Mentre si approntava questa edizione del Filo di Aracne, ha lasciato la vita terrena Pippi Onesimo, uno dei fondatori storici della nostra rivista, con cui ha collaborato ininterrottamente per quasi quattordici anni.
Aveva intitolato la sua rubrica “I racconti della Vadea”, rivendicando quasi con orgoglio identitario il fatto di essere nato “là in mezzo”.
Per lui, come per molti lettori che gradivano sfogliare il Filo di Aracne partendo dalla fine, quella rubrica ha rappresentato uno spazio ideale, quasi un prodigioso recinto che racchiudeva i ricordi più importanti dell’infanzia e l’adolescenza, riesplorati nell’alone di una memoria volta a ridare empatia a quel periodo magico della sua vita (gli anni intorno alla seconda guerra mondiale), segnato dalla povertà e dalla dura fatica nei campi, ma riscaldato da affetti e rapporti umani spontanei e sinceri.
Ad una solida cultura giuridica ed una lunga esperienza di solerte dipendente pubblico, egli affiancava una fine sensibilità letteraria, che spaziava tra i diversi canoni della nostra tradizione nazionale, con scelte personali che lo orientavano verso l’espressione di stampo “neorealista”.
La sua esposizione in prosa di volta in volta diventava narrativa, introspettiva, fantasiosa e sognante, oppure impegnata sul piano sociale. L’effetto rievocativo dei suoi momenti più ispirati lievitava verso la poesia pura, in cui il reale e l’immaginario riescono a fondersi per effetto di metafore visivamente immediate e altamente suggestive nelle implicazioni.
Oltre al gusto episodico della narrazione, i suoi racconti rivelano una estrema attenzione non solo alla forma espressiva, ma anche al codice linguistico adoperato, in cui coesistono due procedimenti distinti, quello dell’approccio informativo articolato nella lingua italiana, ed un altro inframmezzato da brevi incursioni nell’inflessione vernacolare, che riesce a conseguire efficacia realistica e assoluta precisione nella terminologia, conferendo una indiscutibile dignità letteraria al dialetto, come veicolo naturale per i sentimenti più intensamente avvertiti.
Di indole schiva sul piano comunicativo, egli si schermiva di fronte agli apprezzamenti dei suoi lettori, dicendo che per lui la scrittura era solo un hobby per impiegare il tempo in modo gradevole.
E a chi lo esortava a pubblicare individualmente i suoi racconti rispondeva con un sorriso sfuggente: “Ma no. Per me va bene così”. La decisione di coltivare con amore il suo piccolo orticello era in linea con la sua “natura contadina”, da sempre abituata a fare i conti con risorse modeste e con spazi temporali che incalzano e solitamente si misurano su brevi distanze.
Salvo poi a poterne dilatare l’eco, dandole un’impronta più durevole e diversamente coinvolgente. Ma questo è, almeno in parte, il compito di chi rimane.
E il “filo di Aracne” intende onorare tale impegno, serbando affetto e riconoscenza verso l’amico scomparso.
Di te, caro Pippi, e scusaci se solo per questa volta utilizziamo la lettera “P” maiuscola invece della tua preferita minuscola, ricorderemo i pochi ma preziosi interventi durante le riunioni di redazione. Le tue considerazioni giungevano nei momenti opportuni ed erano sempre giudiziose, pacate e in nessun caso ridondandanti o superflue.
Mai che ci sia stato uno screzio tra di noi, un battibecco, un benché minimo litigio.
Ci mancherai tanto, caro amico, perché ci verranno a mancare i tuoi preziosi scritti, sempre pregnanti di un velo soffuso di sofferenze e di dolore ma anche di tanta voglia di riscatto della brava e buona gente di allora.
Ci hai fatto riassaporare la vita grama e semplice d’un tempo, fatta di pochi momenti di felicità e tante, tante privazioni e disagi, che noi ragazzini mal sopportavamo.
Bastava poi una rincuorante carezza della mamma e un mezzo sorriso paterno per farci dimenticare tutto, languori di stomaco compresi. Hai descritto ogni cosa con l’innato garbo, la sensibilità e l’amore che non ti sono mai mancati.
Grazie e buon viaggio, caro amico pippi. ●