Intorno all’anno 1000, oggi nell’agro di Sannicola ma un tempo nell’antico agro di Gallipoli, sulla collina dell’Alto Lido, a due km dalla ‘Città bella’, fu costruita l’abbazia di san Mauro, luogo di culto per monaci e fedeli di rito greco-ortodosso. Chi per primo informò gli studiosi dell’esistenza di questa abbazia fu Antonello Roccio il quale, in un suo manoscritto, oggi conservato nella Biblioteca civica di Gallipoli, intitolato Notizie memorabili dell’antichità della fedelissima città di Gallipoli (1640), a carta 303, scrive: «San Mauro, intorno al 1519, anno in cui sull’abbazia officiava ancora l’ultimo abate, e[ra] rovinata senza [altri] monici, solum con l’Abate, quale rende circa ducati 100 l’Anno».
Alcuni secoli dopo il Roccio, chi si interessò di scrivere dell’abbazia fu Bartolomeo Ravenna il quale, nelle sue Memorie istoriche della città di Gallipoli (Napoli 1836, ristampa Gallipoli 2000 con la cura di Elio Pindinelli e Mario Cazzato), scrive: «Esisteva in Gallipoli un antico e gran Monastero de’ Padri Basiliani […] Era in oltre molto ben provvisto di rendite, possedendo tutto ciò che in terraggi, oliveti, canoni, decime ed altro, forma l’Abadia di S. Mauro, che poi fu conceduto al nostro Seminario, insieme coi beni che sono nei territorj di Nardò e Vetrana nominati ‘Curti veteri’. Possedeva pure l’Abadia di S. Salvatore, un’altra col titolo di San Mauro in Galatina, e molti altri beni in Ugento, Felline, Taurisano, Casarano e Presicce. Vicino alla Città, e nella distanza di circa tre miglia, ove attualmente è la Chiesa di S. Mauro, era luogo in cui colla Chiesa esisteva l’abitazione per uno de’ Religiosi, che colà dimorava per invigilare agli affari campestri, ed agl’interessi e rendite del Monistero./ Non si ha notizia dell’epoca precisa nella quale questo Monastero fu eretto, ma devesi supporre, che ciò accadde verso il secolo VI, allor quando l’Ordine di S. Basilio divenne sopra tutti gli altri più celebre e numeroso, e che nelle nostre Provincie più vicine ai Greci s’incominciarono a stabilire de’ Monasteri di un tale Ordine./ Nel secolo XIII fu distrutta la Città, e con essa anco la Chiesa ed il Monastero de’ Monici di S. Basilio. Passati i dispersi cittadini ad abitare nella maggior parte nel proprio territorio, i Monici si ricoverarono in detta Chiesa di S. Mauro, ed all’antica abitazione aggiunsero alcune piccole stanze per loro comodità, e vi rimasero per molti anni. Né i cittadini né i Monici, pare, che avessero potuto più badare alla già distrutta Chiesa e Città, dacché trovo notato avere scritto l’Abate Camaldari nella sua storia, che i marmi di questa Chiesa furon tolti e portati altrove dai Calabresi, ed anco dai Siciliani furtivamente, e che sotto alle macerie dopo il decorso di più anni furon trovate due bellissime colonne di marmo, residuo delle molte, che adornavano quella Chiesa» (pp. 348 sgg.).
Altro autore che si interessò dell’abbazia di san Mauro, fu F. Tanzi (un galatinese) nel suo libro L’archivio di Stato di Lecce (1906), il quale scrive: «Nel secolo XV vi erano ancora monaci; lo togliamo da un capitolo di grazie concesse da Federico d’Aragona alla città di Gallipoli: “Item perché lo nostro clero è molto poverissimo et questa nostra patria (Gallipoli) è poco dotata di beni beneficiali, detto clero pate assai et presertim quando delli pochi benefitij che vacano s’investono forestieri, se supplica V. Maestà gratiose se degna concedere che tutti i benefitij vacassero et signanter una Abadia nominata Santo Mauro non se possa concedere eccetto ai cittadini de questa città eligendoli a chi appartiene. […] L’Università di Gallipoli fu sollecita a fare novelle istanze a Carlo V: “Item come in lo destritto et territorio della detta città si trova situata una Abbacia sub vocabulo de Santo Mauro Suburbano de lo Ordine de Santo Basilio, e rovinata senza monici solum con lo Abbate, quale rende circa ducati cento l’anno supplicano a loro Altezze loro piaceza et se degneno gratiose quella concedere et donare allo capitulo et clero di detta città doppo la morte del presente Abbate, cum sit; che de detta città alla quale servono continuamente acciò che possano vivere et vacare allo culto et officii divini. […] Nel giorno di S. Mauro, primo di Maggio, celebravasi nella platea del monastero una gran fiera, dove accorreva tutta la popolazione circostante./ Pertanto da questo tempo non solo incominciarono a scomparire le ultime reliquie degli edifici basiliani e delle antiche abitazioni dei coloni greci, ma la stessa chiesa fu abbandonata, non celebrandovisi qualche messa se non di rado./ Non al clero di Nardò, né ai cittadini di Gallipoli furono concesse in beneficio le rendite del calogerato; fu solo nella seconda metà del secolo XVIII che esse vennero con bolle papali e regio assenso annesse al Seminario Diocesano. Ora la fattoria di S. Mauro è proprietà privata» (pp. 146-148).
