Note storiche e descrittive della chiesetta di Santa Maria della Grotta in agro di Nardò

di Marcello Gaballo 

A pochi chilometri da Nardò, in contrada La Grotta, in quello che anticamente era denominato feudo di San Teodoro, sopravvive una interessantissima testimonianza architettonica, a torto considerata tra le chiese minori extra moenia. Ci riferiamo alla chiesetta di S. Maria della Grotta (in catasto al fg. 84, p.lla 68), talvolta denominata anche S. Maria della Grottella.

La chiesa con la scala di accesso vista dall’interno

Un tempo della prebenda della Prepositura, oggi proprietà privata, è soggetta a vincolo con D.M. dell’ 11/11/86, grazie alle pressanti segnalazioni dell’ associazione Nardò Nostra (allora da me presieduta)[1], sebbene fosse stata già segnalata al Ministero dei BB. CC. il 9/9/981 per il riconoscimento di interesse storico-artistico ai sensi della L. n° 1089 del 1/6/939. Difatti “l’edificio sacro riveste notevole interesse storico-artistico, rappresentando un’insigne testimonianza di architettura religiosa campestre legata alle forme liturgiche proprie della cultura contadina dei centri minori del Salento nel XVII sec.”.

Nella successiva relazione del novem- bre 1986 della Soprintendenza viene descritta quale “tipico prodotto di architettura religiosa del XVII secolo legata ad un contesto economico-sociale non urbano bensì rurale… caratterizzato da peculiarità stilistiche e formali che lo pongono a pieno titolo nel ricco e complesso fenomeno figurativo comunemente definito come barocco salentino. Rispetto a tale fenomeno il piccolo monumento in questione occupa un posto che, sotto il profilo strettamente stilistico, non può dirsi prioritario; dal punto di vista storico e documentario esso è, tuttavia, ugualmente significativo per comprendere la varietà e la molteplicità delle manifestazioni originatesi da un’ unica temperie culturale ed estetica e ciò lo rende, dunque, meritevole di essere tutelato dal vincolo al pari di tanti altri episodi architettonici maggiori”.

La volta della chiesa

L’ edificio è costituito da due corpi di fabbrica strettamente connessi, dei quali uno è occupato dalla chiesetta e l’ altro da locali di servizio, dei quali almeno uno già esistente nel 1678, come attesta la visita pastorale del vescovo Fortunato, in cui si legge essere  concamerata.

Il prospetto principale presenta un paramento murario, interamente intonacato, provvisto di due aperture e la cortina muraria degli altri tre lati “è realizzata, invece, in conci di pietra calcarea a faccia vista la cui tessitura contribuisce, insieme alla semplice cornice sagomata di coronamento, ad esaltare l’ essenziale volumetria della struttura paralle-lepipeda, interrotta soltanto dalle finestre a leggero strombo che si aprono sui fianchi”.

Dalla porta di destra del prospetto si accede, tramite una scalinata alquanto ripida, all’interno della chiesa, il cui piano di calpestío è di circa quattro metri più basso del livello esterno del terreno che circonda l’ edificio.

La volta della chiesa

La peculiarità dell’edificio, senz’altro attribuibile alle celebri maestranze neritine, oltre al vano ipogeo, è data dalla volta lunettata e dalla navata unica di notevole altezza. Ancor più caratterizzante il grande festone “a motivi fogliari scolpiti a forte aggetto che la solca longitudinalmente e che si apre in chiave di ogni campata per includere grandi rombi  decorati in forme diverse, a rosette dai petali rilevati o a racemi incornicianti il monogramma di Cristo. Un’analoga ornamentazione plastica segna i reni dei singoli pennacchi della volta, mentre sui blocchi d’imposta degli stessi compaiono lunghe foglie acquatiche dalla punta ricurva. L’insieme è trattato con evidente finezza ed eleganza e conferisce un piacevole aspetto dell’ambiente che doveva essere ulteriormente arricchito dall’ originaria decorazione pittorica di cui sussistono poche tracce nella parete di fondo”.  Inevitabili i richiami di questa decorazione a quelle della chiesa di S. Maria della Rosa e, soprattutto, della chiesa agostiniana dell’Incoronata, sempre a Nardò.

