Tra Mistero e Fascino
di Gianfranco Conese
Qualcosa di inquietante invade il visitatore che valica la porta di questa piccola cappella settecentesca dedicata a San Paolo. Ubicata nelle vicinanze della grande piazza San Pietro, dove troneggia soprattutto la maestosa chiesa Madre dedicata ai protettori di Galatina San Pietro e appunto San Paolo. Per questa cappella non ci passò mai il diavolo, ma diavolesse si.
Ogni galatinese che viaggia sui sessant’anni ha in mente un giorno fatidico: il 29 giugno, la grande festa patronale dedicata ai SS. Pietro e Paolo.
Oltre le luminare, la banda, le bancarelle, c’era qualcosa di oscuro che eccitava la folla che fin dall’alba si raccoglieva intorno alla cappella di San Paolo. Ecco un mormorio, un ondeggiare della folla che inquieta ma eccitata, si apriva al passaggio delle “tarantate”.
Queste rigorosamente vestite con sottane di cotone bianco, come una tunica mistica, protette dai familiari, ma già stravolte, guadagnavano l’entrata della chiesetta mantenuta semi chiusa dagli stessi parenti che sconsolati e nella vergogna, cercavano di difendere la privacy delle loro malate.
Iniziava poi il rituale mistico fatto di urla e di lamenti e di antichissime nenie, quasi formule magiche, ad invocazione a “Santu Paolu meu de Galatina”, perché le guarisse dal male oscuro. Alcune ripetevano le movenze del ragno assassino sempre tra urla e preghiere rotolandosi per terra, altre, le più assatanate saltavano sull’altare cercando di toccare o graffiare la tela (fortunatamente ora restaurata) che riproduceva San Paolo che schiaccia un serpe e la taranta.
Infine al culmine del patos emotivo, si apriva la porta della chiesa e le povere donne si catapultano fuori tra la folla urlando e rotolandosi per terra su lenzuola bianche stese dai parenti. In alcuni casi si avventavano anche contro qualche curioso reo di indossare una camicia a colori forti, attratte dal rosso o dal giallo.
Nelle vicinanze della chiesa venditori di santini offrivano per poche lire ventagli di cartone a bandiera con l’immagine accoppiata di San Pietro e San Paolo. Legate all’asta della banderuola, spiccavano nastri di seta dai colori diversi ma vivaci chiamate “zagareddre”.
Avevano il compito, portate a casa e disposte a muro vicino al lettone matrimoniale, di difendere la famiglia dalla disgrazia e dal malocchio del ragno e dalla malattia. (Ancora oggi , il giorno 29 e 30 giugno, in occasione della festa patronale e della devozione a San Paolo è possibile trovarle come sou- venir). Inoltre secondo la tradizione vi era un legame simbolico con i colori perché non vi era un unico ragno, ma tanti tipi di taranta con propri “temperamenti”, così vi era la pizzicata attratta dal rosso che era stata morsa dalla taranta rossa, quella ipnotizzata dal verde aveva dentro la taranta verde e così via.
Per capire “quale” ragno aveva pizzicato la tarantata, all’inizio della “terapia” venivano mostrati alla donna vari nastrini colorati tra cui sceglieva quello corrispondente al colore della taranta che l’aveva avvelenata e in base a questo colore si eseguivano anche le musiche corrispondenti. Le tarantate infatti non ballavano con ogni tipo di sonorità ma solo sentendo una determinata musica che “scazzicava” una determinata taranta.
È stata esclusa ormai da molto tempo l’ipotesi medica della semplice pazzia e degli attacchi epilettici, in quanto il Tarantismo è un fenomeno complesso in cui, accanto a sintomi di malessere fisico, troviamo sintomi psicologici intrecciati ad aspetti sociali.
