Spesso mi sono soffermata a pensare e riflettere su come sarebbe stata la mia vita se non avessi avuto un Lavoro; ma mi soffermo a pensare ancora più spesso e con forte rammarico a chi un Lavoro non lo ha mai avuto, a chi il Lavoro lo ha perso, a chi ha lottato per difenderlo e a chi spesso ha perso la vita per pretenderlo.
Non voglio assolutamente tediarvi con analisi politiche e/o economiche di cui siamo quasi tutti esperti grazie ai social e mass media, ma mi sento in dovere di porre alla vostra attenzione un episodio spesso dimenticato o non conosciuto. Mi riferisco a quello accaduto, a guerra ormai finita, il 25 settembre 1945 a Lecce, durante il quale tre operai persero la vita mentre chiedevano PANE E LAVORO!
Prima di entrare nel merito del grave e luttuoso episodio, riporto testualmente il disposto di alcuni articoli della nostra Carta Costituzionale per ricordare che il diritto al Lavoro è pienamente riconosciuto e tutelato ad ogni cittadino.
Art. 1 – “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Art. 4 – “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e le proprie scelte, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
La dinamica dei fatti
La Seconda Guerra Mondiale, scoppiata l’1 settembre 1939 con l’attacco della Germania nazista alla Polonia, terminò nel contesto europeo l’8 maggio 1945 con la resa tedesca e, in quello asiatico, il successivo 2 settembre con la resa dell’Impero giapponese dopo i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Al termine della Guerra, l’Europa era ridotta ad un cumulo di macerie.
La città di Lecce, purtroppo, viveva momenti di estrema tensione sociale a causa del disagio economico causato, tra l’altro, dall’aumento dei prezzi delle varie merci (soprattutto prodotti alimentari) e da un forte tasso di disoccupazione nei ceti popolari.
La mattina del 24 settembre 1945 migliaia di persone si radunarono in piazza San Oronzo spinte dalla fame e dalla disperazione. Nonostante i vari tentativi per ottenere risposte da parte di un Prefetto timoroso e burocrate, la situazione divenne esplosiva in poche ore.
Le cronache dell’epoca erano confuse: c’era chi scriveva dell’affissione di un manifesto prefettizio in cui si promettevano aiuti inadeguati, c’era chi scriveva di un atteggiamento contraddittorio del Prefetto, che prima si mostrava disponibile verso la popolazione sofferente e poi si rifiutava di ascoltare le giuste lamentele dei disoccupati, nascondendosi nelle stanze più interne del Palazzo dei Celestini e facendo chiudere dalle forze di polizia il portone centrale.
Già la mattina del 25 settembre i manifestanti divennero il doppio rispetto al giorno precedente e tutti, al grido “Pane! – Lavoro!”, assaltarono Palazzo dei Celestini tra fiamme e spari di arma da fuoco. I manifestanti erano operai, muratori, imbianchini, contadini, tutti stremati e stanchi, ma tanto forti da riuscire a superare lo schieramento di forze dell’ordine posto all’ingresso della Prefettura. La folla riuscì a forzare il portone e ad entrare nel cortile, occupando gli androni.
Purtroppo le forze di polizia, trovatesi alle strette, spararono su quella folla che chiedeva con forza e rabbia ‘pane e lavoro!’.
Morirono in tre: Francesco Schifa muratore, Oronzo Zingarelli pizzicagnolo e Nicola Fatano venditore ambulante. Ma vi furono anche tanti feriti, fra i quali un bambino di nove anni che proprio in quell’istante era uscito incuriosito dalla porta della propria abitazione per vedere cosa stesse accadendo in strada; fu colpito da una pallottola mentre giocava in via San Francesco, a lato dei Giardini Pubblici.
Il 27 settembre 1945 si tennero i solenni funerali delle vittime. Il corteo si mosse silenzioso verso le vie del centro e, appena fuori le mura cittadine, di fronte al viale che porta al cimitero, le tre bare si fermarono per consentire a Fortunato Caracciolo, muratore designato dalla Camera Confederale del Lavoro, di tenere un breve discorso commemorativo.
L’uomo parlò lentamente senza esagerazioni, pronunciando i seguenti brevi pensieri in ricordo dei tre: “Noi speriamo – e ci auguriamo che la speranza divenga al più presto suprema certezza – che il sangue versato, anziché seme di nuove discordie, sia lievito di pacificazione e di mutua comprensione. Soltanto con la collaborazione di tutti sarà possibile iniziare gradualmente il lento e faticoso processo della ricostruzione”.
(fonte: “Quei morti per pane e lavoro” di V. De Luca e E. Bianco – Editrice Salentina – 2006)