Particolare della volta con la scritta JHS

Occorre infine sottolineare che “singolare è il sistema di illuminazione naturale congegnato mediante alte finestre che attingono la luce dal di fuori e la convogliano mediante le doppie unghie sferoidiche all’interno costituendo diversi piani di luce e ombra che vivacizzano la volta. Le unghie sferoidiche della volta si intersecano in chiave  realizzando il singolare disegno del quadrato ruotato a quarantacinque gradi sottolineato da un cordolo di fiori chiusi, che segnano le linee di tensione della struttura voltata”[2].

a chiesetta aveva un solo altare, distrutto negli ultimi decenni dai soliti “cercatori di tesori”, mentre le pareti retrostanti ospitavano alcuni dipinti a tempera, oggi a stento visibili, dei quali uno forse raffigurante la Vergine o un santo con lunga capigliatura[3], l’altro  una Crocifissione (vi esisteva infatti un beneficio omonimo) ed il terzo un vescovo con i suoi mitra e pastorale, inquadrato in cornice floreale anch’essa dipinta. Quest’ultimo è raffigurato su un ingresso murato della parete sinistra, probabilmente creato nel Seicento, quando fu dato il definitivo assetto alla chiesa, per ostruire una cavità che è riemersa dagli “scavi” dei soliti sciagurati “cercatori”. Risaltano speroni  rocciosi sulla parete sinistra, avanzati da una possibile grotta originaria, che successivamente fu inglobata nell’edificio. Sulla parete di fronte è murato lo stemma del vicario episcopale Giovanni Granafei (poi vescovo di Alesssano e arcivescovo di Bari, tristemente legato ai moti neritini del 1647), con un’ epigrafe datata 1640, dalla quale si evince che l’ attuale chiesa fu ricostruita essendo abate Marcello Massa, di nobile famiglia neritina.

Dipinto con il santo vescovo

Quest’ultimo, già rettore nella visita pastorale del vescovo Luigi de Franchis del 1613, risulta ancora beneficiario nel trentennio successivo, come attestano le visite del vicario Granafei e del vicario Corbino, quando gli si  ordina  che facci far l’ astrico. Nel 1678 è rettore della nostra chiesetta l’abate Girolamo delli Falconi. L’edificio è censito nella visita del vescovo Sanfelice del 1723 come S. Maria de Griptella in feudo di Agnano; in quella del Lettieri del 1830 risulta officiata dal preposito don Pasquale De Laurentis, che forse fu l’ultimo a celebrarvi la Messa domenicale.

Dipinto del santo o santa con corona, bordone e saccoccia

L’occasione è utile per ribadire, ancora una volta, che ci troviamo di fronte ad un monumento di grande interesse e nel totale abbandono, che non può essere alla mercè di chi voglia accedervi, magari continuando a smantellare le poche parti ancora integre. Facciamo dunque appello ai proprietari, che non sembrano voler recuperare il bene, perché provvedano a impedirne il crollo, come sembrano minacciare le crepe sul lato destro.

Si preoccupino perlomeno di chiudere gli accessi e il cancello esterno, per evitare curiosi intrusi ed ulteriori vandaliche azioni che ci priverebbero, ancora, di parti di un patrimonio collettivo che ci è stato lasciato in consegna e che abbiamo l’obbligo di consegnare integro ai posteri.

NOTE:

[1] Per le segnalazioni dell’ associazione Nardò Nostra v. “Quotidiano di Lecce”; “La città”, a. V, n°5, giugno 1986; “Il Salento Domani”, maggio 1986. Parte delle notizie le ho riportate in nota alla scheda compilata da Emilio Mazzarella in Nardò Sacra.

[2] cfr G. DE CUPERTINIS-L.FLORO, La chiesa di S. Maria della Grotta, in “La Voce di Nardò”, dic. 1995, p.17.

[3] Il dubbio è legittimo in quanto la figura, coronata, che regge con le mani quella che sembra una lunga croce astile o un bordone da pellegrino, è ben distante dalla nota iconografia mariana. Potrà aiutare nell’identificazione del santo quella che parrebbe essere una bisaccia, tenuta tra le mani.