Chi cominciò però a interessarsi seriamente dello stato di conservazione delle due abbazie fu Alba Medea, incaricata negli anni ‘30 dalla Società Magna Grecia Bizantina Medievale, che la inviò in Puglia per verificare lo stato di conservazione degli affreschi bizantini. Dopo il suo reportage, la Medea pubblicò il suo lavoro in un libro intitolato Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi (Roma-Tivoli, 1939), recentemente (marzo 2014) ripubblicato dall’editore Lorenzo Capone di Cavallino con la presentazione di Antonio Ventura.
La Medea scrive: «La chiesetta [di san Mauro] è abbandonata ed esposta alle intemperie, di notte pare si rifugino pastori ed armenti. Mancano i battenti alle porte e in genere le aperture e le luci sono prive di infissi. Le strutture murarie sono abbastanza solide. Il pavimento, in origine a tre ripiani che risalgono verso il presbiterio, dovrebbe essere ricostruito a lastre di pietra calcarea. Gli affreschi sono ancora in gran parte, soprattutto nell’imbotto della volta, sulle pareti e in parte anche nei sott’archi longitudinali della navata mediana, ricoperti dalla scialbatura generale di tutta la chiesetta. Quelli visibili e descritti affiorano qua e là, ove forse un tempo addietro si cercò di rimetterli in luce ed ove l’intonaco è caduto per azione dell’umidità e della brezza marina. Naturalmente tali affreschi appaiono assai deturpati e deterioratissimi» (p. 246).
Dal momento di questa sua relazione sarebbe passato dell’altro tempo prima che un altro studioso volgesse il suo interesse a san Mauro. Infatti, circa trent’anni dopo, nel 1967-68, Gianfranco Scrimieri, allora redattore della rivista «La Zagaglia», fece un sopralluogo e uno «studio di ricognizione» sull’abbazia scrivendo: «San Mauro rientra nel novero delle piccole o grandi abbazie basiliane affidate alla distruzione del tempo e alla sconsiderata incompetenza degli uomini […] Da notare che la parte sinistra, fino a uno o due anni fa murata, è di nuovo aperta, la luce penetra all’interno, oltre che dalle aperture suddette, da due finestrelle […] Gli altri buchi, praticati qua e là specialmente nel muro di destra, che è l’attuale ingresso della chiesa, e la feritoia aperta nel centro dell’abside, fanno presagire un lento fatale decadimento dell’intero edificio. Uno dei sei pilastri che dividono la chiesetta in tre navatelle, si mantiene in piedi solo grazie a pochi frammenti delle pietre destinate a sorreggerlo. Il pavimento non esiste più. Ci sono soltanto delle buche, più o meno larghe e profonde, ulteriore segno dell’ignoranza e della superstizione […] Degli affreschi dell’abside resta ben poco. Non si può nemmeno scorgere quella Déesis che la Medea credeva di poter trovare nel 1939. Sembra quasi che la gente si sia divertita a scalfire le pareti, un po’ ovunque, e non solo per apporvi nomi e date. Il luogo, alquanto impervio, non riesce a frenare la curiosità distruttrice, tanto più che non ci sono né porte né battenti e le aperture non hanno infissi. Il portale è chiuso a qualche metro di distanza, da un muretto. Non basta [però]» (v. G. Scrimieri, Immagini e storia della Chiesa di S. Mauro in territorio di Sannicola, in «La Zagaglia», n. 36, dicembre 1967, ib. n. 37, marzo 1968).
