L’arte di Gino Congedo si muove sul doppio percorso della ricerca artistica e dell’impegno sociale. Dopo aver ricevuto le prime nozioni, nel campo della scultura, dal maestro Umberto Palamà (1912-1995), nell’Istituto Statale d’Arte “G. Toma” di Galatina (Lecce) – suo paese natale – Congedo, nelle prime composizioni plastiche, esibisce forme accademiche, permeate di classicismo, per poi sviluppare, negli anni a venire, uno stile del tutto personale, asservendo il proprio innato amore per la pratica scultorea alle più aggiornate tendenze contemporanee. Tra l’altro, nelle sue prime esperienze artistiche, Congedo rimane impegnato nella ritrattistica ispirandosi a Vincenzo Gemito (1852-1929), autore di opere nelle quali l’artista napoletano ottiene, in maniera quasi istintiva, l’indole popolare della gente semplice, riuscendo a penetrare, con sagacia, la personalità del ritraente. Negli anni sessanta del Novecento, Congedo plasma così, in terracotta e gesso, soventemente patinati, “Ritratti di fanciulli”, “Maternità”, “Pietà”, opere tutte nelle quali, arriva ad evidenziare la sua capacità di cogliere la realtà traslativa dei caratteri e degli stati di animo dei personaggi rappresentati. sacro
In seguito, egli rifugge, quasi sempre, da una mimesi oggettiva e descrittiva o anche idealizzante, fondando il suo pensiero solo come mimesi, quale sintesi di idea ed esperienza. Lo testimoniano le numerose opere, in terracotta, cemento bianco e pietra di Carovigno, a soggetto sacro, rientranti sempre nella sua iniziale produzione artistica e prodotte per una committenza religiosa e civile. In questi manufatti, la fluidità dei ritmi lineari che definiscono i contorni della figurazione, il dissolvimento della materia plastica nella vibrazione chiaroscurale, le calcolate cadenze luministiche conferiscono, a queste statue a tutto tondo e/o bassorilievi, una serena proporzionalità apollinea. L’artifex, pur alimentandosi alle sorgenti della cultura classica e romantica, rimane sempre più convinto che gli esempi degli artisti del passato non sono emulabili, poiché considerati appartenenti ad un iter storico che non può ripetersi. Questo concettualismo storico di fondo alimenta lo spirito pioneristico del giovane scultore e lo guida a scavare la pietra bibula e non e/o a modellare la terracotta, il gesso e il cemento bianco, alla ricerca sempre di nuove ed originali soluzioni formali.
Manipolando la materia, anche sulla base delle nozioni acquisite nell’atelier del maestro Palamà, Congedo riesce a stabilire con essa un rapporto di continuità esistenziale che, sovente, tra l’altro, si traduce in brandelli di tela imbevuti di gesso liquido avviluppati intorno ad intelaiature di ferro: forme abnormi, enigmatiche avvolte da un alone di ambiguità. L’intenzionalità operativa dello scultore è quella di colui che vive una situazione di crisi durante la quale il concetto del fare concreto, dettato dalla grammatica formale, prevale su quello dell’elaborazione teorica. Pertanto, la tendenza al superamento della forma e all’incomunicabilità dell’arte lo fa approdare, sia pure per un breve periodo, alle sponde dell’informale dal quale, però, ben presto si allontana alla ricerca di nuove elaborazioni artistiche. Conseguentemente l’autore avverte l’esigenza di realizzare la sua volontà etica, cioè quella dell’intellettuale “impegnato”, che ha il dovere di far sentire la sua voce, la sua disapprovazione, la sua contestazione.
L’iconografia di “Opera aperta” (cemento- 1968) sembra un’immagine spaziale agitata, sconvolta, angosciosa. Lo spazio rimane frantumato in due corpi curvi, due entità distinte e diverse nella configurazione formale, ma unite nella continuità della volumetria curvilinea. Le implicazioni simbolico – concettuali sollecitano l’immaginario del potenziale fruitore il quale riesce a cogliere la sublimazione della forma originaria e genetica, in cui rimangono radicati i valori della natura e della storia. In nome di questi valori, la cruda espressività della serie di sculture dedicate alla violenza sulla donna lascia l’osservatore basito dinanzi a blocchi scolpiti e modellati, con singolare perizia tecnica e con l’animo di colui che, offeso e mortificato nella coscienza, tenta, suo malgrado, di denunciare questa problematica – così attuale – dimostrando che la rivolta morale può contribuire a recuperare la condizione naturale e storica della libertà dell’individuo.
I “busti femminili”, dilaniati da tagli, colpiscono per l’immediatezza del messaggio che si eleva dalla visione personale dello scultore, assumendo un valore universale; in questo contesto, i solchi profondi dei tagli, praticati nella materia ben levigata dei sinuosi corpi femminili, aumentano anziché diminuire la forza della narrazione che assume una forte tensione espressionistica. Richiami alla scultura di Henry Moore (1898-1986) e di Aldo Calò (1910-1983) sono presenti nel processo di decantazione di queste forme attraverso il quale Congedo perviene alla sintesi figurale dell’elemento antropomorfo che, comunque, esplicita una sua valenza plastico-spaziale.
Gli anni dal 1960 al 1996 rappresentano un periodo fondamentale della vita di Congedo perché lo scultore, dopo aver conseguito il Diploma di Maestro d’arte della “Sezione Scultura”, all’Istituto Statale d’Arte “G. Pellegrino” di Lecce (1960), e l’abilitazione all’insegnamento del disegno, nelle scuole di istruzione secondaria, a Napoli (1963-1964), inizia l’attività di docente di Plastica, prima all’Istituto Statale d’Arte di Nardò (1961-1974) e, successivamente, all’Istituto Statale d’Arte “G. Toma” di Galatina (1974-1996), ma continua i suoi studi e le sue ricerche, con l’unico fine di realizzare opere d’arte che abbiano origine dalla sua poetica artistica.
