Il Salento delle leggende
Misteri, prodigi e fantasie nell’antica Terra d’Otranto
di Antonio Mele ‘Melanton’
Quando muoiono le leggende finiscono i sogni. Quando finiscono i sogni, finisce ogni grandezza.
Ho già scritto, su queste stesse pagine, che “siamo quello che eravamo”.
Noi, che per avere un regalo bisognava aspettare la Befana. Ed essere promossi a scuola. Quando a scuola (come ovunque) si andava a piedi. Con scarpe risuolate, e magari fornite di tacce (sorta di piccole mezzelune d’acciaio, sistemate sotto i tacchi e la punta), a salvaguardia dei punti nevralgici delle nostre preziose calzature. Le quali dovevano durare fino e perfino oltre la crescita di numero del nostro piede!, e che comunque resistevano – mai saputo come – ad ogni più frenetica scorribanda, o alle nostre interminabili partite di pallone fra i pini e sul piazzale della “Stanzione” ferroviaria.
Era quello un tempo contadino, ingenuo e puro, che ora appare anch’esso da leggenda.
I libri, legati con un mollettone di gomma, li avvolgevamo in fogli di carta-paglia, per conservarli meglio, dovendo servire poi ai nostri fratelli minori. Come le giacche, che venivano più volte rivoltate e passate in eredità.
Nessuno spreco insomma. Nessun consumismo. Nessun capriccio. Spesso le nostre merendine erano costituite da una semplice fetta di pane appena irrorata d’acqua e spolverata di zucchero…
Eppure eravamo felici.
Poi siamo pian piano (o forse troppo rapidamente) cresciuti. Da adolescenti, quando il primo sputnik si è levato verso lo spazio, sognavamo che un giorno avremmo percorso distanze enormi in un solo secondo, più veloci della luce. Infatti, dopo più di cinquant’anni, ci troviamo imbottigliati nel traffico, alla disperata ricerca di una via d’uscita o di un parcheggio.
Qualche anno prima dello sputnik, anche a Galatina, in piazza san Pietro, era stata presentata alla popolazione una scatola magica, che si accendeva premendo un pulsante: dentro c’era un uomo che dava le notizie, poi appariva un gregge di pecore con la scritta “Intervallo”, di nuovo un altro signore che spiegava come sarebbe stato il tempo di domani, e un altro ancora che faceva domande come a scuola, a persone adulte, però, che quando sapevano rispondere vincevano un premio in gettoni d’oro…
Ancora non sapevamo che quella scatola, col tempo, ci avrebbe rubato i nostri sogni, e le favole della nonna, e il gioco dell’oca, o il prodigioso ntartieni, che noi pensavamo fosse un oggetto misterioso, ed era invece il segnale segreto, quando ci mandavano a ‘prenderlo’ da una zia o da una cugina più grande, che dovevano appunto intrattenerci, senza darlo a intendere, e lo facevano inventando per noi cunti e leggende, che più belli non si può…
Sono ritornato di recente a Giuggianello, paesino tra i più simpatici del nostro territorio, tra Maglie e Otranto, abitato da gente cortese, e con varie interessanti curiosità.
La più nota è sicuramente l’area primordiale detta dei Massi de la Vecchia, di cui ci siamo fugacemente occupati in altra occasione: un grandioso ‘parco’ naturale, costituito da una serie di blocchi di roccia giganteschi, di età preistorica, ubicato dentro un uliveto appena fuori il paese. Fra tali rocce ce n’è una particolarmente spettacolare, costituita da una sorta di ‘torre’ stratificata, a forma vagamente di fuso, detta per l’appunto lu Furticiddhu (cioè la conocchia, nella parlata locale), culminante con un masso oblungo e schiacciato, che dà l’impressione di vacillare sulla sommità, e che per questo viene anche identificato come “la pietra oscillante”.
Ebbene, in questo posto di per sé molto fascinoso, sono inevitabilmente fiorite alcune leggende. Intanto, qui pare che abiti da tempo immemorabile il famoso Nanni Orcu (che è notoriamente il marito della Vecchia), terribile personaggio dei cunti del Salento, che da bambini ci ha fatto tremare le vene e i polsi (e che anche da grandi è meglio non incontrare).
Ma l’indicazione più interessante riguarda la famosa acchiatura (termine equivalente a tesoro: dal vernacolo acchiare, trovare), composta da dodici lumache d’oro massiccio, deposto in un luogo segreto della campagna, e custodito notte e giorno dalla Vecchia in persona. La quale, se avrete la sfortuna (o fortuna) d’incontrarla il 24 giugno, giorno di san Giovanni, vi potrebbe porre tre semplici domande oscure e misteriose, con queste due opposte conseguenze: rispondendo esattamente ai quesiti, conquisterete la preziosa acchiatura e ve ne tornerete a casa liberi e ricchissimi; in caso contrario, sarete pietrificati per l’eternità, e farete parte anche voi della spettacolare collezione di quei Massi, che adornano le campagne di Giuggianello da tempo immemorabile.
