Lu commissariu “P“
di Salvatore Chiffi
Correvano gli anni ’60. Tra i tanti personaggi dell’epoca che “ornavano” la vita cittadina di Nardò c’era un tale che di cognome faceva Pinna, il nome era invece Cosimo, ma tutti lo chiamavano col diminutivo “Cusimino”, (piccolo Cosimo) sebbene di statura fosse ben oltre la media.
Quello che caratterizzava il personaggio, però, non era la statura, ma il fatto che sia d’estate che d’inverno, sia di mattino che di sera, era solito inforcare sul naso leggermente adunco un paio di occhiali dalle lenti vistosamente giallo zafferano, tanto che i paesani lo indicavano come “quiddhru ca porta li ‘cchiali ti scapece”(scapece: pesce fritto e fatto marinare tra strati di mollica di pane imbevuta con aceto e zafferano all’interno di tinozze chiamate, in dialetto gallipolino, “calette”.
D’intelligenza indubbiamente assai viva Cusiminu aveva il “dono” di rilevare a prima vista i difetti, anche i più piccoli, che madre natura ha affibbiato ad ognuno di noi, la forma del cranio, quella del naso, del mento, il modo di camminare, di parlare ecc., e trovava poi il giusto soprannome per “marchiare” i malcapitati.
Tutto era al vaglio della sua perspicace ed attenta osservazione.
Aveva però un difetto, molto rilevante: non sapeva trattenere per sè le sue osservazioni ed era portato a “malangare” (parlar male) di tutti e, quando stuzzicato, non riusciva a metter freno alla sua malalingua e dalla sua maldicenza non si salvava nessuno.
Per questo suo modo di fare ed essere molti lo evitavano, tant’è che fu addirittura rimosso dall’impiego che rivestiva in Comune e mandato via perché oltremodo invadente.
Si racconta, infatti, che quando svolgeva le sue mansioni di impiegato presso il Comune, era solito intromettersi continuamente nell’operato degli altri colleghi, censurandone senza ragione la loro attività, spiando negli incartamenti e negli uffici non di sua pertinenza, compreso l’ufficio del Sindaco, del Segretario Comunale, criticando poi pubblicamente le loro competenze e il loro operato in maniera sfacciata e intollerabile.
Grazie al servizio prestato in Municipio e alla sua buona memoria, conosceva vita e miracoli, fatti e misfatti di buona parte dei cittadini e se qualcuno, non escluse le forze di polizia e gli organi fiscali, aveva bisogno di conoscere particolari e riservate informazioni su qualcuno, poteva tranquillamente rivolgersi a Cusiminu.
Probabilmente fu questa sua attività investigativa su tutto e tutti che indusse la gente ad affibbiargli la qualifica di “Commissariu”.
Lui ne fu lusingato perché l’appellativo di “Commissariu” gli conferiva autorità e uno “status” privilegiato che lo innalzava dal baratro della nullità nel quale era piombato dopo la cacciata dal Comune e gli conferiva, inoltre, una qualifica dai più ritenuta vera e reale.
Questa “carica”, fra l’altro, gli rendeva dei vantaggi economici perché, venuto meno lo stipendio di impiegato comunale, le persone che non erano a conoscenza della sua radiazione, continuavano a fargli richiesta di informazioni e di disbrigo pratiche presso il Comune, nonché di rilascio di certificati vari.
Il suo posto, però, non era più dietro un bancone o una scrivania all’interno degli uffici comunali a lui ormai inibiti, ma all’esterno, nelle vicinanze dell’ingresso al Municipio.
Sostava lì tutto il giorno, in piedi, col bello e cattivo tempo, avvolto in un impermeabile come quello del famoso “tenente Sheridan”, che gli conferiva un’aria di “Commissariu” più veritiera e autorevole, con i suoi sempiterni occhiali color “scapece”, in attesa che qualcuno gli chiedesse il suo intervento, per il quale poi chiedeva la ricompensa. Doveva pur vivere!
Le ore non “lavorative” il “commissariu” le trascorreva sostando nei pressi dello storico bar “La Triestina”, situato in Piazza Salandra, da dove si poteva dominare la folla di braccianti e manovali che sul far della sera erano soliti accalcarsi in Piazza in cerca di una “sciurnata ti fatia” (giornata di lavoro).
Sprezzante con tutti, non dismetteva la sua arroganza neppure sulla pubblica via, tanto da provocare sonore pernacchie da parte dei tanti giovinastri che lo incontravano e che irrispettosamente lo apostrofavano “lu Commissariu Ppi, lu Commissariu Ppi!”.
“Lu Commissariu” in queste occasioni abbandonava il consueto solenne portamento, li inseguiva furiosamente per le vie del paese inveendo contro di loro con irripetibili espressioni rivolte alle loro madri, sorelle e avi, finchè non era costretto a fermarsi col fiato alla gola.
Uno dei suoi bersagli preferiti era Cricoriu “lu sgherru”, un bracciante agricolo, suo vicino di casa orbo di un occhio ed eternamente “alticcio”. Quando le strade dei due si incrociavano erano scintille e gli sfottò fra i due nascevano spontanei tra il divertimento degli astanti:
“Cricò, ndi bii latte?” (Gregorio ti piace bere latte?) – sfotteva il Commissariu Ppi;
“Si, ci la vacca mangiava ua!” (Certo se la mucca mangiasse uva!) – gli rispondeva subito Cricoriu.
Oppure:
“Gesù Cristu mia famme ‘na crazia, ceca l’uecchiu a cinca ndae unu!“ (Gesù mio, fammi una grazia, acceca l’occhio a chi ne ha solo uno!)
“Si cusì iò esciu cu l’uecchi ti ddhra puttana ti mammata!” (Si così poi io vedo con con gli occhi di quella puttana di tua madre!).
E ancora:
“Cricò, quando vai allu campu pi la partita cerca megghiu cu paji lu bigliettu sanu, addhru ca’ mienzu comu li piccinni!” (Gregorio, quando vai al campo a vedere la partita paga, piuttosto, il biglietto intero e non la metà come i bambini!);
“Ca ci iò cu n’uecchiu sulu isciu mienzu campu piccè aggiu pacare lu bigliettu sanu?” (Ma se io ho un solo occhio e vedo metà campo, perché devo pagare il biglietto intero?).
…e il più delle volte dalle parole i due passavano ai fatti.