Le armi del futuro?
di Antonio Salmeri
Viviamo in un contesto storico e geo-politico in cui le prospettive di vivere in pace si riducono sempre di più a causa dei conflitti militari che si protraggono ininterrottamente in varie parti del mondo. È stato calcolato che sul pianeta Terra ogni anno vengono combattute più di 100 guerre di durata diversa, a volte tra stati confinanti o più frequentemente tra gruppi di rivoltosi interni contro governanti dello stesso paese. I conflitti armati più dibattuti dai media, e soprattutto che riguardano maggiormente noi italiani (in quanto membri della Nato e dell’Unione Europea) sono la guerra in Ucraina, paese invaso nel 2022 dalla Russia, e la crisi in Medio Oriente scaturita dopo l’attentato in Israele del 7 ottobre 2023 per mano dei militanti del gruppo terrorista Hamas. In risposta a quell’azione oltraggiosa è partita la dibattuta invasione della striscia di Gaza condotta dall’esercito israeliano (IDF) su ordine del presidente Netanyahu, con il conseguente inasprirsi dei rapporti (già compromessi) con l’Iran.
A questi due conflitti va aggiunta la crisi nell’arcipelago di Taiwan, stato asiatico dalla forte economia (spalleggiato dagli USA), che da decenni si batte per la propria indipendenza politica dalla Cina continentale, anche se di recente il presidente cinese Xi Jinping ha ribadito di voler riunificare Taiwan e Cina. Non meno allarmante è la corsa agli armamenti della Corea del Nord, da lungo tempo perseguita dal presidente dittatore Kim Jong-un, al fine di rafforzare il suo controllo militare sull’intera area del sud-est asiatico.
Com’è facile dedurre, i conflitti succitati non sono iniziati in tempi recenti, ma sono frutto di crisi ed escalations ben più profonde e continue. Ad esempio, la crisi in Palestina è nata nel 1948 in seguito alla creazione dello stato d’Israele, mentre la guerra tra Ucraina e Russia può essere considerata come il risultato di un inasprimento della guerra civile scoppiata nel 2014 nella regione ucraina del Donbass tra forze militari governative ucraine e militanti separatisti filorussi. La guerra è quindi un tema sempre attuale in vari stati del mondo, con il conseguente investimento di enorme ammontare di denaro pubblico e la ricerca di armi sempre più innovative e devastanti. Basti pensare che gli USA, potenza militare che osserva da vicino tutti i conflitti più importanti in corso, nel 2023 hanno speso da soli in armamenti il 70% di quanto speso da tutti i paesi della Nato, che sono in totale 32.
Sappiamo di trattare un argomento ostico, poiché le armi hanno sempre uno, o peggio, due obiettivi da raggiungere: distruggere e uccidere. È giusto però informarsi per avere un’idea di cosa potrebbe succedere in futuro con la potenza di fuoco tecnologica e innovativa che certi stati hanno raggiunto. Anche perché, come accade ormai da anni in Israele, le armi tecnologiche possono essere impiegate anche per difendere efficacemente i civili, le postazioni logistiche e quelle militari dagli attacchi dei nemici.
Le armi offensive più potenti sono in grado di distruggere totalmente il pianeta Terra. Negli ultimi cent’anni il genere umano ha fatto progressi rivoluzionari per migliorare la qualità e la durata della vita, per vincere la lotta ai tumori, per affrontare pandemie e permettere a molte persone di vivere dignitosamente, mettendo a loro disposizione conoscenza, lavoro, libertà e benessere. Eppure, in un contesto di questo tipo, che si suppone volto alla salvaguardia del nostro futuro e al bene comune, alcune menti ingegnose, ma votate a fini perversi, sono state in grado di architettare segretamente delle armi tecnologicamente avanzate dalla potenza offensiva ipoteticamente distruttiva per l’intero pianeta.