Congedo, pertanto, definendo l’ubi consistam del suo pensiero fa si che – medio tempore – il suo linguaggio divenga autentica comunicazione.
Egli matura presto il convincimento che “sa di amare solo ciò che rappresenta e di poter rappresentare solo ciò che ama”. La dialettica integrazione, di tipo agostiniano, del credo ut intelligam dell’autore con l’intelligo ut credam dei fruitori, è evidente nelle forme plastiche del faber – costruite tra il 1974 e il 1975 – attraverso le quali egli raggiunge il suo scopo, qualificando il suo pensiero artistico nella forma realizzata. La materia formata, ottenuta tramite l’opera di trasfigurazione e purificazione, è una nuova realtà che supera l’informe fenomeno naturalistico. Il bagaglio, delle esperienze trascorse, accompagna Congedo nella ricerca che rimane però ancorata al periodo storico-artistico che vive, quale continuazione ed arricchimento verso il futuro dell’umanità, le cui istanze si sviluppano sempre su solide basi razionali. Allora, le opere di Congedo divengono valori, i suoi gesti risultano meditati atteggiamenti, la sua analisi esistenziale si trasforma in sintesi essenziale. Dinanzi alla serie di sculture che evidenziano, nel sintetismo formale e nell’assemblaggio di materiali diversi, l’”uomo meccanico” il fruitore percepisce, ipso facto, una figura umana degradata poiché lo sviluppo tecnologico e quello industriale l’hanno ridotta ad essere ormai un macchina “nella mente, nel cuore e nelle mani”. Gli ingranaggi meccanici – per lo più molle di ferro – assemblati a teste umane, esplicitano valori espressivi insiti in un’originale manipolazione della materia che, nella potenza statica della sua forma, suggerisce allo spettatore la situazione psicologica dell’uomo alienato, della sua anima e della sua sofferenza nella società industrializzata in cui vive.
Come già in queste opere, anche nelle successive, la ricerca segnico – materica ha il sopravvento nell’arte di Congedo il quale, ispirandosi agli artisti che aderiscono alle cosiddette poetiche del segno, – in primis A. Pomodoro (1926) – costruisce forme di continuità e globalità, operazioni estetiche, palesemente metaforiche.
La serie delle “Sfere” – prodotte tra il 1983 ed il 1986 – documentano questo suo nuovo modo di pensare. L’abilità e l’ingegnosità del comporre, queste originali forme plastiche, connotano la padronanza del mestiere e l’uso virtuosistico dei mezzi espressivi dei quali lo scultore si serve per realizzare opere dal linguaggio formale autentico, spontaneo, chiaro ed eloquente. Lasciandosi trasportare dal proprio amore per la adulterazione della materia, l’artista scopre così la possibilità di penetrare la massa, ottenendo strutture nelle quali la pura astrazione e il semplice empirismo si fondono e si rinnovano in un’organica unità reale che rende la creazione artistica viva, ma diversa dalla mera rappresentazione.
Materia, gesto e segno sono gli elementi attraverso i quali Congedo cerca di creare così un’espressione artistica che supera la forma tradizionale, standardizzata. Ne sono un efficace esempio, di questo nuovo modus operandi, anche i blocchi lapidei che lo stesso autore definisce – in maniera generica – “Strutture”. Le parti sapientemente levigate in contrasto con quelle ruvide possono, talvolta, assumere un linguaggio metaforico alludendo – se si vuole anche in chiave michelangiolesca – all’elevazione spirituale dell’animo dell’autore.
Pur nell’essenzialità plastico – volumetrica, le diverse immagini, scavate nella pietra, esprimono il sentimento dell’autore e tutta la sua partecipazione emotiva nel ricercare, in queste riflessioni scultoree, il percorso terreno dell’uomo e dell’artista. Il legame inscindibile tra gesto e materia è vibrante di segni meditati che rendono il modellato carico di ritmo, di valore estetico e simbolico assumendo, talaltro, una funzione di astrazione concettuale e spaziale in riferimento, per quest’ultimo aspetto, anche all’affermazione di uno dei più coerenti artisti del Novecento, Lucio Fontana (1899-1968) per il quale, sia in pittura sia in scultura, qualsiasi cosa coscientemente realizzata è un fare lo spazio.
La rielaborazione della materia, senza intaccare mai la sua naturale consistenza genetica, anzi evidenziandola, alla ricerca di figure nascoste dentro di essa e definite in una nuova spazialità, non è altro se non la traduzione dell’impulso creativo dello scultore, la conseguente registrazione del suo processo operativo, la sua cultura che si realizza nell’arte.
Dinanzi alle sculture di Gino Congedo ci si rende conto, sic et sempliciter, come le numerose pagine ed i diversi capitoli della sua monografia siano saldamente uniti e collegati per cui dalle forme si risale al contenuto e dal significato – contenuto si ritorna nei valori formali.
In tal senso, le opere di Congedo possono considerarsi sviluppi, ma anche rivoluzioni, in quanto accrescono e rinnovano, razionalmente, l’esistenza valorizzando e vivificando il passato in un presente che, nei suoi valori, possiede qualcosa di originale e di attuale, anche per coloro che opereranno nel futuro. (Domenica Specchia)