L’ospitalità

L’OSPITALITA’ NELL’ETA’ ANTICA

Un rito sacro sancito dal volere degli dei

di Francesco  Denisi

Gli uomini sono composti per l’ottanta per cento di acqua, forse è  per questo motivo che non riescono a stare fermi. A volte si muovono tracimando le barriere ideologiche o fisiche poste per arginare il loro impeto, si spostano mossi dalle maree invisibili del bisogno o della curiosità, per saziare la loro innata sete di conoscenza.  Il gesto simbolico di un abbraccio unisce generazioni di uomini in cammino tra le scalee del tempo, le valli dell’ignoto, i deserti del possibile,  come un edificio millenario, che accoglie culture differenti attraverso un ponte sorretto dalle arcate dell’ospitalità.

Per conoscere questa realtà, compiremo un viaggio nel mondo antico, studiando le antiche leggi che ne governavano l’ospitalità, perché per i nostri antenati greci  accogliere un viandante, fosse un mercante o un vagabondo, non era soltanto un gesto di cortesia, ma era un obbligo morale dettato dalle leggi di Zeùs Xènion.  Come scriveva Omero nell’Odissea, rivolgendosi al padre degli dei: “Zeus ospitale, vendicatore degli stranieri e dei supplici, che gli ospiti venerandi accompagna…”. È evidente che la xènia non è un esercizio afferente alle istituzioni umane, ma si comprende, con icastica lucidità, che è attinente al giudizio divino, che elargirà premi o infliggerà punizioni esemplari a seconda del trattamento ricevuto dall’ospite.

Zeus

La xènia greca ha origini che risalgono a prima di Socrate e della sua scuola, prima ancora che Lacedemoni e Ateniesi unissero le forze per sconfiggere il nemico persiano,  prima della civiltà micenea e cretese. Essa risale infatti ad una Grecia rurale, legata con catene d’oro alla madre Gea. Risale al tempo degli aggiogatori di buoi o Bouzygai. Anticamente la prima aratura dei campi era considerata sacra e veniva praticata da  una casta aristocratica di sacerdoti,  detti appunto Bouzygai, per propiziare il raccolto e onorare la dea Demetra, colei che, facendo dono del grano agli uomini, li aveva innalzati al di sopra dei modi primitivi di vivere.  Una volta conclusa l’aratura sacra,  i sacerdoti lanciavano 3 maledizioni contro chi compiva atti che andavano contro il volere degli dei.

Queste maledizioni, o “araì”, erano dirette  contro chi non donava fuoco e acqua a chi ne faceva richiesta;  contro chi non seppelliva i morti;  e infine contro chi non indicava la retta via al viandante.  Infatti: chi non dona cibo o un riparo a chi ne ha bisogno, lo condanna alla morte. Così pure chi non seppellisce i morti, reca offesa agli dei (come quando Achille, preso dall’ira, non solo si rifiutò di dare sepoltura al cadavere di  Ettore, ma lo trascinò dietro al suo carro attorno alle mura di Ilio, destando il risentimento  di Apollo, che lo metteva in guardia da questa pratica, poiché: “È terra muta quella che sta sconciando…”, vale a dire che un uomo deve essere rispettato anche quando cessa di vivere, perché “è terra muta”, ossia non può chiedere niente né difendersi, è affidato completamente all’aiuto degli altri).  La terza maledizione, quella che impone di indicare il cammino al viandante,  concludeva il rito ed è emblematica di quanto la civiltà greca fosse aperta all’accoglienza e di come questa apertura ponesse le basi per edificare una famiglia umana solidale ed inclusiva.

Ospitalità

Mi sia consentito un parallelismo con i tempi attuali.  Pensiamo ad uno straniero che si trovi, per le ragioni più disparate, a vivere in un paese che non conosce. Come potrebbe orientarsi quando non conoscesse l’idioma, come potrebbe sentirsi parte del consorzio civile in cui si trova se non avesse a disposizione uno strumento adeguato che gli indicasse la via da seguire, uno strumento che gli permettesse di comunicare con le persone a lui care che si trovano dall’altra parte del mondo? E ancora, come farebbe questo straniero a trovare un lavoro,  a creare una sua piccola comunità e a sua volta, col tempo, aiutare altri migranti, altri membri di questa famiglia di migranti nel mondo? L’utilizzo dello smartphone è fondamentale quanto, o forse più, del pane stesso, e nessuno di noi lo baratterebbe, perché si sentirebbe smarrito, come un animale ferito sarebbe estraneo al consorzio civile, nemico per gli altri e per se stesso. Questo i greci lo avevano capito bene e si comportavano di conseguenza, mostrandosi disponibili verso gli stranieri e pronti all’ospitalità.