Nell’immaginario collettivo contemporaneo l’ordigno più temuto e devastante che sfrutta il progresso scientifico e tecnologico è certamente la bomba nucleare, e di recente qualche leader mondiale, Vladimir Putin in primis, ha addirittura minacciato di farne uso, se necessario. Pensiamo per un attimo alle due bombe atomiche che gli Stati Uniti sganciarono sui cieli delle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 agosto del 1945. L’esplosione più potente delle due bombe fu generata da Fat Man, l’ordigno deflagrato sui cieli di Nagasaki, che causò istantaneamente la morte di decine di migliaia di persone innocenti (sono stati calcolati tra i 20.000 e i 75.000 morti in pochi attimi, senza contare i numeri ben peggiori dei morti che ci furono in seguito a causa dalle radiazioni propagate nell’area circostante per diversi chilometri). Fu una pagina vergo- gnosa della storia dell’umanità, che si aggiunse in coda alle incalcolabili vicende disumane della seconda guerra mondiale. Fat Man sprigionò una potenza distruttiva di 21 chilotoni circa (equivalenti a 21.000 tonnellate di tritolo), e viene da chiedersi oggi, 79 anni dopo, quale potenza abbiano raggiunto gli ordigni più avanzati a disposizione degli stati impegnati nei conflitti in corso (USA e Russia in primis).
La bomba ad idrogeno (o Bomba H, considerata come un’evoluzione delle bombe atomiche del 1945) più potente della storia mai sperimentata sul pianeta è stata la Bomba Zar, testata dall’Unione Sovietica sul Mar Glaciale Artico nel lontano 1961. Tale ordigno generò un’esplosione mai vista prima (si può cercare il video dell’esplosione su YouTube per avere un’idea degli effetti distruttivi), creando il caratteristico “fungo” di fuoco e fumo, tipico di queste bombe, che raggiunse una potenza devastante compresa tra i 50 e i 57 megatoni (equivalenti a circa 1.570 bombe atomiche come Fat Man esplosa a Nagasaki nel 1945, o ancora, equivalenti a 10 volte il totale di tutte le bombe convenzionali utilizzate dai paesi coinvolti nella seconda guerra mondiale). Sono numeri spaventosi, soprattutto se si pensa che sono passati 63 anni da quel test, e già all’epoca gli ingegneri militari sovietici sostenevano di aver a loro disposizione altre bombe ad idrogeno capaci di sprigionare almeno il doppio della potenza della Bomba Zar testata nel 1961.
E gli USA? Durante la corsa agli armamenti della Guerra Fredda gli americani hanno creato e poi abbandonato diversi progetti riguardanti ordigni ad idrogeno o termonucleari di varia potenza e tipologia, che sono rimasti più o meno segreti. La stessa cosa è avvenuta sul fronte russo, e ad oggi è impossibile calcolare la potenza di fuoco dei due stati, salvo per alcuni numeri ritenuti affidabili. Si calcola che gli USA avrebbero a disposizione almeno 5.500 testate nucleari, la Russia più di 6.000, senza contare quegli ordigni di nuova generazione che ad oggi sono dotati di tecnologie innovative e potenza di fuoco ben maggiore, di cui l’opinione pubblica ignora l’effettiva potenzialità, ma che probabilmente hanno la capacità di ridurre il pianeta ad un cumulo di macerie.
Le guerre di oggi si fanno con armi di nuova generazione. Le guerre moderne sono decisamente differenti da quelle combattute nel secolo scorso. Il conflitto in Ucraina ne dà una grande dimostrazione: la novità più recente e temuta è rappresentata dai missili ipersonici Zirkon in dotazione alla Marina russa dal 2022 e in grado di raggiungere la velocità, mai vista per un ordigno, di oltre 10.000 km/h, ossia circa nove volte superiore alla velocità del suono, e quasi impossibili da intercettare con i sistemi difensivi in circolazione per un diametro d’azione di circa 1.000 km. Gli Ucraini, d’altro canto, sono certamente meno equipaggiati, e di conseguenza vengono continuamente riforniti dalla Nato e dagli alleati occidentali. Uno strumento tecnologico innovativo e offensivo, che viene costantemente utilizzato dagli ucraini, è il drone, un apparecchio volante opportunamente modificato ed in grado di ospitare granate o razzi da sganciare sulle truppe di fanteria e sui carri armati nemici, o peggio ancora per compiere azioni suicide. Si tratta di un’arma relativamente modesta, ma che sta complicando in maniera evidente l’avanzata russa.
