IL MONASTERO DI SAN NICOLA DI CASOLE

dalla distruzione ai giorni nostri

di Alessandro Capone

Università del Salento

Il monastero di San Nicola di Casole, nei pressi di Otranto, fu fondato nel 1098-1099 per volontà del normanno Boemondo I, principe di Taranto e di Antiochia. In breve tempo divenne uno dei più importanti monasteri dell’Italia meridionale e un prestigioso centro culturale. Sotto la guida del colto abate Nettario (1219-1235) si sviluppò un circolo poetico la cui produzione testimonia una notevole vivacità letteraria. A Casole, che doveva possedere anche una grande biblioteca, furono copiati parecchi manoscritti ora conservati in numerose biblioteche italiane e straniere.

Monastero di San Nicola di Casole

Tuttavia la parabola del monastero, che rappresentava un punto di raccordo tra Oriente e Occidente, si interruppe bruscamente alla fine del XV secolo. L’esercito turco, guidato da Akmet Pascià, si presentò alle porte della città sul finire del luglio 1480: Otranto fu espugnata l’11 agosto e in quello stesso giorno fu trucidato il vescovo Stefano Pendinelli con tutti i fedeli che assistevano alla celebrazione in cattedrale. La furia non risparmiò cose e uomini – è ben noto il sacrificio degli 800 martiri –, in città e nella campagna circostante, compreso il monastero di Casole. Il Laggetto nella sua Storia (1537) riferisce che, durante l’occupazione, i Turchi si erano fortificati nella città e avevano trasformato l’abbazia, che ben si prestava per la posizione geografica (sul monte Idro), in una sorta di posto di guardia con scuderia e magazzino dell’esercito, da qui partivano per depredare i casali vicini.

Esiste una tradizione, testimoniata da Francesco Maria De Aste, vescovo di Otranto (1690-1719), secondo cui solo un monaco casolano si sarebbe salvato dalla strage, fuggendo dalla città idruntina, dove sarebbe ritornato l’anno successivo al seguito del duca Alfonso d’Aragona che riconquistò Otranto. Il monaco sopravvissuto, che ha dato lo spunto per un recente romanzo (R. Gorgoni, Lo scriba di Casole, Besa 2004) avrebbe scritto tre opere: sulla storia del monastero, sull’assedio di Otranto e un panegirico in onore dei martiri, tutte perdute.

Il primo riferimento al monastero distrutto si legge nel Liber de situ Iapygiae di Antonio de Ferrariis, detto il Galateo (1444-1517), il quale esercitò la professione di medico in varie città, tra cui Napoli, dove acquistò rinomanza tale da diventare assiduo frequentatore della Corte e membro della famosa Accademia Pontaniana. Nel 1481 il Galateo partecipò alla riconquista di Otranto da parte degli Aragonesi.

La sua opera, composta tra il 1512 e il 1513, quindi circa un trentennio dopo l’attacco turco, è una descrizione della penisola salentina. Ecco il passo in cui l’autore dà uno spaccato della storia e dell’attività del monastero: «Dopo il porticciolo, a una distanza di un miglio e mezzo, viene un cenobio dedicato a San Nicola, dove risiedevano i monaci del grande Basilio […] Chiunque volesse dedicarsi alle lettere greche riceveva da loro, senza alcuna ricompensa, la maggior parte del vitto, un precettore e un alloggio. In tal modo la cultura greca, che perde ogni giorno terreno, ne traeva sostegno. Ai tempi dei miei proavi, quando ancora esisteva l’Aula costantinopolitana, vi soggiornò il filosofo Nicola da Otranto, del quale il monastero conservava numerosi libri di logica e di filosofia, redatti prima del passaggio dei Turchi. Egli, dopo che fu eletto abate del monastero e fu soprannominato Niceta, fu spesso inviato dal sommo pontefice presso l’imperatore e viceversa, allorché fra l’uno e l’altro sorgeva una controversia in materia di ortodossia o su altri soggetti […] Senza badare a spese allestì in questo cenobio una biblioteca di ogni genere di libri che gli riuscì di trovare in tutta la Grecia. Di essi il maggior numero è andato perduto per la negligenza dei Latini e per la caduta di interesse verso le lettere greche, mentre una quota non piccola è stata trasferita a Roma, presso il cardinale Bessarione [1400-1472], e da lì a Venezia. La parte restante è stata spazzata via dalle guerre portate dai Turchi, i quali devastarono il monastero».

Rovine del Monastero di San Nicola di Casole

Da queste parole emerge come Casole fosse davvero un centro culturale di primo livello e come i monaci che un tempo – significativo l’imperfetto – lo frequentavano rivestirono incarichi diplomatici assai delicati. Il Galateo purtroppo non ci dà una descrizione delle condizioni in cui versava il monastero; di certo, però, se ne ricava l’idea del completo abbandono e l’assenza di qualsiasi iniziativa di ricostruzione.

L’abbandono del monastero continuò fino al 1527, anno in cui Clemente VII (1523-1534) emanò la bolla Ad apostolicae dignitatis, con la quale concedeva privilegi ad Otranto per riparare i danni causati dai Turchi e consigliava che almeno una terza parte dei frutti dell’abbazia di Casole, «degna della più grande venerazione» e «distrutta e trasformata in stalla per animali», venisse utilizzata per riparare la chiesa stessa. L’appello del pontefice fu ascoltato, come dimostra la testimonianza di Pietro Antonio De Capua, arcivescovo di Otranto (1536-1579), che il 18 settembre 1538, visitando la chiesa, poté ascoltare messa e incontrare l’abate e alcuni monaci; questi, però, non erano più greci, ma latini e di rito latino.

