LA MESSAPIA E I MESSAPI
di Maurizio Nocera
È accertato che ancor prima del VI-V sec. a. C., in questo territorio che noi oggi chiamiamo Salento e che un tempo invece i nativi chiamarono prima Japigia poi Terra d’Otranto, viveva un popolo pacifico e laborioso. Pacifico perché, secondo quanto sappiamo dagli autori antichi, i Messapi non aggredirono mai alcun altro popolo; e poi laborioso, perché tutto il loro operare fu incentrato sulla costruzione delle loro città e sulla pastorizia e la coltivazione della terra. Ancora oggi quando si vuole raffigurare simbolicamente la laboriosità dei Messapi si ricorre ad un oggetto che fu per loro di uso quotidiano: la trozzella, un recipiente per liquidi, come acqua e vino.
Oggi, nonostante che gli scavi e le ricerche archeologiche siano giunti a un buon punto, rimane tuttora difficile stabilire l’esatto periodo in cui i Messapi comparvero su questo territorio come popolo autoctono. Le scienze preistoriche hanno mostrato che questa terra è stata abitata dall’uomo da diverse decine di migliaia di anni (uluzziani), per cui è possibile supporre che il popolo dei Messapi sia inizialmente sorto (entro il primo millennio a. C.) da clan tribali disseminati in differenti punti della penisola salentina. La presenza di numerose grotte e anfratti antropici lo fanno supporre.
Quando, poco prima del primo millennio a. C., giunsero qui i primi colonizzatori cretesi, non trovarono il territorio disabitato, ma molto probabilmente videro dei villaggi palafitticoli e capannicoli, i cui abitanti avevano già una loro micro-struttura sociale organizzata. Nell’VIII e nel VII sec. a. C. (fondazione di Taranto nel 706 a. C. da parte degli spartani), molto probabilmente esisteva già nel territorio che noi oggi chiamiamo Salento una comunità con una sua lingua autoctona orale, sulla quale poi si è sovrapposta la lingua greca, generando così una nuova lingua, i cui caratteri alfabetici sono sì in parte greci, ma combinati in modo tale da renderli non ancora del tutto decifrabili.
Uno dei più antichi siti messapici esistenti è quello della cosiddetta “Chiusa”, presso la masseria “Fano” sulla serra tra Salve e il Capo di Leuca. Qui – secondo quanto leggiamo dal libro di Cesare Daquino, I Messapi. Il Salento prima di Roma (Capone editore, Cavallino 1999 e 2006) – l’Università di Sidney, guidata da Jean-Paul Descoeudres, compì degli scavi (anni 1987-1991) che portarono alla luce l’esistenza di ben tre villaggi autoctoni: il primo intorno alla metà del XVI sec. a. C., il secondo nel X sec. a. C., il terzo intorno al 550 a. C. Quest’ultimo insediamento umano fu poi definitivamente abbandonato nel decennio 480-470 a. C. in seguito all’occupazione dei Romani.
Sempre sullo stesso libro, in merito all’origine dei Messapi, il prof. Daquino scrive che:
«I Messapi furono di stirpe indogermanica o afromediterranea? Giunsero per terra o per mare? Quale peso dare all’origine cretese dei Messapi nel racconto erodoteo?».
L’autore si pone la questione in termini interrogativi, però poi, nello sviluppo della sua ricerca, tutte le fonti citate lo portano a considerare come veritiera l’origine cretese. Scrive che già nel VIII sec. a. C., «il nome Japigia [derivava] da Iapeto re di Tessaglia»; che Ecateo di Mileto, nel VI sec. a. C., attraverso frammenti che di lui tramanda Stefano di Bisanzio, ricorda il nome degli Iapigi; e che Erodoto, nel V sec. a. C., scrive che in questo territorio viveva un popolo che i Greci denominavano Messapi, da Messapia (Metapia, che in greco antico significa “terra di mezzo” o “terra fra due mari”).
