Da sempre è considerato uno tra i frutti più gustosi e nutrienti

IL FICO

 Delizia degli Dei

Insieme a dàtteri, mandorle e noci, ha rappresentato, soprattutto durante le due guerre mondiali, una delle poche fonti di alimentazione delle genti povere del Mediterraneo

di Mauro De Sica

Quella del “fico” è una storia meravigliosa, che val la pena di raccontare e che la si rivolge ai giovani di oggi, che poco o nulla sanno dell’importanza di questo succulento frutto.

Il fico comune appartiene alla famiglia delle Moracee ed è una pianta che predilige le zone sub-tropicali temperate. Enrico VIII ne era ghiottissimo e tentò, invano, di far attecchire nei suoi giardini, al riparo dai gelidi venti invernali, alcune piante; dovette, ahilui, accontentarsi di mangiare soltanto fichi secchi e mai quelli appena raccolti.

Un po’ di Storia

Il nome scientifico (Ficus carica) fa riferimento alle sue antichissime origini: le prime testimonianze della sua coltivazione si hanno, infatti, in Caria, regione dell’Asia Minore, da cui l’aggettivo carica.

I Romani conobbero e coltivarono intensamente il fico, soprattutto nelle regioni di produzione della vite, dell’olivo e degli agrumi, ovvero in Puglia, in Campania, in Calabria e in Sicilia. Presso gli antichi contadini era in uso riservare un pezzo di terra esclusivamente alla coltivazione di alberi di fico per assicurarsi una fonte alternativa di alimentazione durante le rigide giornate d’inverno. Infatti, una volta raccolti, i fichi non consumati erano essiccati, esponendoli al caldo sole d’estate, cosicché potevano essere mangiati d’inverno come cibo altamente energetico. Questa antica pratica agricola si può riscontrarla anche oggi nei poderi del nostro Salento: accanto ad alberi di ulivo, di mandorli, di noci, il più delle volte si trovano alberi di fico.

Oggi la coltivazione del fico si è sviluppata in diverse zone del pianeta, ma solo negli ambienti climatici con le stesse caratteristiche dell’area mediterranea, come Arabia, India, Giappone, California, Argentina, Australia.

Morfologia ed aspetto

È un albero dal tronco corto e ramificato che può raggiungere altezze di 3-8 m; la corteccia è liscia (in alcuni casi anche rugosa) e, a seconda delle varietà, assume diverse tonalità di grigio; i rami, lunghi e flessibili soprattutto nella parte finale, sono ricchi di midollo con gemme terminali acuminate coperte da due squame brunastre. Le foglie sono grandi e allungate, a 3-5 lobi e grossolanamente dentate, di colore verde scuro sulla parte superiore, più chiare e ricoperte da una lieve peluria su quella inferiore.

Quello che comunemente riteniamo sia il frutto è in realtà una grossa infiorescenza carnosa molto dolce, di forma oblunga e di colore variabile dal verde chiaro al violaceo scuro, che è chiamato scientificamente siconio, all’interno del quale sono racchiusi i fiori unisessuali, piccolissimi. Dalla stretta apertura sottostante, chiamata ostiolo[1], è consentita l’entrata degli imenotteri pronubi (il termine scientifico è Blastophaga psenes), importanti per la fecondazione del frutto o meglio dei veri frutti, che sono quei piccoli acheni che scricchiolano sotto i nostri denti quando mangiamo un fico. In dialetto, tanto per capirci, li chiamiamo con il termine di criddhri. Sembra inverosimile ma, se non ci fossero gli imenotteri pronubi, molte varietà di fico si estinguerebbero nel breve volgere di qualche anno. Anche il grande fisico Einstein ebbe a dire che, se non ci fossero le api, l’umanità scomparirebbe da questo pianeta in appena quattro anni.

Divagazione a parte, la pianta presenta due forme botaniche, comunemente note come fico (Ficus carica sativa) e caprifico (Ficus carica caprificus), la prima fornisce i polposi e dolci siconi, che si consumano freschi o essiccati; la seconda forma, il caprifico, fornisce il polline agli imenotteri pronubi.

In molte varietà di fico abbiamo due tipi di siconi: i fioroni o fichi fioroni, che sono generalmente di grossa pezzatura, si formano in autunno e maturano alla fine della primavera o all’inizio dell’estate (entro giugno) e i veri fichi, chiamati anche forniti o pedagnuoli, che sono di dimensione inferiore rispetto ai fioroni, si formano in primavera e maturano in estate (agosto-settembre). A volte, se la stagione si presenta particolarmente favorevole, la pianta riesce a portare a maturazione in autunno una terza generazione di siconi, detti volgarmente cimaruoli.

Il fico è semplice da coltivare, non ha particolari esigenze, a parte la sensibilità alle temperature troppo basse; infatti, a circa 8-10 gradi sotto zero, l’intera pianta può morire. Il fico predilige i terreni sassosi e calcarei, mentre soffre quelli argillosi ed eccessivamente umidi.

Riproduzione e concimazione

Esistono varie tecniche per la riproduzione del fico; senza dubbio la più rapida consiste nell’estirpare dei polloni radicati da piante adulte o ceppaie. Un’altra tecnica, usata soprattutto dai vivaisti, è la talea, che radica molto facilmente interrando pezzetti di ramo, lunghi 30-40 cm, e lasciando fuori dal terreno solo una gemma.

La riproduzione per seme non è molto indicata poiché, le piante che si ottengono, non sono sempre fedeli alle caratteristiche della pianta madre.

