Iniziò così, come ogni cosa che viene alla vita, proprio come piaceva al vecchio Talete: iniziò tutto dall’acqua. Passeggiava un giorno su una spiaggia dell’est salentino, avanzava placido sulla sabbia, senza meta, mirando i lontani profili delle vette d’Albania, cenni tra la foschia all’orizzonte. Era solo. Radente all’acqua, in quel punto in cui non è più possibile fare un passo senza bagnarsi, abbassò gli occhi e lì, finalmente, vi trovò quanto il mare pareva gli volesse ad ogni costo consegnare: trascinata da chissà dove, una scarpa, misera, lacera, pietosa, solitaria e sfinita naufraga appartenuta a chissà chi. Egli la raccolse e la portò con sé, nella sua casa, quasi fosse un dono prezioso venuto da una fonte imperscrutabile. Dapprima se ne prese cura, la pulì, la lucidò, la lustrò con tenerezza, la fece pazientemente tornare alla vita dignitosa delle cose. Non pago, la volle poi bella. Non soddisfatto, la volle infine meravigliosa ed unica. La rivestì di colore, la tinse amorevolmente, la adornò, l’arricchì di ciò che a lui pareva fosse degna, ora dopo ora, per giorni, fino a fare della naufraga una regina, un sacrario della bellezza, stupore per tutti coloro che l’avrebbero lasciata su quella riva, fino a farla diventare, in breve, un’opera d’arte.
Fu da quando il mare gli consegnò quella prima naufraga che Antonio Catanzariti, detto Tonino, divenne un cercatore di scarpe. Se ne va da quel giorno a cercarle, seguendo con pazienza i passi degli uomini e delle donne che le vanno togliendo per sempre dai propri piedi, dimenticandole e abbandonandole in qualche posto.
Egli sa oramai, per questa sua confidenza con le cose abbandonate, dove giacciono gli oggetti che abbiamo lasciato per sempre, conosce quell’ineffabile luogo dove lo attendono di tanto in tanto le cose ingoiate dall’oblio, giunte lì quando ormai un uomo o una donna se ne sono serviti per un’ultima volta. Le scarpe sfatte sono in fondo tutto ciò che ci resta dei passi compiuti, le suole consunte l’evidenza di un passato sul quale non possiamo mai tornare, i tacchi consumati l’effetto ultimo, la meta tangibile di ogni nostro percorso giunto alla fine: è per questo forse che vogliamo necessariamente disfarcene, tali oggetti sono, a ben guardare, la testimonianza del consumarsi irrimediabile dei nostri cammini.
L’uomo che cerca le scarpe questo probabilmente lo sa, eppure non se ne cura. Evidentemente accetta il gioco della vita e continua a cercarle senza sosta, le scova, le porta con sé per farne con dedizione e maestria delle regine incipriate, ognuna con un piccolo regno da illustrare, ognuna con le proprie vicende da narrare.
Il cercatore di scarpe le trascina fuori dal silenzio in cui altri le hanno riposte l’ultima volta e dà loro il colore della vita, le ammanta di bellezza, ridona loro una voce. Già, una voce soprattutto, fiat-o per narrare i sentieri che le nostre scarpe hanno attraversato, le storie che hanno percorso, le stesse di noi uomini e donne che le abbiamo possedute prima di lasciarle alle nostre spalle per sempre.
Il cercatore di scarpe comprende i passi che ogni sua scarpa ha compiuto, sa leggere pazientemente in ogni sua parte, nella sua punta, nel suo tacco, nei suoi lacci, nelle sue pieghe; soppesa dai dettagli ogni urto affrontato da chi con quelle ha camminato, ne intuisce ogni salto, ogni corsa, ogni brusca fermata, ogni passo indeciso, imbarazzato, arduo, azzardato o affranto, stanco, pesante o leggiadro, leggero, danzante, giocoso, ogni energica accelerata, ogni cambio fluttuante di direzione. In ogni traccia d’usura il cercatore setaccia indizi dell’esistenza trascorsa, intravede le orme lasciate dall’anima di chi ha camminato, le ripercorre e ne celebra tutta la bellezza dimenticata in un angolo o naufragata su un lido: il cercatore di scarpe è il cercatore delle nostre piccole storie quando sono giunte al termine, strappa queste al nostro stesso distratto oblio e ne fa arte e incanto celebrandole.
