Quel primo turbamento maturò per caso nella mattinata di una noiosa, insipida e insignificante giornata di fine marzo nella palestra scoperta della Scuola Media “Giovanni Pascoli”, a ridosso degli scrutini del secondo trimestre.
Chicco frequentava allora il secondo anno in quella Scuola, in una classe vivace, appena contenuta dalla paziente tolleranza di insegnanti capaci e professionalmente brillanti.
Fu fortunato, perché in quella Scuola e in quel periodo ebbe a che fare con docenti, che, pur se freschi di nomina, dimostravano già il loro indiscusso spessore culturale e soprattutto la loro abile e innata capacità didattica.
Il loro entusiasmo era estremamente contagioso, per cui si andava volentieri a scuola.
Erano i tempi di insegnanti che avrebbero lasciato poi il segno, come Donato Moro, Carlo Minafra, Vittorio Tundo, Marcello Rizzo, Emilia Stasi ed altri, dei quali a Chicco sfugge ormai la loro identità.
Fra tutti ricorda però, sempre con particolare stima, il prof.… Gualtieri (eccellente insegnante di lettere, originario di Maglie), al quale deve le basi dell’apprendimento della lingua latina.
Nessuno come lui sapeva svelare, con rara tecnica e sapienza didattica, i segreti della morfologia e della sintassi.
Quante volte ha spiegato con certosina pazienza le declinazioni e le coniugazioni!
Quante volte si è soffermato sulla regola della consecutio temporum!
O quando, durante le lezioni di grammatica italiana, costruiva bonariamente dei trabocchetti per far capire la differenza fra i verbi transitivi e quelli intransitivi.
“Passa, o non passa …”, ripeteva sorridendo con delicata, divertita, ma affabile ironia.
Quanti gessetti ha consumato su una malferma lavagna, ciondolante sul muro accanto alla cattedra!
Aveva costruito, insieme agli altri suoi colleghi, quelle robuste fondamenta e quelle valide basi che poi furono di ottimo aiuto nel prosieguo degli studi, di quelli classici in particolare.
La palestra scoperta utilizzata per la ginnastica si trovava lì, perché la Scuola Media, da poco ultimata, aveva occupato abusivamente (nel vero senso del termine) il giardino retrostante che apparteneva, secondo le carte, al Convitto ed al Liceo “Colonna”, attigui e confinanti.
Infatti con un gioco di forza (o meglio di prepotenza) fra l’Amministrazione Comunale e legittimi proprietari, il giardino fu adibito ed adattato con pretenziosa fantasia a “palestra scoperta”, a servizio esclusivo della Scuola.
L’occupazione avvenne sin dall’inizio della costruzione dell’edificio scolastico, quando il giardino retrostante fu utilizzato per impiantare il cantiere edile.
Si faceva ginnastica fra i viottoli delle aiuole e sotto gli alberi.
Le lezioni erano artificiosamente improvvisate, ma d’estate la frescura almeno era assicurata.
La lunga querelle sulla occupazione abusiva del suolo rimase velatamente in piedi solo fra le carte sgualcite, rinchiuse nei cassetti.
Si attenuò poi con la chiusura del Convitto nel 1969, avvenuta dopo poco più di un secolo di vita.
Il Convitto poi morì legalmente, e definitivamente, con la soppressione de jure delle Ipab (e fra queste anche l’“Opera Pia Colonna”), disposta col DPR 616/1977.
Con quella legge se ne è andata via, in silenzio e nella indifferenza generale, una parte rilevante della storia culturale di Galatina.
Per quell’anno scolastico, in seconda Media, era stato assegnato alla classe di Chicco un insegnante supplente di Educazione Fisica, di scarso entusiasmo, di poco impegno e di limitate capacità didattiche.
Comunque, un professore superficiale e demotivato, come può essere un supplente, per il quale il sinallagma “lavoro-stipendio” era soltanto un optional insulso e insignificante, indicato solo per mero capriccio burocratico sul pezzo di carta, col quale era notificato l’incarico della supplenza.
