LA “SPINA” DEL VESCOVO
Anche nei periodi più bui, la giustizia, seppure tra tanti stenti, ha fatto il suo corso
di Emilio Rubino
Qualche volta, quando l’animo umano è tormentato da una forte emozione o dal dolore per una spiacevole traversia, si usa dire che quell’evento “ci ha punto il cuore”.
Cos’è che può provocarci una sensazione così intensa, se non una “spina”?
Di spine ci sono tante, tutte pungenti, tutte dolorose e mai piacevoli.
Ci sono “spine incarnite”, che, in alcuni casi, sono difficili da estrarre, perché penetrate troppo in fondo; ci sono “spine velenose”, che, oltre a provocare un forte dolore, possono, se non estratte immediatamente, determinare una necrosi della parte interessata; ci sono, inoltre, “spine di riccio o di rosa”, e, a voler essere un po’ spiritosi, “spine… elettriche”, anche se, considerato il tempo in cui si svolgono i fatti che stiamo per raccontare, non ve ne erano.
Per non arrovellare più di tanto il cervello dei nostri incuriositi lettori, dobbiamo puntualizzare che la “spina”, di cui stiamo per parlare, è tutta particolare: è una “spina” dolce, una “spina” che, nel lontano XVI secolo, fece girar la testa al vescovo di Nardò, Giacomo Antonio Acquaviva, figlio del turpe e cattivo Signore della città, chiamato spregevolmente dal popolino con l’appellativo di “Guercio di Puglia”.
Giacomo Antonio Acquaviva non era un sacerdote, eppure ne fu investito. Tanto ottenne per potenza di casta, da indurre il Pontefice, Papa Leone X a elevarlo al soglio vescovile di Nardò il 25 febbraio 1521.
Insediatosi nel sontuoso palazzo adiacente alla Cattedrale, il nuovo vescovo si circondò di un nugolo di giovani fedeli. Tutti si amavano come se fossero “Fratelli di Cristo” ma, in quel palazzo, chi si atteggiava a vero Cristo era soltanto lui, il Vescovo, giovane fra giovani, pieno di vitalità, aitante e bello come nostro Signore Gesù.
Nelle segrete stanze di quel palazzo una Spina… punse il giovane Vescovo, ma non fu una spina che provocava dolore, bensì una spina dolce, bella, piacevole, cara e affettuosa, che fece impazzire il vescovo Acquaviva tanto intensamente da farlo suo, per sempre.
Il lettore non si scandalizzi più di tanto. Quella era l’epoca in cui gli “strappi alle regole” erano all’ordine del giorno e che, in un certo qual modo, potevano essere anche tollerati. Di storie di preti e di prelati, che abbandonavano la giovanile vocazione per la Santa Madre Chiesa e si rifugiavano tra le calde braccia di qualche “pia donna” in estasi, ve ne erano a “buzzeffe”, come si usava dire a quel tempo.
Vi è una lunga serie di storie boccaccesche accadute nella nostra beneamata Italia. Sarebbe quasi impossibile enumerarle: forse non basterebbero le pagine di un corposo quaderno. Perciò, limitiamoci a richiamare qualche avventura galante accaduta a Nardò. Qui, di certo, non mancarono “piccanti fatterelli”, anche di una certa importanza, che fecero assurgere, ai… disonori della cronaca, la nostra sonnacchiosa città.
Fu una “torbida tresca” quella stabilitasi tra un ecclesiastico neritino e un’avvenente fanciulla, e, ancora più sporca, fu quella di un giovane sacerdote, che, in barba al voto di castità e al giuramento di fedeltà a Dio e alla Chiesa, si “fidanzò” ufficialmente con una ragazza gallipolina. La storia d’amore tra i due “innocenti fidanzati” fu breve e finì malamente con pugni e calci nel sedere del giovane prete, allorquando i fratelli della ragazza, venuti a Nardò per le usuali informazioni sul fidanzato della sorella, appresero dalla gente che il futuro cognato, più di un “buon giovane”, era un… “buon sacerdote”.