Nella bellezza egli sublima ogni storia ripercorsa, intuita, svelata, forse solo immaginata: la universalizza, facendola diventare una parte della storia di chiunque altro voglia calzare nuovamente quelle scarpe e con esse ripercorrere altre vie sulle orme della bellezza dell’esserci. Egli è, ormai è chiaro, un cercatore di vita in fondo, molto in fondo, proprio sotto le nostre scarpe.
Una postilla sull’artista Antonio Catanzariti
Ci sia concesso di fornire alcune brevi note biografiche e non a completamento di quanto sopra. Il cercatore di scarpe, il salentino Antonio Catanzariti, risiede e crea a Lecce, la città nella quale ha a lungo lavorato come impiegato fino al pensionamento e dove tuttora vive con la moglie. Incontrammo una prima volta questo artista fortuitamente, sull’uscio di casa di amici comuni da cui noi giungevamo mentre egli ne usciva proprio con una sua scarpa in mano, al tempo l’ultima nata delle sue creazioni; questa opera, che ci colpì immediatamente per la bellezza che emanava tra le sue mani, fu, per lui, pretesto per raccontarci con entusiasmo e naturalezza – proprio lì, in piedi su quell’uscio – la storia della sua prima regina portata dal mare, per noi, invece, pretesto e ispirazione per scrivere quanto riportato sopra. A quel primo fortuito incontro, ne seguì poi un secondo più recente, premeditato e accordato, avvenuto un pomeriggio nel corso del quale, in compagnia di alcuni cari amici, ci recammo a casa dell’artista al fine di leggergli quanto la sua storia ci aveva ispirato e, soprattutto, poter mirare altre delle sue opere. Fu quello, senza dubbio, quel che si dice un giorno duro a dimenticare: a vedere Catanzariti entusiasmarsi con la freschezza, l’allegria e l’incanto di un fanciullo mentre dava la carica ad antichi giocattoli di latta che egli colleziona in casa, custodendoli come reliquie in una bacheca e contendendoli con i suoi nipoti bambini, nessuno al mondo potrebbe indovinare i suoi ottanta ed oltre anni d’età, dettaglio anagrafico questo che, quando quel pomeriggio ci fu rivelato, lasciò chi scrive piacevolmente senza parole, per un intenso momento il cui sapore ci piace qui condividere con il lettore. Della particolare vena artistica di Catanzariti, argutamente scrive con dono di mirabile sintesi ed eleganza Donato Ulivo: «Una peculiare caratteristica di Antonio Catanzariti è il riscattare dalla fissità funzionale un oggetto, trasmutandone il destino avuto in sorte al momento della nascita in un altro, esaltato dalla magia di un’ispirazione diversa che lo trasporta nell’olimpo della espressione estetica. Ecco allora le vecchie scarpe, sedie abbandonate, scarti di oggetti, tornano a rivivere e a dare nuove emozioni grazie alla fantasia inesauribile del Nostro». Con diverse, ma non meno efficaci parole, così si racconta invece l’artista stesso: «Una naturale predisposizione alla manualità mi ha sempre portato a sperimentare forme con materiali diversi. Il tema della scarpa è nato casualmente dall’incontro con oggetti, tra cui delle scarpe, restituite dal mare sulla spiaggia. Questi oggetti mi hanno subito incuriosito perché mi raccontavano delle storie di vita, tanto da farle rinascere ad una nuova vita, dando ad ognuna di esse un carattere ben definito in base a quanto mi trasmetteva quel particolare modello. Questa è, in breve, la storia che ha ispirato la vocazione a farmi guardare con occhio diverso questi oggetti: “le scarpe”». Per concludere, ci auguriamo e auguriamo al lettore che questa conversione dello sguardo che la spontanea creatività di questo artista ci mostra e che egli stesso con limpidezza ci descrive, accompagni sempre il sentire dei nostri animi e illumini i nostri occhi, perché proprio questa è la forza che colora e sostiene l’esistenza, permettendoci di scorgere la bellezza ovunque, in ogni cosa o elemento intorno a noi, persino in un’umile e abbandonata vecchia scarpa, se soltanto sappiamo guardarla. È tutto qui, ci pare, già racchiuso in un sol gesto poetico, l’alto e infinito messaggio che ai nostri occhi si dischiude nell’artistico esempio di questo uomo: nel suo piegarsi a raccogliere una vecchia scarpa, dentro la quale, sapendo egli cercare, vi ritrova tutta la bellezza e la bellezza del tutto. (www.spigolaturesalentine.it)