L’innesto è praticato nel caso in cui si voglia sostituire o aggiungere una varietà. Infatti, i nostri nonni solevano innestare dalle due alle cinque varietà per albero, in modo da raccogliere fichi di diversa qualità da un’unica pianta. Si può facilmente immaginare che, eseguendo innesti diversi su tre o quattro piante, in pratica si potevano ottenere, in pochi metri quadrati di terreno, l’intera gamma di fichi. Furbi i nostri nonni!

Per quanto riguarda la concimazione, il fico non ha particolari esigenze, date le caratteristiche della pianta. E’ comunque consigliabile concimare verso la fine dell’inverno, utilizzando concimi organici, come letame maturo e stallatico. Se si scelgono concimi chimici, è preferibile intervenire con prodotti a base di azoto e potassio, però in modeste quantità.

Le varietà salentine

Le varietà di fico coltivate in Italia sono innumerevoli e si distinguono, ad esempio, per il colore della buccia: vi sono fichi bianchi con colori che vanno dal verde al giallo-verdastro e fichi neri o violetti con buccia da marrone a rosso violetto o viola-nerastro. Un’altra distinzione è relativa all’uso finale, se cioè i fichi saranno utilizzati subito oppure per l’essiccazione.

A seconda del colore i fichi del Salento possiamo distinguerli in bianchi, striati e scuri.

I Fichi bianchi più importanti sono:

  • Ottata
  • Sassone bianco
  • Di San Giovanni o Culumbara
  • Fracazzano bianco
  • Pizzuteddhra
  • Pizzilonga
  • Pàccia
  • Dell’Abate
  • Della Madonna
  • Di Natale

I Fichi striati sono:

  • Della Signura
  • Marinese
  • Fracazzano pinto
  • Rigata
  • Dell’Abbondanza
  • Russeddhra

I Fichi Scuri sono:

  • Sassone nero
  • Casciteddhra
  • Napulitana
  • De lu Quaju
  • De lu Giammicu
  • Di Sant’Ororonzo
  • Marangiana
  • Fracazzano scuro

Vi assicuro che ci sono diverse altre qualità, ma, per ragioni di spazio, omettiamo di riportarle. Pare che uno studioso francese ne abbia catalogato ben oltre trecento varietà.

Proprietà nutrizionali e terapeutiche

I fichi sono frutti molto dolci, ma tutto ciò non deve trarre in inganno. Infatti il loro contenuto calorico medio è di 47 kcal per 100 g, molto inferiore all’uva, alle pere e agli agrumi (che contengono più di 70 kcal per 100 g). Ma attenzione, stiamo parlando di fichi freschi; infatti, 100 g. di quelli essiccati ci regalano oltre… 250 kcal!

I frutti del fico non sono soltanto un ottimo alimento, ma hanno anche buone proprietà salutari: i semi, le mucillagini, le sostanze zuccherine contenute nel cosiddetto frutto, fresco o secco, esercitano delicate proprietà lassative. Ai bambini è consigliabile dare fichi freschi, molto più digeribili e facilmente masticabili rispetto a quelli essiccati. Inoltre nel frutto fresco sono contenuti enzimi digestivi, che facilitano l’assimilazione dei cibi, e le vitamine A, B1, B2, PP, C; il fico è ricco anche di potassio, ferro e calcio ed è indicato quindi per irrobustire le ossa e i denti, per mantenere efficiente la vista e proteggere la pelle.

La medicina popolare utilizza molte parti della pianta: il lattice che sgorga dai peduncoli dei frutti è molto irritante e può provocare ustioni; però, è applicato per uso esterno per eliminare calli, verruche e macchie della pelle; i semi sono ritenuti utili nei casi di stitichezza, poiché stimolano la peristalsi intestinale. Il frutto ha poi moltissime applicazioni: è usato come impacco sugli ascessi e i gonfiori, contro i foruncoli e ha la proprietà di curare infiammazioni urinarie e polmonari, stati febbrili, gastriti e coliti.

Proprietà nutrizionali per 100 grammi di prodotto

  • Acqua: 79,11 grammi
  • Calorie: 74 Kcal
  • Proteine: 0,75 grammi
  • Lipidi: 0,3 grammi
  • Zuccheri: 16,3 grammi
  • Fibre: 2,9 grammi
  • Calcio: 35 mg
  • Ferro: 0,37 mg

Conclusione

Ci sarebbe tanto altro da dire su questa magnifica pianta che da noi è stata presentata, a ragione, come “Delizia degli Dei”. Una cosa è certa che quando parliamo del fico, entriamo, chissà perché, in una dimensione di estremo benessere, esattamente come racconta la bella canzone dialettale che recita testualmente:

Quandu lu ceddhru pìzzaca la fica

La vucca li se face de cerasa

Comu se sente la carusa zzita

Quandu se vasa cu llu ‘nnamuratu.

Tanti fichi e tanti baci a tutti.

[1] Ostiolo – Quando il fico è ancora acerbo, l’ostiolo è molto stretto, per cui i minnaluri (cioè gli imenotteri pronubi) difficilmente possono entrare nell’interno della polpa per fecondare gli acheni. Da ragazzini avevamo trovato un sistema infallibile per accelerare di qualche giorno la fecondazione di alcuni fichi. Come? Armati di santa pazienza, spalmavamo tutt’intorno all’ostiolo una goccia di olio d’oliva in modo da lubrificare la parte e facilitare l’ingresso dei minnaluri. Generalmente ad attirare il nostro interesse erano i fichi posti più in alto, poiché, una volta maturi, difficilmente erano scorti e raggiunti da…  mani e occhi indiscreti. Il gioco era fatto: come dire che la necessità (dati quei tempi) aguzzava il nostro ingegno.