Un processo di unificazione umiliante e mai realizzato
Nord e Sud
ieri e oggi
Quando saremo tutti fratelli d’Italia?
di Rino Duma
Premessa
Abbiamo più volte dibattuto sulla ormai secolare e irrisolta questione tra l’Italia del Nord e del Sud, giunta ormai a un livello di sofferta e reciproca sopportazione. Nonostante le nostre comprovate accuse rivolte ai fratelli (?) del Nord, abbiamo ricevuto solo dei conclusivi “Troppe le differenze tra le parti!” oppure “Era scritto nel destino!” o anche “Ormai non c’è più nulla da fare!”, o addirittura “Così è, se vi pare!”.
Noi, che molti studi e ricerche abbiamo condotto sulla ormai tanto vexata quaestio, testardamente e con un pizzico di amor patrio continuiamo e continueremo a lamentare ciò che le genti del Sud subirono proditoriamente dai garibaldini prima e dalle truppe piemontesi poi, calati dal nord con l’unico intento di saccheggiare, uccidere, depredare e impossessarsi di cospicue fortune e risorse finanziarie, tecnologiche e umane da trasferirle al Nord per rivitalizzare la quasi comatosa economia sabauda, ma non certamente per unificare l’intera nazione attraverso un necessario affratellamento.
Ho inteso dare un taglio particolare e approfondito a questi miei pensieri, dividendoli in tre momenti diversi: 1) Le origini delle genti italiche; 2) situazione dell’Italia al momento dell’unificazione; 3) situazione italiana a tutt’oggi.
L’origine delle genti italiche
Prima di entrare nel merito intendo precisare che quasi tutte genti del Sud hanno avuto da sempre un’unica matrice di provenienza: quella greca e tessalica. Sono modeste le genti di origine albanese, presenti in minima parte la zona mediana ionica della Calabria e di quella adriatica della Puglia, mentre nella parte sud-ovest della Sicilia si sono notate presenze tunisine.
La lingua parlata dal volgo era rappresentata generalmente dai vari dialetti locali (alcuni dei quali alquanto simili tra di loro, come quelli del Salento e della Sicilia orientale), mentre l’italiano era utilizzato solo negli ambienti altolocati e dotti.
Stesso discorso non vale per il Settentrione. Qui le genti hanno avuto origini diverse e molto distanti tra loro nei vari aspetti. L’alto Piemonte e la Val d’Aosta sono francofone ed appartengono a diversi ceppi etnici, come Celti, Franchi, Burgundi, ecc., il basso Piemonte e la Liguria occidentale hanno radici burgunde e provenzali, l’alta e media Lombardia è di origine teutonica (lo afferma il termine Lombardia, che è una contrazione di Longobardia), anche il Trentino Alto Adige ha una provenienza teutonica e infine il Friuli Venezia Giulia è in prevalenza di etnia bavarese e dalmata.
Ovviamente anche le tradizioni, la lingua, la storia, i costumi, i modi di pensare e di essere di queste genti sono stati e sono diversi: nel Meridione con minori differenziazioni, maggiori invece nel Settentrione.
In Piemonte, prima dell’unità d’Italia, si parlava un italiano, infarcito fortemente di termini francesi, presenti anche nelle lingue dialettali locali. A testimonianza di quanto espresso, si tenga conto che nelle alte sfere sabaude e in Parlamento era d’uso esprimersi esclusivamente in lingua francese, anche nei primi anni di unificazione e sino a quando la capitale non fu spostata a Firenze.
In Lombardia la lingua italiana ha subito diversi influssi derivanti dalla vicina Svizzera e Austria. Lo stesso Manzoni si trasferì a Firenze per un paio di anni per migliorare il linguaggio utilizzato nei ‘Promessi Sposi’. Il celebre romanziere si espresse con una frase rimasta celebre: “Mi reco a Firenze a sciacquare i miei panni in Arno”, nel senso che voleva ‘adattare’ il suo ancora incerto italiano al Fiorentino, considerato la lingua italiana per antonomasia.
Viceversa c’è poca promiscuità di storia, lingua e costumi nelle genti italiche meridionali.
Va aggiunto, inoltre, che il Meridione d’Italia è stato sempre uno stato unitario per diversi secoli e quindi, pur se dominato nei vari periodi storici da Romani, Bizantini, Longobardi, Normanni, Svevi, Aragonesi, Angioini e Borbone, ha sempre mantenuto regole e principii di vita comuni, inserendo di volta in volta poche innovazioni.
I Meridionali, quindi, acquisendo l’influsso della cultura greca, hanno migliorato notevolmente il proprio modo di essere e di fare, distinguendosi in tutte le epoche per i loro atti di umanità, di fratellanza e di pacifismo. Prova nei sia che i profughi africani (e non soltanto questi) sono stati sempre accolti dalle genti meridionali con grande spirito di solidarietà. Mi chiedo e vi chiedo cosa sarebbe accaduto ai profughi se il flusso migratorio si fosse verificato nel nord Italia? Con ogni probabilità sarebbero stati tutti respinti. D’altra parte lo ha evidenziato alcuni mesi fa il ministro Salvini, allorquando ha chiuso tutti i porti del sud Italia ai migranti.
Inoltre nei diversi secoli di vita i Meridionali non si sono mai esposti a guerre contro altre genti, se non per difendere la propria terra da possibili invasioni turche e piratesche.
I settentrionali, invece, hanno conosciuto un lungo periodo storico, arroccandosi in città-stato, le une contro le altre armate, ognuna con il proprio signorotto e i suoi costumi e regole di vita.
