Macàri e macarìe tra Soleto e Galatina nel primo Seicento
Di Luigi Manni
Da sempre i soletani hanno avuto fama di essere macàri, ossia maghi, stregoni, indovini, fattucchieri, e Soleto, da sempre, è stata considerata la terra delle pratiche magiche, delle arti divinatorie e delle pratiche occulte. Nomea alimentata dal personaggio chiave, il mago e astrologo Matteo Tafuri (1492-1584) di Soleto, anche se già nel 1442, mezzo secolo prima che lui nascesse, in Terra d’Otranto pullulavano gli eretici e i sortileghi.
Questo primato “magico” di Soleto è segnalato in una escussione testimoniale del 1620, dalla quale si evince che le macarìe (magie) e le fattucchiarìe (fatture) se sogliano fare dentro della Grecia (la Grecìa salentina), come a dire a Solito (Soleto) et in altri lochi di Greci (in altri paesi grecanici). Ma, come vedremo, interesserà anche la vicina Galatina, con pratiche magiche e stregoniche, alcune malnote ed altre inedite, restituite dalle costituzioni sinodali, dagli editti e dalle visite pastorali. La Chiesa post-tridentina considerando le macarìe, gli incantesimi e i sortilegi come “veicolo di eresie”, aveva assunto l’impegno primario di “liberare il cristianesimo dai residui di una mentalità religiosa sostanzialmente pagana e intrisa di superstizione per restituire al messaggio evangelico la primitiva purezza”. Comunque, le testimonianze archivistiche sull’universo della magia e della stregoneria nell’ambito territoriale della Terra d’Otranto, emergono soprattutto dai processi intentati contro gli “eretici” salentini, di cui, tuttavia, ci sono pervenuti pochi fascicoli processuali.
Per quanto riguarda Soleto, siamo in grado di segnalare con certezza una macàra e un macàro. La macàra si chiamava Leonarda Castellano e nel 1622 aveva praticato una fattura a Diego d’Ospina di Gallipoli, dove alcuni muratori, che stavano costruendo il palazzo del d’Ospina, trovaroro sotto allo limitare della porta (la soglia) una statuetta di cera ad imagine d’huomo trapassata da molti spilloni, avvolta in una carta incogliata (attaccata, legata) con un filo o seta rossa. Siamo di fronte ad un evidente rituale di magia nera, in pratica una fattura a morte, volta ad uccidere Diego d’Ospina, che la macàra soletana intendeva far morire, trafiggendolo simbolicamente con gli spilloni sulla statuetta di cera (benedetta) che lo rappresentava.
Poi, accanto alla statuetta, venne rinvenuto un pezzo di canna con i fori otturati con due tamponi di stoffa (un cannulo otturato con una pezza) in cui i muratori dissero di haverci trovato vermi venenosi (velenosi) ciò è una forfeca, uno scorpione et un salamitro.
Nel pezzo di canna erano quindi rinchiusi un geco (il salamitro, in dialetto salentino, piccolo rettile dell’area mediterranea dal movimento rapidissimo); una forficola (la fòrfeca salentina, insetto che presenta due code a forma di pinza) e uno scorpione che, effettivamente, ha un aculeo velenifero.
Possiamo ipotizzare che il destino del malcapitato destinatario della fattura sarebbe stato quello di morire avvelenato. Queste fatture erano considerate attioni piene di diaboliche (opera del diavolo).
S’erano prefigurate, quindi, tutte le condizioni – fattura a morte, uso sacrilego di cera benedetta, animali malefici velenosi e patto con il diavolo – per avviare, con giustificati motivi, un’indagine da parte del tribunale episcopale, che condannò la Castellano rinchiudendola nelle carceri del vescovato di Gallipoli, perché per fama pubblica s’intendeva essere maghara, strega et altri malefici arti diaboliche. La maga soletana riuscirà poi a fuggire dal carcere di Gallipoli, dopo aver confessato di aver fatto la fattura per haverne qualche carlino per campare.
Il macàro di Soleto si chiamava Leonardo Pinnella e nel 1637, dai preti Francesco Antonio Nuzzaci, Leonardo Scollato e dal protognosta Giovanni Antonio Roncella, era stato accusato di essere superstitiosus, malefitiarus et magarus e per il possesso di libros prohibitos. L’indagine era stata avviata dall’arcivescovo di Otranto, il teatino napoletano Gaetano Cosso, che aveva chiesto al clero soletano se a Soleto fuisset aliquis magarus et malefitiarus (se ci fosse qualche macàro). Leonardo Pinnella era stato denunciato anche dal chierico Nicola Tafuri, che fece il suo nome alle orecchie dell’arcivescovo (manifestare ad aures sue) e sotto confessione (sub sigillo confessionis).
