Salvatore Todaro
Dopo aver letto il toccante articolo “Il Capitano” del prof. Andrea Tarantino, pubblicato sulla rivista “il filo di Aracne”, ho sentito la necessità di rievocare la storia del Capitano di Corvetta Salvatore Todaro.
Il nome ai più non dirà niente, ma per chi come me ha passato gran parte della sua vita in Marina, quella di Salvatore Todaro, è un figura mitica sia per il suo grande coraggio, ma soprattutto per l’umanità profonda che è insita nell’animo di ogni marinaio.
Salvatore Todaro è senza dubbio uno dei più sconcertanti personaggi della seconda guerra mondiale, denominato dagli amici e dai nemici “Il corsaro gentiluomo”.
Entrato come Allievo nell’Accademia Navale di Livorno nel 1923, ne era uscito nel 1927 con il grado di Guardiamarina e dopo un corso di osservazione aerea viene imbarcato su varie unità subacquee e di superficie con diversi incarichi.
Nel 1933, durante un volo di addestramento l’S. 55, l’aerosilurante su cui era imbarcato come osservatore, si infilò in mare a causa del siluro agganciato sotto la carlinga. L’incidente procurò al Todaro la frattura alla colonna vertebrale che lo costrinse a portare il busto per il resto della sua breve vita.
Nel 1940, raggiunto il grado di Capitano di Corvetta, dopo una breve esperienza sul sommergibile Manara, fu assegnato al comando del sommergibile atlantico Cappellini e allo scoppio della guerra fu inviato alla base atlantica di Betasom a Bordeaux per affiancare gli U-boot tedeschi nella Guerra dell’Atlantico contro i convogli sulle rotte marittime tra Stati Uniti e Gran Bretagna.
Todaro non era un un pivellino, era amatissimo dai membri del suo equipaggio che lo chiamavano “Mago Bakù” (sembra, infatti, che Todaro avesse la capacità di prevedere in anticipo l’esito delle missioni alle quali erano destinati), e soprattutto erano affascinati dal suo modo di combattere.
Salvatore Todaro, probabilmente a causa dell’incidente accorsogli, non aveva molta fiducia nell’efficacia dei siluri, per questo preferiva affrontare le sue prede in superficie, a cannonate, tattica che gli strateghi della guerra sottomarina definivano folle, ma che esaltava l’equipaggio.
Il 16 ottobre 1940, durante una missione di contrasto al largo dell’isola di Madera, Todaro, con il sommergibile Cappellini, intercettò il piroscafo belga Kabalo, nave dispersa del convoglio inglese OB.223 che trasportava pezzi di ricambio aeronautici e munizioni, e tentò di colpirla con tre siluri che però mancarono il bersaglio. Emerso in superficie lo affondò a colpi di cannone.
L’equipaggio del Kabalo riuscì a calare in mare solo una scialuppa di salvataggio. Todaro, dopo l’affondamento che non aveva provocato vittime, accostò, trasse a bordo del sommergibile i marinai caduti in mare e, presa a rimorchio la scialuppa con gli altri “nemici”, fece lentamente rotta verso le Azzorre per metterli in salvo.
Nonostante il mare grosso che spezzò varie volte il cavo di rimorchio e il rischio di essere intercettati dal nemico, il smg. Cappellini riuscì a raggiungere le coste delle isole Azzorre e mettere in salvo i 26 uomini dell’equipaggio del Kabalo trasbordandoli a terra quattro alla volta con un piccolo battellino gonfiabile.
I giornali di tutta Europa parlarono della vicenda come di un “barlume meraviglioso di umanità e cavalleria” in una guerra spietata, mentre l’ammiraglio tedesco Karl Donitz non apprezzanndo il gesto del Comandante Todaro lo definì ironicamente il “Don Chisciotte del mare”, ma la risposta di Todaro fu “Il fatto ammiraglio è che io in quel momento sentivo sulla schiena il peso di molti secoli di civiltà. Un ufficiale tedesco, forse, non avrebbe sentito quel peso”.
Alba del 5 gennaio 1941. Il Cappellini è in perlustrazione sulla rotta dei piroscafi che trasportano uomini e materiale bellico. Zona di operazioni, questa volta, è l’Atlantico centrorientale. Avvistato il piroscafo “Shakespeare”, Todaro ordina l’attacco: come al solito in superficie, a cannonate. Lo “Shakespeare”, però, è bene armato e risponde al fuoco, ma il sommergibile italiano si fa sotto, dove la portata dei suoi colpi è micidiale. Nello scontro il Cappellini perde un uomo, ma lo Shakespeare, più volte colpito sulla linea di galleggiamento affonda. Ancora una volta, Todaro fa prevalere l’umanità sulle leggi della guerra: raccoglie venti naufraghi su una scialuppa e li traina verso l’Isola del Sale, nel gruppo delle Isole di Capo Verde. A bordo del sommergibile viene trasportato solo il comandante del piroscafo, gravemente ferito. Durante la notte il cavo di rimorchio si spezza. Ci vogliono due ore di ricerche per ritrovare la scialuppa che intanto stava affondando a causa dell’acqua che le alte onde atlantiche riversavano continuamente sul fondo della grossa barca nonostante i marinai cercassero disperatamente di ributtarla in mare con grossi barattoli. Todaro non vuole che i naufraghi corrano altri pericoli e ordina che siano presi a bordo e sistemati in coperta e nella falsa torre. Naviga così in superficie, allo scoperto, per un giorno e mezzo, quindi sbarca i superstiti inglesi all’isola del Sale, il suo nome e il suo mito varcano la Manica.
