Simpatico episodio accaduto a Nardò tanti anni fa
La cambiale l’ho già pagata!
Il titolo di credito stava per fare una brutta fine, se non fosse intervenuto un avvocato
di Emilio Rubino
Beh sì, l’avvocato era proprio lo scrivente e la firmataria della cambiale un’anziana ed arzilla signora di Nardò.
Il fatto è accaduto un giorno, un mese e un anno tanto lontani del secolo scorso, che non riesco più ad inquadrare. Però il fatto, anzi il fattaccio incriminato, me lo ricordo molto bene, come se fosse accaduto soltanto un anno fa.
Ecco l’accaduto. Avevo invitato presso il mio studio legale, per conto di un cliente, una vecchia signora per estinguere una cambiale di £ 17.000, scaduta abbondantemente da tempo. In effetti, si trattava dell’ultimo tentativo affidatomi dal creditore per riscuotere bonariamente l’importo a lui dovuto. Se non fosse andata a buon fine quest’ultima possibilità, allora avrei dovuto seguire l’iter burocratico previsto dalla legge per i debitori inadempienti e procedere al pignoramento del suo unico bene, rappresentato da una vecchia stamberga sita nel borgo antico della città, con il cui ricavato si sarebbe appena estinto il debito e assolte le spese legali e giudiziarie.
Al fine di scongiurare una tale odiosa ed inopportuna pratica (dal momento che si trattava di una povera donna), m’ero preparato adeguatamente per consigliare la signora a pagare il non eccessivo debito, magari frazionandolo in piccole rate.
Alla data convenuta, la signora si presentò di buon’ora nel mio studio, comunicandomi con fare altezzoso e senza neanche salutare, di aver già saldato al creditore l’intero importo della cambiale.
Rimasi per qualche secondo sulle mie, poi le risposi con molta durezza.
“Intanto sappia, egregia signora, che, ogni qualvolta si entra in casa altrui, si è tenuti a presentarsi, salutando e augurando quanto meno il buongiorno o la buonasera“.
“Avvucatu, cci ghè ‘st’italianu!… cuntamu mègghiu alla parlata nuescia!…” – mi rispose lei in modo scontroso – “…Ma se ci tieni tantu a ‘ste fesserie, ti dò lu ‘bongiornu’, ma cu ssacci ca nu’ tti lu mmèrati!”.
“Perché non dovrei meritarlo!” – le ribattei un po’ contrariato.
“Piccè si l’avvucatu de ‘ddhru spurpacristiani!”.
“Io faccio il mio dovere d’avvocato e per tale motivo devo essere pienamente rispettato”.
“Mo’ ti lu ripetu ‘n’autra fiata… e sièntime buenu!…” – rispose l’anziana con piglio autoritario – “…La cambiale l’haggiu già pajata!… Ha’ capitu… o si sordu de tutte e ddoi le ‘recche?”.
Lo confesso: quella risposta, sbattutami in faccia con fare quasi villanesco, mi aveva dato un po’ di fastidio.
“Signora cara, se è vero quel che sostieni, perché non ti sei fatta restituire al momento del pagamento il titolo da te firmato?” – le risposi a bruciapelo.
Lei piegò la testa senza più dire una sola parola in sua difesa. Costretta dall’evidenza a pagare, mi chiese di poter visionare la cambiale, che le porsi senza troppo pensare a ciò che sarebbe potuto accadere. Appena la vecchia si ritrovò il titolo tra le mani, lo appallottolò in un battibaleno con l’intenzione di ingoiarlo e quindi distruggerlo.
Allibito e sconcertato per quanto stava accadendo, mi affrettai a recuperare la cambiale, afferrandole la mano ‘furfantina’ e inducendola con forza ad aprirla. Ma lei non desisteva, anzi stringeva con ogni energia il prezioso malloppo, strattonando la mia mano e tentando di portarlo in bocca. Stavo per aprirle il pugno, quando lei, come ultimo tentativo, mi appioppò un morso al dito medio, facendomi allentare la presa.
