La poesia

Dal momento che la poesia nelle scuole è diventata un’illustre sconosciuta, è straordinario che alcuni ragazzi dell’Istituto d’Arte di Civita Castellana VT abbiano provato a misurarsi col linguaggio della poesia. In Italia si vendono romanzi, ma raramente poesie. Perfino i libri dei grandi poeti hanno tirature striminzite. Ormai coloro che comprano o leggono poesie si sentono come i pochi eletti chiamati a godere dei misteri del verso e del suo ritmo.
Tanti anni fa, la poesia si respirava in casa. Non c’erano libri di poesie, ma le persone anziane erano depositarie di una tradizione orale dove, accanto ai proverbi, ai racconti e alle tiritere, non mancavano le poesie, specie quelle narrative. Noi ragazzi crescevamo al suono dei ritmi della poesia, tanto che quando s’affacciava l’approccio con le poesie della scuola, per noi non era una novità. Così, per tutto il periodo delle elementari e delle medie, ma anche delle superiori, venivamo educati a imparare le poesie a memoria, anche quelle dei poeti minori: mi vengono in mente Francesco Pastonchi, Angiolo Silvio Novaro, Luigi Mercantini.

Quando frequentavo le medie inferiori, c’era perfino un professore d’italiano che portava in classe un magnetofono (si chiamava così, allora, il registratore con tanto di bobine) per registrarci mentre recitavamo Omero. Lui pretendeva l’uso di certi toni, una certa cadenza e un ritmo tale, che nel verso si doveva ascoltare come una musica. E non aveva torto, visto che la poesia, alle sue origini, aveva un andamento melodico, non si recitava, ma si cantava quasi.
È un peccato che oggi a scuola non s’imparino più le poesie a memoria. Erroneamente si crede che ciò fosse per i ragazzi un puro esercizio mnemonico, eppure ancor oggi mi ritrovo a ripetermi brani di poesie. E non fui sorpreso quando Italo Calvino, prima che morisse, a un intervistatore che gli chiedeva un consiglio per i giovani, lui, senza scomporsi, rispose: “Imparare tante poesie a memoria, così, quando saranno grandi, quelle poesie faranno loro tanta compagnia”.
Imparare le poesie a memoria, perciò, significa anche educarsi alla poesia, perché poi ci sono ritmi, cadenze, pause che restano nei cassetti della nostra memoria e che andranno ad arricchire la nostra capacità di comunicare.

Nessuno nasce imparato, si dice, e, come il garzone che va alla bottega artigiana, anche per diventare poeti occorre esercizio: leggere e leggere poesie, scoprirne piacevolmente tecniche e segreti. Solo così ci si può impadronire del linguaggio della poesia e diventare poeti a sua volta. E tutto ciò perché abbiamo bisogno di trasmettere esperienze ed emozioni che solo la poesia, come l’arte in genere, può nobilitare e rendere universali.
Succede così che riesci a dire con la poesia ciò che non sarebbe possibile col linguaggio di tutti i giorni, talvolta così banale. La poesia è libertà, ci si può mettere a nudo con la poesia, rivelare stati d’animo, sogni e aspirazioni che sono accettati da chi sente o legge proprio perché espressi in forma poetica. Anche cose esecrabili, dette in poesia, si fanno perdonare. Ecco, la poesia non ha colpa, come non ha colpa un quadro, un brano di musica, perché l’arte è proprio sinonimo di libertà.

Poesia Alfredo Romano

C’è chi dice che la poesia salva la vita. Capita, a volte, che non sopportiamo il peso delle nostre esperienze, del solito tran tran quotidiano; oppure ci sono emozioni che ci distruggono, come l’indignazione, la rabbia, l’odio, l’angoscia, il senso di noia, ma anche un amore che ci devasta. Ecco, se riusciamo a chiudere il tutto in una gabbia di poesia, otterremo di trasformare la forza distruttrice di certe emozioni in qualcosa di bello, di creativo. Vi assicuro che è uno dei modi più efficaci per non lasciarsi sopraffare dalle emozioni.
Che cos’è allora la poesia scritta? È proprio una gabbia in cui dentro stanno chiusi stati d’animo, idee, emozioni che si liberano d’incanto nel momento in cui la leggiamo. Leggere una poesia ad alta voce, poi, è come stappare (permettetemi il paragone) un buon vino d’annata, quando, d’incanto, si aprono profumi, aromi e sensazioni per la gioia del nostro naso e del nostro palato.

Pavese diceva che anche una sigaretta spenta sulle labbra può essere oggetto di poesia. Dipende sempre dal linguaggio, dalle sensazioni che ci provoca la poesia, da come riesce a sorprenderci soprattutto. Ecco, la poesia, leggendola, ci deve farci restare di stucco. Solo a questa condizione la poesia diventa di tutti, perché, una volta che la poesia è stata licenziata dal poeta, non appartiene più al suo autore, vive ormai di vita propria. D’altra parte, leggere o recitare la poesia di un poeta è come trascriverla di nuovo, sì proprio come scrivere un’altra poesia.

Nelle scuole, abbiamo detto, l’educazione alla poesia va scemando, anche se ci sono insegnanti che resistono e si prodigano. Ma, si sa, leggere una poesia richiede sempre un certo sforzo, una qualche attenzione, cosa che diventa sempre più difficile in un mondo dove non c’è più silenzio, dove, perfino in casa, la televisione è diventata la colonna sonora della nostra giornata. Lode allora ai ragazzi dell’Istituto d’Arte di Civita Castellana, che, con le poesie, hanno dato un senso alle loro idee, aspettative, sogni, anche la paura di vivere. Ciò significa che sono alla ricerca di un linguaggio che riesca a trasmettere con più forza, o con più grazia, il loro mondo di ragazzi. I genitori, gli adulti in genere, non li capiscono a volte, è vero: provino i ragazzi allora a farsi capire con la poesia: chissà che nella comprensione reciproca.

Ma adesso che i ragazzi hanno scoperto la poesia (con la quale non si guadagna un bel niente), non si fermino qui: siano curiosi dei poeti, li vadano a cercare (nella biblioteca comunale li troveranno tutti, italiani e stranieri), cerchino di rubare il segreto del loro linguaggio: è bello innamorarsi di un poeta, farne il proprio angelo custode. Così, può anche succedere di scrivere in poesia che si abbia voglia di morire, ma proprio perché lo si è scritto, proprio perché lo si è gridato ai quattro venti, ecco che ne vien fuori un’insopprimibile voglia di vivere. Sì, la poesia salva la vita!