Accadeva la sera del 10 settembre 1969
Il coraggio di un pescatore otrantino
Una furiosa tempesta mise in serio pericolo la vita di alcuni uomini
di Don Paolo Ricciardi
Premessa
È risaputo che i pescatori sono uomini coraggiosi, che sanno prevedere le condizioni meteorologiche e non si arrischiano a sfidare il mare, soprattutto quando promette poco di buono. Ma, a volte, per provvedere alle necessità della propria famiglia, mettono a repentaglio l’imbarcazione, le reti e la vita.
Il mare invita a piacevoli esercitazioni e divagazioni, lava, rinfresca, fa vivere e guadagnare offrendo sempre pesce di ogni qualità; ma non sempre il mare è calmo, piacevole, generoso; sa essere anche impetuoso, minaccioso e micidiale.
Gli Indios dell’Amazzonia si nutrono di pesce, abbondante nei fiumi, di caccia di animali nella foresta e di varietà di frutta, che cresce spontaneamente sugli alberi. Di una intelligenza più pratica della nostra, usano reti a maglie larghe per catturare pesci più grossi, dando quindi la possibilità a quelli più piccoli di venirne fuori, in modo che crescano di dimensione ed assicurino il futuro nutrimento. Noi, invece, impoveriamo il mare usando reti a maglia stretta e catturando di conseguenza pesci molto piccoli.
Oggi, purtroppo, non si usa il buon senso, per via dei forti richiami provenienti dal profitto, dalla speculazione e dall’affare.
Ma l’impoverimento della fauna ittica è dovuto anche ai crescenti disturbi degli elettrodotti, gasdotti e trivelle che allontanano i pesci dalle acque costiere verso zone molto distanti dalla terraferma, dove vivono quasi indisturbati.
La disavventura
La sera del 10 settembre 1969, festa del Patrocinio dei Santi Martiri di Otranto, Antonio Milo, capobarca della ‘Nuova Maris Stella’, lunga 14 metri, parte per la pesca dal porto di Otranto. Nell’imbarcazione a motore ci sono anche altri due pescatori, Vincenzo Previtero e Salvatore De Simei.
Il mare è tranquillo e tutto sembra favorevole per la posa in mare delle reti e di attrezzature predisposte con ami ed esche per catturare grossi pesci, in particolar modo pesci spada. Si naviga, si naviga, si naviga per raggiungere zone più pescose.
Verso mezzanotte si trovano nelle acque della Grecia. Il mare inizia ad incresparsi, ma nulla fa presagire che da lì a poco si scatenerà il finimondo. Le reti vengono calate in mare, così come le palamitare.
Verso le tre del mattino il mare comincia ad agitarsi e a minacciare tempesta. Nel volgere di poco tempo succede il finimondo e non si capisce più nulla. I tre pescatori tagliano in fretta le reti e fanno rotta per rientrare a Otranto.
Per tutta la giornata, sino alle sei di sera, la barca si trova in mezzo ad un mare impetuoso di forza 9, che rende impossibile la navigazione e il mantenimento della rotta.
Tra le onde alte sino a nove-dieci metri non c’è speranza di resistere e di salvarsi. Si spera che la barca regga ai continui urti delle onde inclementi. Si scatenano i venti, la pioggia batte di continuo, il mare s’infuria sempre più e le onde, simili ad alte muraglie di acqua, sembravano di voler inghiottire l’imbarcazione, che comunque tiene.
Nonostante la bussola continui a funzionare, si perde l’orientamento non potendo neanche contare sulla posizione del sole.
Antonio, però, non si perde di coraggio, non si arrende, anzi rincuora i due compagni atterriti. Invoca l’aiuto della Madonna dell’Alto Mare perché intervenga in loro soccorso e scongiuri il pericolo. Il capobarca ci mette del suo per affrontare ogni onda per il verso giusto. Grazie alla sua perizia, il pescatore spinge al massimo il motore in modo che l’imbarcazione fenda ogni onda frontalmente e non lateralmente, per poi prepararsi ad affrontare allo stesso modo quelle successive.
Tutto questo per diverse ore, senza che i tre si lascino sopraffare dalla fatica e dalla paura.
Sebbene gli uomini indossino pantaloni impermeabili, sono continuamente innaffiati e inzuppati dalla pioggia martellante, che non accenna a diminuire e dall’acqua delle onde, ma non demordono, anche perché la barca tiene bene il forte vento e il mare grosso.
Alle due pomeridiane, anche un traghetto di linea tra la Grecia e l’Italia si trova in mezzo alla burrasca e passa vicino alla ‘Stella Maris’, senza però fermarsi e offrire i soccorsi. Gli otrantini rimangono delusi. Allora Antonio prende la pistola lanciarazzi e spara alcuni colpi per segnalare la loro presenza, ma nessuno se ne accorge, sicché la speranza di essere tratti in salvo si affievolisce.
Nel frattempo anche un elicottero di soccorso sorvola sul canale d’Otranto per avvistare la barca in difficoltà, ma senza alcun risultato. Alle tre di pomeriggio, finalmente, si nota in cielo uno squarcio tra le nubi, il vento rimane forte ma con tendenza a diminuire d’intensità. Il tempo via via migliora ma il mare è sempre agitato, ma non come in precedenza. I tre si rianimano e cercano di guidare l’imbarcazione verso Otranto, ma il mare ancora non lo consente.
Dalla barca, intanto, si vede un tratto di terra, ma si tratta della costa brindisina. Che fare? Tentare uno sbarco a Brindisi oppure dirigersi a sud verso Otranto?
Si opta per quest’ultima soluzione. E così i tre pescatori, dati ormai per dispersi, verso le sei pomeridiane, entrano nel porto di Otranto, dove ci sono forse duemila persone, tra cui la moglie di Antonio, Pezzulla Antonia e i tre figli, in ansia e in attesa di riabbracciarli.
Il Comandante della Capitaneria di Porto rivolge il suo perentorio invito ad Antonio: “Favorisci in Capitaneria!”.
Antonio, che ormai ha superato un grosso ostacolo, gli risponde seccamente: “In Capitaneria vengo domani. Ora ho bisogno di andare a casa”.
“Vieni in ufficio, dobbiamo compilare il verbale” – gli ribatte l’ufficiale.
“Ma che verbale e verbale. Ora ringrazio Dio e la Madonna che sono ancora vivo…” – conclude Antonio – “…Ora vado a casa per mangiare qualcosa, perché sono digiuno da una giornata”.
All’indomani, Antonio si presenta in Capitaneria e riceve dal Capo Febbraro un elogio: “Antonio, complimenti, sei stato un bravo comandante”.