A proposito di acchiatura, bisogna sapere che il tesoro più importante e grandioso del nostro Salento si trova ancora nascosto in un tratto di territorio del versante adriatico, compreso tra Roca Vecchia e Torre dell’Orso, ed è a disposizione di chi abbia per primo la ventura di trovarlo.
Per i ricercatori più audaci e avventurosi, diamo qui alcune utili indicazioni (basate su teorie storiche e scientifiche, che si tramandano di generazione in generazione), augurando che qualche nostro Lettore, dopo secoli di inutili tentativi, porti finalmente a compimento l’impresa, ricordandosi altresì di questo prezioso contributo fornito da Il filo di Aracne.
Va intanto tenuto in conto che la favolosa Acchiatura di Roca è sepolta a sud-ovest della Torre di avvistamento. A nascondere il tesoro, per tener fede ad un voto religioso, fu, nella notte dei tempi, la Regina Isabella, aiutata da sette suoi fedelissimi servitori. Per trovare il prezioso nascondiglio, fate attenzione ad un segnale preciso e inconfondibile: un arco di dodici grosse pietre, attraversato da una specie di freccia in legno d’ulivo. Nella direzione della freccia si conteranno trentatrè passi, dopo di che si potrà cominciare a scavare, fino a raggiungere la profondità di un metro. Se si troverà una croce di ferro, vorrà dire che si è nella direzione giusta, e bisognerà scavare per un altro metro. Dovrebbe a questo punto affiorare una tavoletta di bronzo con l’immagine a rilievo della Madonna di Roca, segno anche questo che il percorso è esatto. Si scaverà ancora per un altro metro, e in fondo al ‘pozzo’ si troverà finalmente un forziere pieno di monete d’oro, gioielli e pietre preziose di inestimabile valore, che potrete riportare in superficie, sempre che, ovviamente, riusciate a dare la risposta esatta ad un arcano indovinello che vi sarà posto dalla solita Vecchia de lu Nanni Orcu, arcigna guardiana anche di questo luogo…
Sempre a Roca Vecchia si narra ancora di una giovane Principessa che ogni giorno, all’ora vicina al tramonto, amava fare il bagno in una grotta, restando in acqua fino al sorgere della luna. Una sera, un Poeta piuttosto timido la vide di nascosto, e se ne innamorò. Così ne parlò con un suo amico, anch’egli poeta, e questi ad un altro, e quest’altro ad un altro ancora, finché tutti i poeti del Regno non accorsero alla Grotta per ammirare la Principessa e comporre i versi più sublimi in onore della sua bellezza.
Ancora oggi, quella grotta è appunto conosciuta come Grotta della Poesia, e si dice che basta che due amanti vi entrino una sola volta per innamorarsi poi eternamente.
Restando in zona, diremo che al Capo di Leuca, fanno… capo diverse leggende particolarmente suggestive, e qualcuna anche piuttosto drammatica.
Una di esse narra che San Pietro, arrivando dall’Oriente, abbia messo piede proprio alla punta estrema della penisola salentina, e da qui abbia poi proseguito verso Roma nella sua opera di evangelizzazione delle popolazioni italiche. A questa sosta del primo Apostolo della Chiesa è strettamente collegata la tradizione che vuole che nessuno possa entrare in Paradiso se, da vivo oppure da morto, non abbia fatto pellegrinaggio per almeno una volta al Santuario di Santa Maria de Finibus Terrae. Sicché, molte anime di buoni cristiani, che in vita non ebbero la possibilità di effettuare tale visita, si fermano a pregare nel Santuario della Madonna prima di volare in cielo.
Sempre nel Capo, dove giocano e più spesso si azzuffano i due mari Adriatico e Jonio, s’intrecciano altre storie fantastiche. Come quelle che riguardano schiere di feroci dèmoni, i quali, per invidia delle bellezze di quei luoghi (che all’origine erano splendidamente rigogliosi), hanno via via sconvolto la costa, erodendo scogliere, o rendendo aspro e spigoloso il paesaggio, o creando infine grotte ed anfratti inaccessibili, che tuttavia, senza volerlo, danno a questi stessi luoghi un’insolita selvaggia bellezza.
Proprio da quelle grotte frastagliate, un’altra leggenda vuole che, durante le notti di tempesta, specialmente in inverno, escano ancora oggi torme di streghe scarmigliate che, sciogliendo i venti di burrasca, agitando le onde e accendendo con le loro fiaccole il cielo di fulmini, si mettono a ballare per ore in un turbinio di canti lamentevoli e cupi, allo scopo di attirare nel loro irrefrenabile sabba qualche solitario viandante.
Per cui, se proprio non se può fare a meno, nelle tempestose notti d’inverno, meglio starsene a casa.