Datato al 25 aprile 1665 è l’inventario analitico di tutti i beni del monastero redatto dal notaio Carlo Pasanisi. Questo documento preziosissimo, conservato presso l’archivio di Stato di Lecce, oltre a darci un elenco dettagliato di tutti i possedimenti del monastero, ci offre anche una minuziosa descrizione del complesso: la chiesa, corredata di tutto il necessario per un corretto funzionamento, si affaccia su un vasto cortile interno. Due cappellani celebrano la messa. Lungo il lato sinistro del cortile c’era una “Lamia”, cioè una casa di campagna rustica con tetto a volta, per la quale si accedeva a una saletta con cucina e cinque celle quasi distrutte. Vi era una casa detta “lo molino” e nei pressi un antico forno detto “lo molino vecchio”. In quello stesso luogo si trovavano dei locali ormai in rovina che raccoglievano molte pietre antiche. Nei pressi della chiesa c’erano ancora delle “curtes” con pecore e capre. Sul lato destro vi erano altri edifici decadenti, un giardinetto al fianco della chiesa al quale si accedeva da una porticina della chiesa stessa e, infine, una cisterna sconnessa e mal funzionante. La descrizione del notaio è di fondamentale importanza sia perché ci consente di avere un quadro realistico della struttura, non molto diversa dall’attuale, sia perché testimonia lo stato di rovina in cui il complesso versava; se nella chiesa si svolgeva l’attività liturgica, il caseggiato aveva assunto una funzione affatto diversa: l’abbazia di San Nicola di Casole era a tutti gli effetti diventata una masseria, qual è tuttora.

Monastero di San Nicola di Casole (quel che resta)

Non è qui possibile ripercorrere tutte le altre testimonianze sulla storia di Casole distrutta. Ricordiamo solo da ultima quella di Cosimo De Giorgi (1842-1922), il quale tenne la cattedra di Storia Naturale presso la Scuola Tecnica-Normale di Lecce, dove iniziò la sua attività di studio dell’ambiente salentino sotto i punti di vista più svariati. I risultati della sua intensa attività sono contenuti in molti scritti, tra i quali i due volumi dal titolo La Provincia di Lecce, che costituiscono un singolare compendio dei suoi interessi scientifici e delle sue qualità umane. Proprio nel secondo volume di quest’opera (1888) egli fornisce un ritratto dettagliato del monastero della chiesa di Casole: «La facciata della chiesa fu in parte rinnovata un paio di secoli fa e non serba alcun vestigio dell’antico. L’interno è ad una nave, divisa in due compartimenti trasversali con due piani diversi nel pavimento. Nel punto di divisione si vede un arco ogivale sovrapposto a due fasci di colonne alte ed esili che si sfioccano formando i cordoni della volta nel compartimento posteriore. L’anteriore corrisponde al tempo della facciata. Quelle colonne polistile, addossate alle due pareti volte a Nord e a Sud, sono uno dei pochi esempi dell’architettura gotica in Terra d’Otranto. L’abside antica è stata anche trasformata in un semiesagono irregolare e il vuoto di essa è occupato da un altare barocco del seicento. Di questo tempo è pure l’Annunziata, dipinto nel fondo dell’Abside […] L’interno era tutto decorato di pitture di santi con iscrizioni greche sulle pareti. Oggi resta ancora un San Nicola di grandi proporzioni […], ma ha perduto la faccia per lo scrostamento avvenuto nell’intonaco. Ai due lati vi sono due figure, rappresentanti i due Santi Medici […] nella parete volta a Sud del primo compartimento. In quella volta a Nord si vede un San Leonardo […] questa pittura di carattere del tutto diverso da quelle sopra accennate, è più recente, e deve riferirsi senza dubbio ad uno dei tanti restauri […] Indi segue la pittura non antica, rappresentante S. Basilio […] siede dinanzi a un tavolo, ed è vestito di paramenti sacri alla greca, e sopra un cartello si legge: S. Basili […] La chiesa è in uno stato miserevole, perché ridotta a deposito di fieno e di attrezzi rustici; sicché quelle pitture fra non molto scompariranno, e dell’antico Cenobio non resterà altro che il nome. Tal sorte ha di già subito l’Abbazia e se ne vedono appena le tracce fra le nuove costruzioni della fattoria».

La profezia di C. De Giorgi si è avverata: la chiesa è completamente distrutta, tranne che per un lato ancora in piedi. Il crollo deve essere avvenuto probabilmente nei primi decenni del Novecento, come attesta un’anziana nata a Casole. Il complesso architettonico è oggi noto come masseria “Santu Nicola” e i locali sono adibiti a deposito di attrezzi o a stalle per il bestiame. Entrando dalla parte dell’antico accesso dell’abbazia, che si trova all’opposto dell’ingresso attualmente principale, ci si trova in un cortile, al centro del quale vi è una cisterna, sormontata da un puteale, ricavato forse da un altare (foto 1). Proprio di fronte si possono ammirare le rovine della chiesa (foto 2). Fortunatamente il lato sinistro (foto 3), su cui si osservano ancora esilissime tracce di affreschi (foto 4), è rimasto in piedi grazie al sostegno della costruzione adiacente, mentre la zona absidale e il lato destro sono andati pressoché distrutti (foto 5). Della gloria di Casole rimane dunque ben poco, ma un restauro diligente potrebbe contribuire a preservare le attuali vestigia e restituire informazioni assai importanti per la cultura salentina e per la comunità scientifica.