Esso presenta infatti vari aspetti che lo allontanano da una spiegazione medica o psichiatrica, come, per esempio, il fatto che non vi siano mai stati casi di Tarantismo a Galatina, gli abitanti della città di San Paolo ne erano immuni, oppure che quasi tutte le “pizzicate” erano di origine umile. Il fenomeno, inoltre, si ripeteva periodicamente ad ogni ritorno dell’estate e vi era un legame simbolico con i colori perché non vi era un unico ragno ma tanti tipi di taranta con propri “temperamenti”.
Galatina (LE) – Cappella di San Paolo – Tre drammatici momenti della danza
La terapia contro il morso del ragno finiva lì. Le disgraziate dopo aver bevuto alcuni sorsi d’acqua – presa dal pozzo miracoloso dedicato a San Paolo (alle spalle della chiesetta) -, e vomitandola in alcuni casi, cadevano in uno stato di semi coscienza o di stress psichico. La grazia avveniva così.
Ritornando nelle loro campagne era- no guarite, ma solo per un anno, l’attesa era per il 29 giugno dell’anno successivo.
Il dramma della donna contadina continuava sempre.
Ma chi erano le “Tarantate”?
Donne, contadine e analfabete che in un mixer di isteria depressiva e manifestazioni epilettiche, chiedevano la grazia a San Paolo per liberare il proprio corpo e cervello dal veleno del morso del ragno.
Ancora negli anni ’60, era vivo il retaggio di queste credenze popolari ampiamente diffuse nell’antichità nell’area mediterranea, dove cristianesimo e paganesimo dionisiaco ancora convivevano: non per niente il Salento fu terra greca. Inoltre in queste terre non si conoscono ragni dal morso pericoloso, ne mai scientificamente la clinica medica ha sottolineato casi di avvelenamento da morso di ragno cosi eclatanti.
La tarantola (lycosa tarentula), dall’aspetto vistoso e dal morso doloroso è praticamen-te innocua.
Il fenomeno del tarantismo seguiva comunque dei rituali: colpiva generalmente giovani donne nel periodo estivo, quando cioè i lavori nei campi diventavano particolarmente pesanti (mietitura e trebbiatura) e la donna subiva in maniera esasperata la sua posizione subalterna al marito e a tutta la comunità di appartenenza.
Quando si manifestavano i sintomi del tarantismo, (frenesia, crisi nevrasteniche, irritazione), la famiglia della sfortunata, chiamava dei suonatori che tentavano la guarigione con una musica ritmica ed ossessiva a base di tamburello e violino (la pizzica).
La musica che poteva andare avanti per ore ed ore con ritmo sempre più ossessivo, spingeva la donna a ballare (una primordiale musicoterapia) fino allo sfinimento, togliendo così l’energia negativa fino alla presunta guarigione.
Ciclicamente ogni anno, all’inizio dell’estate e per molti anni di seguito, il soggetto venendo colpito da questo malessere interiore ed esteriore, poteva essere curato, mediante un rito di purificatorio che doveva essere svolto solo a Galatina nella cappella dedicata a San Paolo nel gior-no della sua ricorrenza.
Quindi il 29 giugno da tutto il Salento e dal Brindisino si convogliavano a Galatina decine e decine di donne colpite da questo male. Addirittura i nostri nonni raccontano di decine di “Traini” (carretti) cariche di queste povere donne che già nella notte della vigilia arrivavano pernottando sul sagrato della Chiesa Madre, in attesa dell’alba del 29 giugno per entrare nella cappella di San Paolo.
Curiosa però la tradizione che voleva tutta la comunità di Galatina immune da questo male perché protetta da San Paolo, per cui i galatinesi (già imborghesiti) hanno guardato sempre con molta sufficienza queste manifestazioni.
Nello studio sistematico del tarantismo confluiscono diverse discipline come: etnologia, psicologia, storia delle religioni, mitologia, estetica, medicina, antropologia culturale, etnomusicologia, zoologia, psichiatria. Il fenomeno è apparso sempre molto complesso per poterlo classificare come semplice frutto di ignoranza e credulità popolare delle popolazioni più arretrate del sud.