Ma torniamo alla… Spina del nostro vescovo. Come narrano le cronache del tempo e don Emilio Mazzarella ne “La Sede Vescovile di Nardò”, Giacomo Antonio Acquaviva non fu l’unico prelato nella sua famiglia. Altri suoi fratelli furono in seguito “ordinati” vescovi: esattamente Giovanni Battista a Nardò e Giovanni Antonio a Lecce e poi ad Alessano. Evidentemente quella degli Acquaviva doveva essere famiglia molto pia, pura e predisposta al voto di… castità. Sembrava per davvero una “sacra famiglia”.
Il nostro Giacomo Antonio fu nominato vescovo a seguito della (misteriosa) rinuncia del vescovo in carica, e resse la diocesi neritina per ben undici anni sino al 1532, quando, all’improvviso, fu punto dalla… Spina.
Chi fosse costei e come nacque e si sviluppò la strana “love story”, non lo sappiamo, anche perché nulla di scritto ci è stato tramandato. Tutto è stato “trascinato” di bocca in bocca, attraverso cinque secoli, sino ad arrivare intatto e incorrotto alle nostre orecchie.
Figlio di Belisario Acquaviva, umanista ma truce tiranno, come la gran parte dei suoi antecessori e successori, una volta appresa la tresca del figlio-vescovo, ordinò che nulla trapelasse in giro e che tutto si fermasse nell’interno della famiglia. Chiunque avesse osato divulgare, anche tra i più intimi conoscenti, un minimo di quella brutta storia, avrebbe pagato con la vita.
Ed intanto il nostro Giacomo Antonio continuava nella sfacciata e peccaminosa vita tra le ovattate e tranquille stanze dell’Episcopio con la sua dolce Spina, che, guarda guarda si chiamava Giovanna Spina, donna splendida e avvenente.
Però, nonostante gli inflessibili ordini del duca Belisario, nei salotti neritini e tra il volgo non potevano non diffondersi le sconcertanti notizie, solo che erano sussurrate ai conoscenti fidati, dopo aver dato un attento sguardo tutt’intorno per essere sicuri di non essere ascoltati e visti.
La storia tra i due era troppo affascinante da tenerla nascosta: rappresentava un vero e proprio gossip, come quello che si protrae oggi tra uomini illustri e… tante belle ragazze. Per tale ragione, prima con qualche incertezza, e poi sempre più velocemente la notizia dilagò in ogni parte del feudo, sollevando ben presto un grosso vespaio.
La “love story” tra il prelato e la bella Giovanna Spina s’era diffusa a macchia d’olio nell’intero Salento, cosicché le autorità, sia ecclesiastiche sia politiche, non poterono non intervenire.
La rabbia del duca Belisario era tanta e tale da indurlo persino a negare il saluto all’ingeneroso e imprudente figlio. La storia finì di fronte alla Reale Corte che, per non emettere provvedimenti drastici nei confronti dell’infedele vescovo, consigliò il padre a convincerlo alla rinuncia del prestigioso incarico ecclesiastico. Per non perdere l’amore per la sua Giovanna, che intanto continuava a pungere come non mai, Giacomo Antonio preferì abbandonare l’abito vescovile.
Sebbene fosse intervenuta la forzata rinuncia, lo bocche pettegole e lo scandalo andarono via via montando, come le onde in un mare sempre più infuriato. Per tale motivo i due amanti furono costretti ad abbandonare Nardò e a rifugiarsi a Napoli, dove, Giacomo Antonio morì dopo qualche anno, lasciando la diletta e giovane moglie sola, senza figli e in compagnia dei dolci ricordi legati alle insonni e piccanti notti d’amore.
Tutto ciò, però, non impedì al duca Belisario di far nominare, appena quattro anni dopo, suo figlio Giovanni Battista, di appena ventisette anni di età, alla prestigiosa poltrona di vescovo di Nardò. La cerimonia fu tenuta solennemente nella Cattedrale 22 maggio 1536. Anche in questo caso la nuova ordinazione avvenne a seguito della rinuncia (misteriosa) del vescovo in carica. Sulla scorta dell’esempio fraterno, Giovanni Battista si guardò bene dal tradire i sacramenti e il giuramento di castità. In pratica, condusse una vera e castigata vita da… vescovo.
Ancora una volta la giustizia aveva trionfato, seppure tra tante forzature!