A tale proposito Daquino riprende un passo delle Storie erodotee, dove si dice che:
«Dopo un certo tempo i Cretesi, per volere degli dèi, […] passarono in Sicania […] Mentre navigavano lungo la Iapigia, sorpresi da una grande tempesta, furono gettati in terra, essendosi fracassate le navi […] Fermatisi là, fondarono la città di Iria e, cambiato il nome, in luogo di Cretesi divennero Iapigi-Messapi, e in luogo di isolani furono abitatori di terraferma. Partiti dalla città di Iria, ne abitarono altre».
Oggi la ricostruzione storico-archeologica ha accertato che i due strateghi ateniesi Demostene ed Eurimedonte, a causa di quella tempesta, sbarcarono nell’antico villaggio dell’allora Anxa (tale era il nome messapico dell’approdo gallipolino, nella Mappa di Soleto Graxa) e di lì, a pochi chilometri di distanza, raggiunsero Alytia (Alezio, nella Mappa di Soleto Bal), fondata, prima dell’anno 1000 a. C., probabilmente dal mitico Lizio Idomeneo, re di Creta). In Alytia viveva il capo curione messapico Artas, dal quale, i due navarchi ateniesi ricevettero i famosi 150 lanciatori di giavellotto da aggregare agli altri militi greci diretti verso la Sicania (Sicilia) per contrastare militarmente i dittatori di Siracusa. Nel libro di Fernando Sammarco, Arthas il grande (2013), viene data rilevanza storica a questo leggendario capo dei Messapi. Non si tratta di un nome inventato, perché esso è abbastanza documentato. Infatti, a parlare di Artas è lo storico Tucidide che, nel libro La guerra del Peloponneso (Mondadori, 1976, pp. 176-177), scrive:
«Intanto Demostene, ed Eurimedonte, quando il corpo di spedizione fu completo, salparono, uno da Corcira [Corfù], l’altro dal continente e con tutte le forze al completo attraversarono lo Jonio e giunsero al promontorio Japigio; quindi, partiti di là, approdarono alle isole Cheradi, che appartengono alla Japigia. Imbarcato un piccolo contingente di lanciatori di giavellotti Japigi, 150 in tutto, di stirpe Messapica, e rinnovato un antico patto di alleanza che li legava a un certo Arta, un capo potente che aveva loro fornito pure i lanciatori […], giunsero a Metaponto, città dell’Italia». L’incisione del nome Artas si trova pure su una parete interna di un sarcofago conservato nel museo di Alezio, la cui foto è stata pubblicata da Lorenzo Capone nel suo libro Incantevole Salento (Lecce, 2009).
Sia dai documenti storici (Plinio, Erodoto, Tucitide, Pausania, Demetrio Comico, Diodoro, Ovidio, Virgilio e, in tempi nostri Francesco D’Andria, Cosimo Pagliara, Mario Lombardo e altri), sia dalla Mappa di Soleto, scoperta dall’archeologo Tierry van Compernolle e rinvenuta il 21 agosto 2003, possiamo oggi fare un primo elenco di toponimi delle città messapiche: Alytia (già citata); Anxa (già citata); Aoxentum (Ugento, nella Mappa di Soleto Ozan, famosa citta messapica per il ritrovamento dello Zeus bronzeo di fattura magnogreca, databile al 530 a. C.; Baurota o Bavota (Parabita); Baxta (Vaste, nella Mappa di Soleto Bas); Brention (Brindisi, il cui toponimo significa “testa di cervo”, dalla tipica conformazione del suo porto); Carbinia (Carovigno), Dizos (Diso), Kastro (nella Mappa di Soleto Lik…tos); Fratuèntum (forse Muro Leccese, nella Mappa di Soleto Mios); Gnathia (Egnazia); Hiretum/Veretum (Patù); Hodrum (Otranto, nella Mappa di Soleto Hydrous); Kaìlia (Ceglie Messapica); Kàlatas (Galatina/Galatone); Leuka (Leuca, nella Mappa di Soleto Lios); Mandyrion (Manduria); Mesania (Mesagne, nella Mappa di Soleto Mios); Neritum (Nardò, nella Mappa di Soleto Nar); Orra (Oria); Ostuni (nella Mappa di Soleto Stu); Rhudia (nelle vicinanze di Lecce), Scamnum (forse Muro Tenente, tra Latiano e Mesagne) Sybar (forse Cavallino), Sallentia (Soleto, nella Mappa di Soleto Sollytos), Sternatia (nella Mappa di Soleto Stibar), Thuria Sallentina (Rocavecchia, oggi località marina di Melendugno, nota per le due grotte cosiddette della Poesia, ma verosimilmente Posia, che significa “luogo dove c’è l’acqua dolce”. In una delle due cavità – la più piccola – sono state scoperte dall’archeologo Cosimo Pagliara centinaia di iscrizioni messapiche, greche e latine, molte delle quali dedicate al dio messapico Taotor); Valesium (Valesio).
