L’INGANNO DEI SOGNI
Due astrologi e un santo
di Luigi MANNI
L’opera De somnis (Sui sogni) dell’astrologo e alchimista soletano Matteo Tafuri (1492-1584) – in pratica uno dei tanti libri o trattatelli di oneirocritica che circolavano in Terra d’Otranto – non suscitò preoccupazioni nelle gerarchie ecclesiastiche, trattandosi di una semplice disquisizione sull’origine e sulla natura dei sogni. Di ben altro significato, e per questo probabilmente ritenuta pericolosa dalla Chiesa ufficiale, l’altra sua opera, il De artificio insomniandi (Sull’inganno dei sogni), che, quasi certamente era una guida all’interpretazione dei sogni e, considerato il personaggio, una sorta di almanacco di oneiromanzia, carico quindi di valenze magiche. Soprattutto nel Medioevo si dava grande importanza ai sogni e ci si domandava sul vero significato delle immagini oniriche, in particolar modo sui vantaggi che ne potevano derivare e poi sulla fortuna e sul destino. Ma il futuro era noto soltanto a Dio, imperscrutabile quindi e negato, perciò, a tutti coniectores somniorum (interpreti dei sogni) che, secondo Erberto Petoia (1), erano accomunicati agli indovini e ai maghi. Per questa, chiamiamola così, “eresia gnostica”, legata all’interpretazione del mondo onirico, misterioso e inaccessibile a chi “intender non potea”, e per altre mantiche ed altri atteggiamenti ereticali, il mago Tafuri verrà condannato dall’Inquisizione romana a ben 15 mesi di dura prigione (2). Riuscirà a cavarsela, invece, il suo allievo galatinese Giovan Tommaso Cavazza, filosofo, astrologo, ma soprattutto alchimista (3), il quale, oltre a ricercare la pietra filosofale (il Lapis philosophorum), si interrogava su La cagione dell’indovinare (titolo di una sua opera in volgare). Tuttavia, nonostante i divieti, ci fu una vera e propria diffusione di prontuari di impiego magico – pratico, molto apprezzati ed utili per capire e decodificare i segni che provenivano dal sogno, i messaggi subliminali, i numeri, le rivelazioni, i colori.
Ancora oggi persistono nella nostra cultura gli antichi codici interpretativi dei sogni e continua a valere la regola del “capovolgimento e dell’inversione”, secondo la quale tutto ciò che nel sogno è positivo, nella realtà sarà negativo. E così il colore bianco è negativo e positivo il nero; “l’acqua limpida è di cattivo auspicio a differenza di quella torbida”; sognare la morte di qualcuno gli allungherà la vita; i dolci e i confetti portano sventura. Spesso il sogno diventa il luogo incorporeo visitato dai defunti. Da lì fanno pervenire richieste, messaggi, desideri, confidenze ed anche numeri da giocare al lotto. E se i numeri non vengono indicati con precisione, saranno gli stessi defunti sognati ad essere trasformati in numeri del gioco del lotto, secondo una tecnica altrettanto antica, codificata nell’Almanacco perpetuo di Rutilio Benincasa (1555 – 1626), un opuscolo sopravvissuto sino ad oggi nella versione della Smorfia napoletana.
Ma c’erano altre tecniche ben più antiche ottenute con l’uso magico degli scritti, soprattutto quelli sacri, per esempio aprendo a caso una pagina del Vangelo o del Libro dei profeti. La lettura del primo versetto che capitava sotto gli occhi, aiutava a svelare il sogno e a predire il futuro.
Tutto ciò era vietato e fortemente contrastato dalla Chiesa. In Terra d’Otranto, nel 1567, l’arcivescovo Pietro Antonio de Capua, preoccupato per la deriva ereticale di alcuni ambienti folcloristici della sua diocesi, con una ferma costituzione sinodale, minacciò di scomunicare tutte quelle persone che faranno incanti e gettaranno sorti. Predire le sortes (sorte, fortuna, destino) attraverso appunto la cleromantia (divinazione per sortes) o l’oniromantia (divinazione attraverso i sogni), era considerata opera del demonio (daemonis responsio), condannata ancora nel 1774, come risulta nella Critica propositio dell’agostiniano scalzo, Padre Stanislao di S. Paolo di Soleto (4). I sogni favoriti dal diavolo (il male), i brutti sogni che coincidevano con l’incubus medievale, portavano dritti dritti alla dannazione degli uomini. Ma anche i santi non potevano stare tranquilli: angeli oniropompi, infatti, tenteranno più volte l’anima candida di S. Antonio. Ben altra cosa erano i sogni “veri” che provenivano da Dio, usati, come attesta la tradizione biblica, per parlare agli uomini e guidarli sulla via della salvezza. Questi sono i sogni “garantiti” da sognatori di alte qualità morali. Ne ricordiamo tre: S. Agostino (riceve in sogno la Regola); il sovrano Costantino (da ricordare l’indimenticabile In hoc signo vinces) e Papa Innocenzo III (sognerà S. Francesco che sostiene la basilica di S. Giovanni in Laterano).
L’assunto principale era che l’uomo non poteva svelare il futuro che era noto solo a Dio. Ma come poteva l’uomo districarsi tra sogni demoniaci e false interpretazioni? Come dare all’interpretazione dei sogni una connotazione veramente spirituale? Semplice: con la mediazione spirituale di un santo.
Nel Salento, all’uopo, veniva invocato in sogno S. Pantaleone, molto venerato a Martignano. Da un canto popolare in grico raccolto a Sternatia da Giorgio Leonardo Filieri (5), segnaliamo la seguente invocazione: O San Pantaleo mio, vieni, vieni, vienimi un’ora la mattina per raccontarti quello che ho passato e affinché tu possa raccontarmi quello che dovrò passare. Più sorprendente l’altra invocazione scritta su carta con un pezzo di carbone prima di andare a letto: Santo Pantaleo mio, senti cosa ti dico, per la mia povertà, dammi (in sogno) tre numeri per carità. Nelle due invocazioni è difficile separare le preghiere dai rituali magico – superstiziosi operati dai sognanti. Naturalmente per sapere se il sogno era veritiero, quindi divino e non demoniaco, era indispensabile che si ripetesse tre volte, e così pure, per una vincita sicura, la giocata dei numeri oniricamente favorevoli. Che altro da dire? Sogni d’oro, naturalmente vincenti.
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- Sull’argomento cfr. (a cura di T. GREGORY) I sogni nel Medioevo, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1985 e E. PETOIA, Sogni proibiti, in “Medioevo”, Anno 11, n. 6 (125), giugno 2007, pp. 65-73.
- Su Matteo Tafuri cfr. L. MANNI, La guglia, l’astrologo, la macàra, Galatina 2004, pp. 77-120.
- Su Giovan Tommaso Cavazza alchimista cfr. M. MARRA, Il discorso sopra il Lapis philosophorum del Signore Giovan Thomaso Cavazza, in “Alchimia”, Quaderni di Airesis (a cura di A. DE PASCALIS e M. MARRA), Milano 2007, pp. 213-56.
- Padre Stanislao di San Paolo di Soleto, Critica propositio, Lecce 1774, p. 25.
- G. L. FILIERI, Canti griki di Sternatia, in (a cura di L. MANNI), Guida di Sternatia, Galatina 1993, pp. 81-92.