Dall’intervento dello studioso salentino su «La Zagaglia» passarono ancora altri dieci lunghi anni prima che qualcun altro richiamasse l’attenzione sullo stato di conservazione dell’abbazia basiliana. Costui fu Domenico De Rossi, storico gallipolino, che riprese gli studi precedentemente fatti, fece diversi sopralluoghi sul sito e concluse il suo lavoro riportandolo nel volume Civiltà Salentina (Cutrofiano 1978), dove leggiamo: «Al lato della chiesa si apre una cavità, in cui si può scorgere qualche frammento di pittura che non basta a stabilire l’effettiva destinazione della stessa. Al di sopra di esse, all’esterno, e dietro l’abside, mucchi di pietre rimangono accatastati, ma non sciolgono alcun interrogativo. Al di sotto della terra potrebbero trovarsi i resti dell’antico cenobio: all’interno dell’antro, altri frammenti di pittura, forse i primitivi, rudimentali altari, i giacitoi. Ma […] i mezzi inesistenti, la non giovane età, [e], soprattutto, la mancanza di autorizzazione, sconsigliano la ricerca per stabilire con precisione ov’era l’eremo basiliano. […] Una Madonna col Bambino, forse la migliore composizione pittorica, sulla faccia del primo pilastro volta verso l’abside, è quasi del tutto scomparsa […] Degli affreschi dell’abside resta ben poco. Non si può nemmeno scorgere quella Déesis (Cristo col Vangelo tra due figure oranti)» che, fino a non molto tempo prima, si potevano ancora vedere.
Qualche anno dopo il De Rossi toccò a me verificare lo stato di abbandono dell’antica abbazia di san Mauro. Verificai de visu che il muretto che lo Scrimieri aveva notato, sul quale poi era stata posta l’inferriata, era in parte crollato e l’inferriata stessa era stata divelta e contorta. Gli antichi tratturi, quello che sta dietro l’edificio e quello che dal fondo della strada provinciale porta sulla sommità della collina, erano stati barbaramente interrotti da muretti di delimitazione edificatoria. L’interno dell’abbazia, poi, letteralmente sconvolto: non c’erano più i tre ripiani della pavimentazione, da quello più basso (che s’incontrava appena entravi) a quello in alto (che stava ai piedi dell’abside). C’era solo un informe cumulo di macerie e di buche, tanto che in alcuni punti il terreno posto di rinforzo sotto alcuni pilastri aveva cominciato a venire meno col continuo rischio che qualcuno di essi poteva cedere anche per un piccolo smottamento. Non esistevano quasi più le antiche pitture: là dove esse non erano state picchiettate con pietre o punte di ferro si era formata una crosta di calce salmastra che aveva coperto definitivamente le ultime ombre di quelle che erano state le pitture. La Déesis dell’abside non esisteva quasi più: al suo posto c’era un incolore muro impregnato di umido e di intonaco scrostato. Sulle pareti laterali dell’edificio, in alcuni punti, i secolari tufi sembravano sul punto di sfaldarsi da un momento all’altro. Uscito all’esterno dell’abbazia, mi sono arrampicato sul retroabside. La terrazza a semibotte era ormai piena di vecchie radici che minacciano le chiusure a chiave dei tufi. Lo stesso campanile a vela, che si alza sulla cuspide, correva anch’esso seri pericoli: alla sua base le radici di erbe selvatiche e i forti venti avevano rosicchiato le congiunzioni. Tutto ciò interessava l’edificio vero e proprio, perché altro discorso era guardare e giudicare lo stato d’abbandono dell’intera area cenobitica. Per avere idea della situazione di degrado in cui si trova oggi san Mauro, bisogna pensare che non c’è più alcuna possibilità d’individuazione degli antichi limiti della coorte basiliana; del loro antico piccolo cimitero non c’è più traccia, come pure del loro minuscolo campo di lavoro, annessi entrambi all’edificio. Neanche la laura, che fungeva da dormitorio-rifugio dei monaci, e che si trova subito a fianco della cappella, si è salvata dalla furia devastatrice di alcuni irresponsabili. Il fondo della caverna è stato manomesso e rivoltato; ciò ha provocato guasti irreparabili agli strati inferiori appartenenti ad epoche storiche sicuramente precedenti a quella dei basiliani. Fortunosamente non sono state ancora “toccate”, perché leggermente più distanti dall’edificio alcune specchie ed un cumulo di terra, rimasti cosi com’erano originariamente.
Dell’antica abbazia di san Mauro non è rimasto altro, e se qualcuno non interverrà subito quel poco che ancora può essere salvato, fra non molto di questo antico luogo resterà soltanto il ricordo. Fortunatamente c’è ora da annoverare il più importante e completo studio su san Mauro a cura dello storico dell’arte Sergio Ortese con il libro Sannicola. Abbazia di san Mauro. Gli affreschi sulla serra dell’Altolido presso Gallipoli (Copertino, Lupo editore 2012). In questo monumentale lavoro a più voci si analizza approfonditamente la storia, le architetture, gli affreschi e le correlazioni delle due abbazie con il contesto greco-bizantino dell’area meridionale.
Per fortuna, oggi, ma mi riferisco agli ultimi 20 anni, le Amministrazioni comunali di Sannicola (sindaci Sergio Bidetti prima e Giuseppe Nocera dopo), si sono prodigate per acquisire alla proprietà pubblica l’abbazia di san Mauro, ed iniziare così un programma di restauro tuttora in corso. (Maurizio Nocera)