La tecnologia Stealth. Qualcuno ricorderà questa parola, stealth, con la quale venivano indicati gli aerei da guerra, tra i più moderni, che si rendevano “invisibili” ai radar già a partire dalla Prima Guerra del Golfo nel 1989. Questa innovazione è ampiamente utilizzata anche oggi, e in molti casi risulta fondamentale per la buona riuscita delle sortite negli spazi aerei dei nemici. Attualmente la tecnologia Stealth è applicata anche ad elicotteri e unità navali, ma di recente sono stati inventati dei radar che sarebbero in grado di rilevare, in determinate circostanze, un velivolo o un’imbarcazione invisibile.
La “guerra dei bottoni”. Che si parli di bombe ad idrogeno, di missili ipersonici o di droni lanciagranate l’aspetto comune a queste armi è l’utilizzo della tecnologia. In tutti i casi, infatti, l’ordigno viene teleguidato da un operatore umano che si trova a centinaia di metri o addirittura chilometri di distanza, o meglio ancora è lo strumento esplosivo che si autogestisce mediante l’intelligenza artificiale impostata in precedenza. È una versione moderna della concezione della guerra, in cui vengono impiegati meno uomini, quando possibile, facendo ricorso al progresso tecnologico e all’ingegneria. Gli strumenti tecnologici permettono oggi alle potenze mondiali di avere anche una visione dei nemici ad ampissimo raggio, grazie agli strumenti di rilevazione (radar, satelliti-spia, intercettazioni radio, internet) che hanno rivoluzionato anche lo spionaggio e il lavoro dei servizi segreti. A questi si aggiungono poi i fondamentali mezzi UGV (Unmanned Ground Vehicle), veicoli senza equipaggio umano e pilotati a distanza per eseguire ricognizioni, o per offrire supporto alle unità mobili.
Armi difensive: lo scudo protettivo dei cieli israeliani. Concludiamo con le armi progettate a fin di bene, cioè per la difesa diretta delle città e dei loro abitanti. Per ridurre al minimo i danni provocati dal lancio di razzi dalla Cisgiordania, dalla Siria, dal Libano e dalla striscia di Gaza (praticamente da tutte le direzioni) contro Israele, dal 2011 è operativo Iron Dome (in inglese Cupola di ferro), un sistema mobile difensivo altamente tecnologico e intelligente in grado di intercettare razzi, proiettili d’artiglieria e missili balistici in avvicinamento sulle zone abitate dello stato israeliano. Come funziona? Succede tutto in tre fasi: attraverso un radar vengono individuati gli oggetti volanti potenzialmente offensivi in avvicinamento, subito dopo viene trasferita l’informazione ad un sistema di gestione che ne calcola la traiettoria, e infine l’unità di fuoco di Iron Dome memorizza le informazioni ricevute dal radar e dal sistema di gestione per lanciare dei missili intercettori (chiamati Tamir e pesanti 90 kg ciascuno), dotati di sensori elettro-ottici che gli permettono di cambiare direzione e di avvicinarsi autonomamente al bersaglio, per colpirlo prima che esso raggiunga il suolo.
Una terza guerra mondiale avrebbe conseguenze devastanti? La risposta è veramente difficile da dare, e certamente dipende da chi ha il compito di gestire le armi distruttive che sono state concepite dalla mente dell’uomo. Il numero di ordigni nucleari custoditi oggi in giro per il mondo destano notevole preoccupazione, poiché potrebbero generare uno scenario apocalittico, se utilizzati tutti insieme. Come sempre bisogna rimanere ottimisti, e sperare che la pace e il buon senso possano avere la meglio sulle mire bellicose di certi leader potenti, che oggi si prendono la libertà di minacciare l’uso di chissà quale arma tecnologica di ultima generazione in grado di spazzare via città o regioni intere del nostro pianeta in pochi secondi.