine del Carnevale e l’inizio della Quaresima, riportavano tutti alla realtà.
La “gente bene” ritornava ai suoi salotti, ai suoi abbondanti pranzi e alla sua vita agiata, il popolo, dal canto suo, tornava alla miseria di sempre:
“Carniale meu chinu te doje,
ieri maccarruni e osci foje;
Carniale meu chinu te mbroje,
osci maccarruni e carne,
crai mancu foje”
Questo, infatti, non fu un momento facile per Maglie e per il Salento in genere.
Fu un periodo di grave crisi economica e di profonda povertà. Erano sempre più numerosi i contadini disoccupati e sempre di meno coloro che riuscivano a sfamare le proprie famiglie.
E se è vero che“a Carnevale ogni scherzo vale”, è vero anche che, spesso, la vita fa brutti scherzi, creando situazioni di grande disagio a chi vive ai margini della società. Quegli stessi margini che per qualcuno sono sinonimo di vergogna,
per qualcun altro sono, invece, sinonimo di vita, di sopravvivenza e, perché no, anche di speranza.
Il rito di una volta è cambiato. Ieri, tanta voglia di evadere da una realtà triste e scomoda, oggi, la superflua volontà di creare una passerella di luci e colori in un mondo proiettato verso il divertimento e lo spreco.
E anche se i “mostri”, tanto amati dai bambini di oggi, non sono più gli “Arlecchini” di una volta, in questo periodo dell’anno ci fanno ugualmente sorridere. Solo a Carnevale, però…