Per fortuna, durante la frequenza dei successivi cinque anni del Ginnasio/Liceo, Chicco fu un privilegiato perché trovò (fra altri) il prof. Piccione, un insegnate di ginnastica capace, competente, preparato, ma sopratutto innamorato del suo lavoro.
Anche lui era un appassionato di calcio e di ogni disciplina sportiva, per cui (anche lui) comprava il suo bravo giornale sportivo.
Ma lo teneva accuratamente ripiegato nella sua borsa di pelle, spelacchiata e sdrucita, dalla quale non si separava mai.
Leggeva il giornale solo durante gli intervalli delle ore di lezione, spaparacchiato sul tavolo della Sala dei professori, in una stanza a sinistra appena attigua alle aule del corso “A”.
Tutto questo, perché era una persona coerente e semplicemente onesta.
Mitiche le partecipazioni (da Lui volute e preparate) alle gare scolastiche, che erano competizioni sportive organizzate a Lecce, al “ Santa Rosa” fra gli alunni di tutte le scuole superiori della Provincia, dove a volte fu strappata meritatamente, per alcune discipline, qualche coppa e qualche medaglia.
Quelle gare furono le antesignane dei “Giochi della Gioventù”, istituiti molto tempo dopo e lodevolmente organizzati, col supporto dei Comuni, nelle Istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado.
Chicco ricorda l’emozione del prof Felice D’Onofrio (mitico Preside del Liceo “Colonna“) quando ritirava dalla Giuria la Coppa vinta, che poi custodiva sul ripiano di una credenza della sua “Presidenza”, posta allora in una sala sul lato destro del corridoio (rispetto al portone d’ingresso) che circoscrive il chiostro degli “Scolopi”.
Quanti non ricordano, sopratutto studenti, la sua allocazione verso l’angolo, vicino alla campanella appesa al muro, la quale col suo timbro chiaro e cristallino dettava con cadenza precisa e misurata lo scorrere e la durata delle lezioni.
Da quella sala il Sig. Preside si muoveva dopo aver sorseggiato un caffè ristretto preparato con la sua mokina personale.
Partiva con in bocca la sua eterna sigaretta accesa per dirigersi, a sorpresa, in una qualsiasi classe del liceo per tenere delle stupende, memorabili “lectiones magistrales”, non programmate, durante le quali traduceva all’impronta liriche greche e latine, o passi dell’Iliade, o dell’Odissea.
Prediligeva Saffo, Ovidio, Catullo, le cui liriche leggeva con perfetta metrica e traduceva con semplicità disarmante, incantando tutti gli studenti, insegnanti compresi.
Rimaneva talmente assorto da dimenticare di aspirare il fumo della sigaretta, la quale intanto lentamente bruciava trasformandosi in cenere, che di botto si staccava dal mozzicone, impolverando irriguardosamente le pagine del libro dei Classici, che aveva sottomano.
Appena a ridosso della Presidenza si ergeva solenne la imponente porta interna, che delimitava insieme al portone d’ingresso (quello che dava sulla strada) l’atrio del Liceo–Ginnasio e del Convitto, che allora convivevano in regime di pacifico condominio.
E quel piccolo atrio custodisce ancora oggi con gelosa attenzione, e a ben ragione, la lapide commemorativa del’ing. Antonio Vallone, artefice politico, sociale e morale della fondazione della Scuola.
Dietro la porta interna, tenuta rigorosamente chiusa con un robusto bastone di ferro a forma di uncino, sostava con riservata discrezione un bidello corpulento, moderatamente burbero quanto basta per mostrarsi legato al suo lavoro e per meritarsi dignitosamente il suo stipendio “sanza ‘nfamia e sanza lodo”.
Chicco ricorda entrambi gli infissi sempre pitturati con un funereo e denso color rosso/mattone, forse per conferire loro più solenne dignità per il ruolo istituzionale che svolgevano.
O forse perché gli uffici della Provincia, deputati alla loro manutenzione dopo la legge di riforma che tolse tale onere al bilancio del Convitto Colonna, possedevano nei depositi solo quel tipo di vernice e solo di quel colore.
O forse perché il falegname-pittore e imbianchino, incaricato della manutenzione, era sospettosamente daltonico.