 Continuiamo ora il nostro viaggio nella cultura antica e ci spostiamo su una spiaggia: un gruppo di esuli, fuggiti da una guerra che aveva messo a ferro e fuoco la loro città, stava sbarcando per rifornirsi d’acqua. Credendosi attaccata, la comunità di quella terra cerca di cacciare gli esuli in mare, negando loro lo sbarco, negando acqua e fuoco, rifiutando di rivelare il giusto percorso di viaggio, impedendo agli stranieri di seppellire i loro morti. Non è cronaca contemporanea, anche se, pensandoci bene, potrebbe esserlo benissimo. Siamo invece sulle sponde di Cartagine,  tra le onde e le righe  del poema di Virgilio.  In quella terra straniera Ilioneo  pronuncia queste parole: “Qui, in pochi, nuotammo alle vostre spiagge. Che razza di uomini è questa? O quale patria così barbara permette simile usanza? Ci negano il rifugio della sabbia; ci dichiarano guerra e ci vietano di fermarci sulla terra più vicina. Se disprezzate il genere umano e le armi degli uomini, temete almeno gli Dei, memori del bene e del male”. Accogliere chi chiede soccorso, prestare aiuto e dare ospitalità, è un pensiero che unisce la famiglia umana, un ponte che collega la cultura greca e quella romana.

Achille trascina il corpo di Ettore

Questo embrione di precetti continua nella storia antica, nella  sua “societas hominum”. Cicerone  scrive infatti nel suo De officiis: “Esiste una forma generale di decoro, che si manifesta in ogni ambito della morale, e una seconda forma, alla prima susseguente, che riguarda le singole parti della morale. Il primo suole essere definito più o meno in questo modo, come ciò che è coerente alla superiorità dell’uomo in tutto ciò che lo distingue naturalmente dagli altri esseri viventi. La seconda forma, che è una parte subordinata al genere, viene definita come ciò che è consentaneo alla natura, in modo che in essa appaia la misura e la temperanza, con un aspetto degno di un uomo libero”. Dice inoltre che, per fare parte della società degli uomini, bisogna disporre di ragione e linguaggio. Chiunque le possiede è un uomo e può far parte della “societas hominum”.  Tuttavia affinché questa società possa sostenersi, continua Cicerone,  bisogna rispettare dei “communia” (norme di interesse generale), come dare cibo acqua e fuoco a chi ne ha bisogno, dare un buon consiglio a chi lo richiede, seppellire i morti. Cicerone però introduce un distinguo, un limite, perché aggiunge questa riflessione:  poiché le disponibilità dei singoli sono limitate, mentre  infinite sono le moltitudini di coloro che hanno bisogno, la generosità deve essere tale che resti la possibilità di essere generosi con le persone a noi vicine.  Cosa significa: che vale il precetto “prima gli italiani”,  espresso con voce tonante da chi ha negato rifugio al naufrago?

La mia risposta su questo aspetto è affidata allo stoico Seneca, il quale nella lettera a Lucilio numero 95 scrive: “Membra sumus corporis magni. Natura nos cognatos edidit, cum ex isdem et in eadem gigneret; haec nobis amorem indidit mutuum et sociabiles fecit . […] Societas nostra lapidum fornicationi simillima est, quae casura nisi in vicem obstarent, hoc ipso sustinetur”.

(“Siamo membra di un grande corpo. La natura ci ha creato parenti, avendoci generato dalle stesse cose e per le stesse cose; questa  ci ha ispirato l’amore reciproco e ci ha fatto solidali. […] La nostra società è molto simile a una volta di pietre,  che proprio per questo si regge, destinata a crollare se non si sostenessero a vicenda”).

La società umana è dunque simile a una volta di pietre, che riesce a reggersi senza sfaldarsi soltanto quando esse si oppongono alla caduta, aiutandosi reciprocamente.