Passano appena pochi giorni ed è il terzo appuntamento col destino.
È l’alba dei 14 gennaio, le vedette avvistano un grosso piroscafo britannico, è armato con due cannoni e naviga veloce. Si chiama “Eumaeus”.
L’attacco avviene dopo un lungo inseguimento.
La nave inglese ha inizialmente il sopravvento, perché i suoi cannoni hanno una gittata più lunga di quelli del sommergibile italiano, ma quando il Cappellini riesce a farsi sotto, i suoi colpi micidiali spazzano la coperta della nave. I cannoni inglesi continuano a sparare. “Ma quanta gente c’è a bordo, quanti uomini?” Todaro se lo chiede quando s’accorge che, nonostante il piroscafo sia rimasto gravemente colpito, l’intensità dei suoi colpi non diminuisce.
Nel frattempo, uno dei due cannoni del sommergibile viene colpito e messo fuori uso, un ufficiale gravemente ferito e un cannoniere scelto colpito alla testa. Anziché rinunciare, Todaro spinge il sommergibile ancora all’assalto: l’unico cannone diventa rovente per il ritmo dei colpi.
Il cannoniere ferito si scrolla via il sangue dalla fronte con una manata, come fosse sudore e rimane al suo posto.
Todaro lo guarda: vorrebbe decorarlo li, in piena battaglia e lo fa, a modo suo: “Da questo momento – gli dice – sei autorizzato a darmi del tu. E sarai l’unico che potrà dirmi, tu, comandante“.
Centrato da una serie di colpi sulla linea di galleggiamento l’Eumaeus inizia ad affondare lentamente.
Todaro se ne avvede, ma ha fretta.
Dal momento dell’attacco sono passate due ore ed èmolto probabile che altre navi o aerei nemici si stiano avvicinando al teatro della battaglia in soccorso della Emmaus; non può rischiare.
Si avvicina ancora al piroscafo e da una distanza inferiore ai settecento metri fa partire per la prima volta un siluro.
L’esplosione segna la fine della nave: ma da essa cominciano a uscire uomini, in continuazione. Si scopre così che si trattava di una nave trasporto truppe, con a bordo tremila soldati inglesi. Per loro non c’è nulla da fare, non dispongono neppure di una lancia di salvataggio.
Il pericolo è concreto: da un momento all’altro il sommergibile può essere avvistato. Todaro ordina l’immersione e si allon tana velocemente dalla zona del combattimento. Ma è stato individuato e deve subire un attacco con bombe di profondità che procurano al sommergibile gravi danni. Restando in immersione un’intera notte e con abili manovre evasive riesce a sfuggire alla caccia e rifugiarsi nel porto neutrale di La Luz, nella Gran Canaria. Rimarrà in porto cinque giorni, poi, effettuate le riparazioni più urgenti, uscirà dal porto beffando cinque navi inglesi che lo attendevano.
Dopo queste imprese, il comandante Todaro è una leggenda.
Resterà al comando del Cappellini ancora per diversi mesi, ma nell’autunno dei 1941, con la consueta prassi di un normale avvicendamento, viene sbarcato.
Torna sul mare coi motoscafi d’assalto.
Partecipa, sempre da temerario, a numerosi scontri, entra a Sebastopoli, contro gli ordini dei tedeschi, alla testa dei piccoli mezzi d’assalto e viene infine inviato a comandare un piropeschereccio, il Cefalo che appoggia i barchini d’assalto nelle missioni più ardite.
Il 13 dicembre dei 1942 parte per una missione notturna, come quasi tutte le notti.
Obiettivo è il porto di Bona, in Tunisia, ma il tempo è pessimo, l’azione non si può effettuare e il piropeschereccio ritorna nel porticciolo di La Galite, che lo ospitava.
Sono le otto dei mattino.
Gli uomini che hanno partecipato all’azione notturna vanno a dormire, tutto è rinviato alla notte successiva, tempo permettendo. Va a dormire anche Todaro, nella sua cuccetta.
Un quarto d’ora dopo, due Spitfire spuntano improvvisamente sull’isolotto diretti verso il porticciolo. La loro preda è il Cefalo: scendono a volo radente, spezzonando e mitragliando. Un marinaio, in coperta, viene colpito a morte e la nave, centrata ripetutamente dalle raffiche di mitragliatrice, subisce gravi danni.
Quando la contraerea riesce a mettere in fuga i due aerei inglesi, si cerca il comandante Todaro.
E’ sempre nella sua cuccetta, con gli occhi chiusi: non s’è neppure mosso. Una scheggia, una sola, gli ha trapassato la tempia.
Aveva solo 34 anni quando il Todaro morì.
Nella sua breve carriera era stato decorato con una medaglia d’oro al valore, tre medaglie d’argento al valore, due di bronzo e due croci di ferro, ma tra i suoi effetti personali fu rinvenuta quella che lui riteneva fosse la decorazione più bella, la lettera di una donna portoghese, forse madre, forse moglie di un marinaio portoghese del Kabalo, che recitava:
“Signore, felice la Nazione che ha degli uomini come voi. I nostri giornali ci hanno riferito del vostro comportamento verso l’equipaggio di una nave che era vostro dovere affondare. Esiste un eroismo barbaro e un altro davanti al quale l’anima si mette in ginocchio: il vostro. Siate benedetto per la vostra bontà che ha fatto di Voi un eroe non soltanto dell’Italia ma dell’umanità”
Con il motto dannunziano “OSARE L’INOSABILE”, dopo una corvetta, oggi un’altra unità della Marina Militare solca il mare con il nome “Salvatore Todaro”: il sommergibile S 526.