In fretta e furia la donna portò tra i denti il prezioso bocconcino da 17.000 lire e iniziò a masticare velocemente per triturarlo e renderlo inservibile.
In preda ad un dolore acuto e insistente, le assestai uno schiaffone in pieno volto, colpendole il naso e facendole perdere qualche goccia di sangue. La presi per il colletto e la condussi in strada. Sulla porta del suo negozio, c’era l’amico Luigi, al quale rivolsi l’invito di prestarmi attenzione a ciò che stavo per raccontargli.
“Luigi, osserva bene questa donna, si sta mangiando la mia cambiale!”.
“Nunn è velu, nunn è velu!” – ribatté lei con la bocca piena.
“Come sarebbe a dire… In bocca hai la mia cambiale, grande farabutta!” – le risposi per le rime.
“Nunn è velu, nunn è velu!” – ripeteva lei con insistenza, e intanto continuava a masticare.
La lasciai andare, pensando che ormai il titolo di credito fosse distrutto irreparabilmente. Intanto mi feci medicare da una vicina di mia conoscenza. Nel frattempo mi balenò in mente un pensiero non molto peregrino, che poteva rispondere a realtà.
“Con ogni probabilità, la vecchia, ormai sicura di aver avuto partita vinta, non avrà ingoiato il malloppo e quindi lo avrà sputato da qualche parte nei paraggi!”.
Con passi lenti e attenti rifeci il tratto di strada che lei presumibilmente aveva percorso. Meraviglia delle meraviglie, dopo un centinaio di metri, mi accorsi di una malmessa pallottola di carta masticata e insalivata, posta in un cantuccio. Forse doveva trattarsi di ciò che era rimasto della cambiale. Mi chinai e raccolsi con una certa ripugnanza quell’impiastro di carta, tenendolo tra il pollice e l’indice. Aprì pian piano l’involucro, e, con mia somma sorpresa, mi accorsi che si trattava della cambiale. Purtroppo, a furia di essere masticato ed insalivato, buona parte del titolo di credito risultava illeggibile, firma compresa.
Non ricordo più per quanto volte ho bestemmiato, ma certamente le contumelie e le maledizioni verso quella donna furono tante e delle più feroci.
Non mi rimaneva altro da fare se non di citare in giudizio la vecchia per avermi quasi staccato con un morso il dito medio e per aver danneggiato irreparabilmente la cambiale, i cui residui mi affrettai a conservare.
Quella stessa sera venne a trovarmi allo studio il marito della vispa signora, che, con molta gentilezza, mi espose le sue ragioni sull’accaduto.
“Avvocà, mugghèrima no nci l’hae cu’ tte, ma cu’ ddhru fausu cretitore!”.
Gli feci subito capire che il discorso non mi interessava affatto e che sarebbe stato opportuno, invece, pagare immediatamente la somma della cambiale per non incorrere in estreme e molto dannose conseguenze, alle quali avrei aggiunto anche la denuncia per lesioni volontarie alla mia persona.
Sta di fatto che la signora, avendo intuito che la situazione si stava ulteriormente complicando, si dichiarò disponibile a pagare la somma di 17.000 £. Ma intanto, per essere sicuro che non stesse bleffando, fui costretto a citarla in giudizio e a querelarla.
Il dibattimento venne fissato dal Tribunale di Lecce a mezz’anno più innanzi. Seppi poi che la donna, all’atto della notifica della citazione, fu colta da improvviso malore. Da lì a pochi giorni, il marito della vecchia mi consegnò l’importo della cambiale, pregandomi di ritirare la querela. Cosa che feci.
Il processo, però, si tenne ugualmente e la donna fu condannata per il solo reato di distruzione della cambiale, pena sospesa.
Al termine, il Presidente del Tribunale, essendo un mio caro conoscente, ebbe a dirmi, sghignazzando a bassa voce per non farsi sentire: “Avvocà, mi raccomando, un’altra volta, fatti mordere da una leggiadra ragazza e non da una vecchia con… due soli denti!” e, allontanandosi, continuava a parlottare e a ridacchiare con il giudice a latere.