Vi è da aggiungere che i Settentrionali, trovando radici nei vari popoli calati dal nord Europa dopo la caduta dell’impero romano, si sono sempre distinti per belligeranza e avidità di nuove conquiste. È scritto nel loro Dna. Lo attestano le guerre e le scaramucce continue tra varie città, regioni e stati in 1800 anni di vita.
Si dia anche uno sguardo alla sregolatezza dei re di casa Savoia, belligeranti al massimo. In più di due secoli di monarchia hanno dichiarato guerra per ben nove volte a stati europei e non! A cominciare dalle tre guerre d’indipendenza, alla guerra di Crimea (1855), alla conquista del Sud (1860-61), alle due guerre mondiali, alla guerra italo-turca per l’annessione della Libia, all’invasione dell’Etiopia (1935-36), all’occupazione dell’Albania (1939).
I settentrionali sono guerrafondai di fatto, i meridionali invece pacifisti nella loro essenza più intima. I primi hanno preferito e preferiscono acquisire sempre più potere, comando e ricchezze attraverso la continua ‘conquista’ (sotto tutti i punti di vista), i secondi sono stati e sono sempre ricchi interiormente, utilizzando le buone maniere, l’ospitalità e la disponibilità innata nel rendersi utili verso tutti.
Le mafie del Meridione, un tempo molto contenute nel territorio, sono di fatto esplose soltanto dopo l’unificazione dell’Italia, attraverso gli affari Stato-Mafia iniziati con il Cavour, Garibaldi e la Massoneria da una parte e le mafie siciliane, calabresi, campane dall’altra. Rapporti che purtroppo si sono protratti sino a giorni nostri e credo che, sotto sotto, continuino ad esserci.
Il Sud è sprofondato nel caos più totale solo dopo l’Unità d’Italia. Prima no!… Prima, pur essendo una società molto verticalizzata, vi era l’accettazione delle regole e il senso del dovere da parte di tutti. Non stavano meglio i settentrionali che avevano lo stesso modo di vivere dei meridionali, tant’è che Clemente di Metternich osò definire i lombardi e i veneti con il termine di “popolo di straccioni”, cioè terroni “ante litteram”.
Quindi il denominatore comune dell’Italia pre-unitaria era contraddistinto da uno stato di precarietà e povertà di molte popolazioni, sia del nord sia del sud. L’agricoltura era modesta e bastevole a soddisfare appena le esigenze interne, così come l’allevamento del bestiame. Il commercio, però, era più sviluppato nel Meridione per via della sua conformazione geografica. Si fruttavano molto i porti per commerciare i vari prodotti, mentre alquanto modesto risultava il sistema viario interno, perché poco necessario.
Il Piemonte, purtroppo, essendo incravattato a nord e a occidente dalle Alpi, a sud dalla Liguria, aveva pochi sbocchi per commerciare, pur avendo un sistema viario migliore rispetto a quello del sud. Anche qui l’economia era basata sull’agricoltura, allevamento del bestiame e modeste attività manifatturiere.
Il commercio, come già detto, era più diffuso nel Meridione e poco nel Settentrione.
Molto traffico marittimo vi era nei porti di Bari, Gallipoli, Taranto, Napoli, Salerno, Messina, Catania e Palermo. In queste città vi erano i consolati inglesi, francesi, russi, turchi e spagnoli.
Nel Settentrione per poter collegare le varie città e quindi commerciare si utilizzavano unicamente i canali e le strade. Il commercio con l’estero era poco sviluppato per via della barriera delle Alpi, i cui passi montani erano utilizzati solo nel periodo tardo-primaverile ed estivo.
L’artigianato era diffuso in tutt’Italia ma con limitazioni di esportazioni in tutt’Italia.
Il Piemonte era tra le regioni più penalizzate. Per poter dare sfogo alle sue imprese commerciali doveva pagare dazi salati ai porti di Genova e La Spezia. Solo con il Congresso di Vienna (1815), la Liguria fu assegnata al Regno di Sardegna, dietro pagamento di un benefit di 500.000 lire-oro genovesine a favore della città di Genova. Anche ai liguri convenne questo accordo perché avrebbero potuto importare derrate alimentari, latticini e prodotti vari dal Piemonte senza il pagamento di alcun dazio. Solo dopo l’annessione della Liguria, il Piemonte iniziò a ‘respirare’ dal punto di vista del commercio estero. Ma i regnanti sabaudi non si accontentarono di questo miglioramento: pretendevano di più. Ecco che ritorna in campo il loro innato desiderio di conquista e di guerra. Addirittura per poter annettere la Lombardia, strinsero con Napoleone III, nei famosi patti di Plombières, l’accordo del “do ut des”, in cui fu stabilito che, nel caso di aggressione austriaca, i piemontesi si sarebbero alleati con i francesi, ai quali avrebbero dato in cambio il Nizzardo e la Savoia. E così avvenne.
Ancora non contenti, s’inventarono di unificare le genti italiche, cavalcando l’onda del famoso “Un grido di dolore si solleva da tante parti d’Italia”, pronunciato da Vittorio Emanuele II in Parlamento, su suggerimento di Cavour e Napoleone III. Dapprima fu progettata la conquista del Meridione e successivamente dello Stato Pontificio. Dopo aver spolpato con precisione chirurgica i territori occupati, soprattutto quelli meridionali, i signori del settentrione li abbandonarono al loro destino.
Sia ben chiaro che, se Roma non fosse stata dichiarata capitale d’Italia, avrebbe fatto la fine di molte città meridionali. Anche oggi la “città eterna” non ha in mano le sorti dell’intera Italia, ad eccezione delle sedi dei due rami del Parlamento e dei vari ministeri.
Il centro del potere economico e finanziario d’Italia è presente nel nord e, massicciamente, a Milano.
Così è e così sarà sempre… pazienza dei meridionali permettendo.