Per quanto riguarda i toponimi messapici di cui sopra, un dato storico l’abbiamo per il toponimo Anxa (Gallipoli), che Plinio il Vecchio, nella sua Storia della Natura, così descrive: «in ora vero Senonum Gallipolis, quae nunc est Anxa». Questa affermazione ha dato adito a due tesi, una contrapposta all’altra. La prima si basa su quel Senonum pliniano, che considera Gallipoli fondata dai Galli Sènoni, una popolazione proveniente dalla regione europea che noi oggi chiamiamo Francia. La seconda tesi invece si basa su quanto scritto da due storici coevi a Plinio: Dionisio di Alicarnasso, secondo il quale l’origine di Gallipoli la si deve ad un greco lacedemone di nome Leucippo; mentre l’altro storico è Pomponio Mela il quale, nella sua opera De Situ Orbis, scrive: «Urbs Graia Kallipolis» (Città Greca Kallipoli), dove Kallipolis sta per Kalé Polis, cioè Bella Città. Il più autorevole sostenitore di questa seconda tesi è stato Antonio De Ferraris, detto il Galateo che, nella sua lettera al Summonte, la Callipolis descriptio, scrive: Callipoli «ha tratto il nome dalla sua bellezza e non senza ragione. Fu città greca: ignoro donde Plinio abbia appreso che qui si fossero stanziati i Galli Sénoni. Questa città, invece, non si chiama Gallipoli, ma Callipolis come recano antichi codici» (cfr. Galateo, Gallipoli, Lecce 1977, p. 29).
Oltre a Gallipoli c’è un altro toponimo sul quale è bene riflettere. Si tratta di Gnathia (Egnazia), facente parte dell’antico agro di Varis (Bari), quindi città messapica situata nel punto più alto dell’antica Messapia. Il significato di questa parola greca lo si conosce bene, tanto che un antico scrittore gallipolino – Antonello Roccio – nel suo ms inedito del 1640, Notizie memorabili dell’Antichità della fedelissima Città di Gallipoli Con molte altre memorabili curiosità così antiche, come moderne, lo collega a quello di Anxa. Scrive: Gallipoli «fu prima edificata da Candici (si tratta dei cittadini di Candia – nome usato dai veneziani al tempo della loro dominazione sull’isola greca –, l’antica Heraklion al centro dell’isola di Creta) e fu chiamata Eghennaza (o Eghenanza) che in lingua loro [greco] significa “padella” per essere questa sopra uno scoglio fatto a modo d’una padella, ovvero a modo di una fessura».
È noto che nel IV secolo a. C. la Messapia cessò di essere terra libera e indipendente, perché Roma la invase e l’annesse all’impero. Allora i Romani, giunti qui con le armi, conquistarono e sottomisero i Messapi. Così l’intera realtà si trasformò in qualcosa d’altro rispetto all’esistente. Ciò che i Greci non avevano fatto in qualche millennio riuscirono a farlo i Romani in appena mezzo secolo.