Colma una vistosa lacuna della memoria L’ultima trovata, libro collettivo a cura di Diego Mondella dedicato, come recita il sottotitolo, a riparare il vuoto lasciato da Trent’anni di cinema senza Elio Petri. (1929-1982). Dimenticato dalla critica, (è la premessa di questo valido collage di saggi e testimonianze in libreria per Pendragon) al grande regista di un pezzo importante del cinema politico degli anni Sessanta e Settanta, non è stato perdonato di risultare scomodo e poco allineato con l’ideologia dominante della sua epoca. Una solitudine e una originalità che gli sono costate il silenzio calato su molti dei suoi film, quasi ignorati negli ultimi tre decenni, eppure non certo minori rispetto ai sempre celebrati Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto, La classe operaia va in Paradiso o Todo Modo.
Intellettuale a tutto tondo, Elio Petri è stato penalizzato per il suo essere un regista “particolare”, capace di esprimersi con un nuovo linguaggio cinematografico e dunque esempio ideale “di connubio”, come scrive nella prefazione al volume Walter Veltroni,” tra intensità estetica, capacità d’inchiesta, efficacia narrativa e valore politico dell’immagine cinematografica”.
L’idea dichiarata di Diego Modella, era rompere l’oblio che ha coperto i film e gli scritti di Elio Petri con un libro forte, tessuto di tante voci, capace di infrangere il muro della dimenticanza e restituirgli il riconoscimento dovuto al suo talento. E lo ha fatto con il contributo di critici e intellettuali (oltre a molti altri, Morando Morandini, Paolo D’Agostini, Roberto Cotroneo e Gaetano Savatteri hanno dedicato omaggi e testimonianze al Petri “moderno” e “contemporaneo “) e raccogliendo i ricordi degli amici: da Gianni Amelio a Giuliano Motaldo a Roberto Faenza a Ferzan Opzetek, fino a Mariangela Melato o Tonino Guerra, (ambedue ormai scomparsi).
Diego Mondella, autore di numerosi saggi sul cinema contemporaneo, ha curato il volume con competenza e passione. Il risultato, arricchito da una utilissima e completa filmografia, celebra Elio Petri in tutta la sua arte e fa rivivere il suo “pensiero”, “lucido , rigoroso…profetico”.
Elio Petri, trent’anni dopo, che cosa c’è da aggiungere?
“Più che da “aggiungere”, secondo me c’è ancora molto da “dire”, visto che da quando è scomparso nessuno ne ha più parlato o forse nessuno ne ha voluto più parlare… Con il risultato che i suoi film sono stati letteralmente oscurati dalla tv generalista ed è stato quindi impedito a molti (soprattutto ai più giovani) di conoscere il suo cinema. Il libro che ho curato ha proprio l’ambizione di farlo scoprire a quelli della mia generazione, i trentenni. Ma anche di farlo ri-scoprire agli appassionati e non di cinema un po’ più adulti che, complice il difficile periodo storico in cui ha lavorato Elio Petri (anni ’60 e ’70), si sono fatti un’idea dei suoi film non sempre oggettiva. In quegli anni, condizionati dall’impegno civile e dagli scontri ideologici, Petri è stato giustamente considerato un autore “politico” perché si è misurato con temi sociali molto caldi quali la mafia, il rapporto tra autorità e cittadini, le lotte dei lavoratori, etc… Col tempo però, questa definizione ha finito quasi per ghettizzarlo, limitando la portata dissacrante e tragicomica di tutta la sua filmografia. Al punto che viene esclusivamente menzionato per Indagine…. e La classe operaia va in paradiso, mentre nessuno ricorda mai le sue prime opere come L’assassino o I giorni contati, due capolavori per modernità di sguardo e sensibilità narrativa, ancora oggi attualissimi.”
Perché la critica lo ha dimenticato?
“Petri non ha mai avuto vita facile con i critici. Alcuni film sono stati duramente contestati soprattutto dalla critica militante di sinistra, che non condivideva la rappresentazione di certi personaggi e situazioni, in quanto non utili alla sua causa politica. Con Todo modo (1976) poi, la frattura si è definitivamente compiuta. Il suo impietoso ritratto della classe dirigente e del suo massimo esponente, Aldo Moro, (nella finzione un meraviglioso Gian Maria Volonté), non diede fastidio solo alla Dc, ma anche a chi, sull’altro versante, era allora impegnato per raggiungere il “compromesso storico”. Questo non gli è mai stato perdonato. E infatti dal 1982 è calato un velo di dimenticanza totale su questo artista, se non di indifferenza. Bisogna riconoscere che questo è un viziaccio della nostra critica, cioè lavorare soltanto sull’attualità e molto poco sulla memoria; un’attualità che risulta poi quasi sempre dimenticabile e qualitativamente povera. Pensiamo ad esempio a Marco Ferreri, il suo straordinario cinema è stato troppo presto archiviato. E non lo cito a caso, perché anch’egli è stato un irriverente e coraggioso interprete della realtà italiana. Come lui Petri, che aveva anticipato molti dei cambiamenti politici, sociali e culturali. Purtroppo nel nostro Paese chi osa immaginare il futuro va incontro a una triste sorte… “
Film, lettere, soggetti mai realizzati… con gli occhi di oggi qual è la sua modernità, la sua attualità?
“Non c’è dubbio che il suo ultimo film, Buone notizie, racconti parecchie delle disfunzioni e delle paranoie che vive l’uomo contemporaneo. Petri lo ambienta in una Roma cupa, violenta e sommersa dall’immondizia, prefigurando uno scenario apocalittico, in cui un ruolo fondamentale è giocato dalla televisione e dal suo potere manipolatorio. Mi viene in mente poi un soggetto firmato insieme al suo fedele sceneggiatore Ugo Pirro che, riletto oggi, sembra davvero scritto in questi ultimi anni o addirittura mesi: Nostra Signora Metredina. Parla di un deputato disonesto che, dopo aver ingoiato per sbaglio una pasticca dagli effetti miracolosi, si trasforma improvvisamente in un probo cittadino. L’uomo litiga con i compagni di partito lanciandosi reciproche accuse di corruzione e, durante la campagna elettorale, cerca di comprare i voti dei ricoverati in manicomio e di ricattare un altro onorevole minacciandolo di diffondere i filmetti pornografici della figlia… Questo progetto incompiuto del 1967, fu all’epoca ritenuto troppo licenzioso, tanto da essere rifiutato e censurato da tutti i produttori. Eppure ci lascia un amaro interrogativo, come un nodo in gola: quanto è cambiata veramente l’Italia negli ultimi cinquant’anni?” (www.repubblica.it)