Galatina, come Soleto, aveva “un rapporto elettivo con il mondo magico” e, nel 1567, le disposizioni sinodali dell’arcivescovo di Otranto Pietro Antonio de Capua, interessarono anche l’area galatinese. La prima di queste rendeva noto che sarebbero stati scomunicati tutti gli heretici, scismatici, sacrilegi et magàri, paventando così eventuali collusioni con forme ereticali. Le disposizioni, in questo campo, erano categoriche: Scomunicamo quelle persone che faranno incanti et gettaranno sorti, faranno magarie, ligature, sortilegi […] et ogni altra cosa simile proibita da i sacri canoni.
Il clero galatinese, su disposizioni precise dell’arcivescovo di Otranto, teneva sotto stretto controllo la popolazione, ma anche a Galatina sono segnalate alcune donne (macàre), che, per le loro pratiche magiche e per i rituali psicoterapeutici, utilizzavano erbe (magia verde), come la ruta. Nel 1607, l’arciprete di Galatina D. Angelo Papaleo comunicò all’arcivescovo di non conoscere nessuno che facesse fattucchiarie et incantarie. Dello stesso parere era l’arcidiacono D. Angelo Foniati il quale, però, aggiunse che solum in die S. Joannis Battiste aliquae puellae sessurant aliqua sessuria, postea affunt in vicis publicis confines. Secondo la tradizione, il 24 giugno, giorno della festa di S. Giovanni Battista, avvenivano “prodigi e meraviglie”.
Qui, sessurant (sexurant) sta per fare sesso, avere comunque condotte impudiche. E’ noto, infatti, che durante la vigilia della festa di S. Giovanni, alcune donne (aliquae puellae), “molte volte con tamburelli”, si recavano in alcune chiese o luoghi di periferia (in vicis publicis confines) e qui danzavano e attiravano l’attenzione di “giovani indevoti otiosi”, i quali minacciavano la “pudicità di molte donne”. La fonte ecclesiastica del 1607 segnala a Galatina, dunque, e per la prima volta, questa particolare condotta “deviante” delle donne, ma anche la raccolta di erbe che avevano un utilizzo magico.
E’ risaputo, altresì, che le macàre, alla vigilia della festa di S. Giovanni, raccoglievano la ruta, considerata nel mondo magico la più virtuosa delle erbe, ma anche la menta, il timo e, appunto, la cosiddetta erba di S. Giovanni. Si riteneva che erbe, battezzate dalla rugiada di quella notte, venivano poi appese nella casa “per garantire protezione per l’anno successivo”.
Sempre per quanto riguarda Galatina, risulta ampiamente documentato il processo celebrato nel 1620 per il decesso inspiegato di Vasco d’Acugna, bambino di sei anni, figlio di Elisabetta Venneri dei baroni di Tuglie e dello spagnolo don Giuseppe Vaques d’Acugna, residenti a Gallipoli. Il piccolo Vasco, che a detta delle donne del vicinato “al mattino steva benissimo”, morì improvvisamente e, subito dopo, sotto il limitare della porta del loro palazzo, venne trovata una fattura costituita da una statuetta di cera con un figliolo in braccio attraversata con una spingola (uno spillone) ben forte. Si trattava, anche in questo caso, di una fattura a morte. Il padre del bimbo si recò immediatamente ad Aradeo per catturare Jaco Antonio Meleca, ritenuto l’artefice della fattura, ma il Meleca, scagionandosi, rivelò non solo l’identità del committente della fattura, cioè il fabricatore Orazio Mollone, suo zio, galatinese, qualificato come magaro e mezzano di magarie, ma soprattutto il nome del vero macàro che aveva ordito il maleficio, ossia il notaio di Galatina Donato Maria Vernaleone, considerato uno stregone, dotato di poteri diabolici, che non gli servirono comunque a nulla, perché venne immediatamente rinchiuso nelle carceri del castello di Galatina.
Ritornando a Soleto, riteniamo che tra la cultura elitaria e la magia “dotta” di Matteo Tafuri e la cultura “bassa” dei macàri e delle fattucchiere non ci siano state interazioni. Il mago di Soleto, dall’alto della sua scienza medica e astrologica, nel Pronostico del Tufo del 1571, considerò “ciance” le macarìe, soprattutto quando proponevano talismani e pietre magiche e quando avevano la pretesa di curare la peste. Ma forse, prudentemente, aveva preso le distanze da quel mondo magico che pochi anni prima gli aveva procurato tanti guai con il Sant’Uffizio, incarcerato e torturato per quindici mesi a Roma nelle galere dell’Inquisizione.
Note
- MANNI, La guglia l’astrologo la macàra, Galatina 2004; M. R. TAMBLE’, Sortilegi e magia tra Galatina e Gallipoli nel primo Seicento, in “Bollettino Storico di Terra d’Otranto”, 1-1991; ADO, Visite pastorali, 1607, 1637; ADO, Registro delle obbedienze, 1567; ACAG, Processi civili, n° 33 del 1622.