Il termine tarantismo, come sostiene Baglivi, medico dalmata del ’700, potrebbe derivare dal nome della città di Taranto perché essa era una città importante ai tempi dei Greci e dei Romani e quindi vi si recavano gli ammalati dalle regioni vicine per essere curati o perché, come sostengono altri autori, i primi casi di tarantismo sono stati osservati nei dintorni di questa città
Le origini del tarantismo sembrano perdersi nella notte dei tempi. Carieri colloca l’apparizione del fenomeno nel periodo dell’impero romano e spiega l’esistenza della terapia musicale come retaggio dei culti greci a Taranto , città pugliese della Magna Grecia.
Successivamente De Martino riporta testimonianze medioevali della sua esistenza. L’analisi degli antecedenti classici del tarantismo fa emergere un collegamento con i riti catartici in cui la musica veniva usata in modo terapeutico, per liberare da disturbi fisici e psichici chi si credeva posseduto da demoni, spiriti di morti e eroi.
Lanternari , cui si rimanda per ulteriori approfondimenti, ha invece svolto un importante lavoro di ricerca in cui emerge come il fenomeno del tarantismo possa richiamare gli stati di possessione rituali delle società tribali africane, afro-brasiliane, afro-cubane e afro-haitiane, ad esempio la Macumba e il Vodoo.
Questo Autore sottolinea la funzione che tutti questi fenomeni hanno a livello sociale: permettere agli individui poveri ed emarginati di essere al centro dell’attenzione e di far defluire i conflitti derivati dalle precarie condizioni esistenziali.
Una svolta decisiva ed innovativa nell’analisi antropologica del tarantismo è stata offerta da De Martino – Egli ipotizza che il tarantismo si sviluppi in un contesto sociale peculiare, in cui la vita delle persone, in particolare delle donne, si svolgeva tra gli stenti e le rinunce. Il tarantismo offriva una volta l’anno la possibilità di riscattarsi sul piano sociale, di essere qualcuno, di dimenticare le preoccupazioni, di sfogare la rabbia repressa, di superare i traumi subiti. Proprio la donna, infatti, era sottomessa a rigide restrizioni in campo affettivo e sessuale: essere tarantata permetteva una sorta di catarsi all’eros precluso, ai conflitti e ai dolori. La crisi, ritenuta causata dal morso, insorgeva in momenti critici dell’esistenza, quali la fatica del raccolto, la crisi della pubertà, la morte di qualche persona cara, un amore infelice o un matrimonio sfortunato.
Il tarantismo, dunque, viene considerato da questo Autore non come un disordine psichico, nel quale trovava soluzione una crisi nevrotica , ma un meccanismo per far defluire i conflitti psichici irrisolti e latenti dell’inconscio, sommati a quelli di ordine sociale (povertà e sudditanza alla famiglia.
Georges Lapassade, antropologo, considera il tarantismo un culto di possessione, una forma di esorcismo e contemporaneamente di adorcismo, fenomeno in cui lo spirito che possiede la persona diventa un suo alleato. Egli associa il rituale della danza della tarantata alla macumba brasiliana ed alle cerimonie che si svolgono nelle case in Marocco, ipotizzando che tali riti terapeutici siano tutti “dispositivi ipnotizzatori”, in grado di provocare uno stato di trance. Quest’ultimo si otterrebbe attraverso i ritmi musicali, come comproverebbe il fatto che la tarantata, durante la danza, indugia vicino ai suonatori, come fascinata o “ipnotizzata” dagli strumenti, in particolare dal tamburello e dal violino. Secondo questo studioso, nella situazione di trance, il ritmo ossessivo, ripetitivo, apparentemente monotono, ma in realtà estremamente complesso, dei tamburi, in un primo tempo accolto come un fatto esterno, viene poi percepito come un prodotto all’interno della scatola cranica. Per Lapassade è il ritmo a provocare “l’esplosione” della coscienza, alterandone lo stato e portando alla trance. Egli inoltre sottolinea che in Puglia, come in Brasile e in Africa, la comunità diventa “gruppo terapeutico”, sostiene l’ammalato e collabora alla sua guarigione.