Un piccolo rettile al centro di una stupida credenza neritina dei secoli scorsi
ATTENTI AL BASILISCO!
Chiunque avesse incrociato il suo sguardo, sarebbe rimasto paralizzato o morto all’istante
di Emilio Rubino
Il basilisco (vasiliscu per gli amanti del dialetto salentino), nome di derivazione greca (βασιλίσκος), è un piccolo rettile che a malapena raggiunge i 50 cm. di lunghezza. Oggi è quasi del tutto scomparso. I pochi esemplari superstiti s’incontrano immobili sulle pietraie o nei campi incolti a godersi il caldo sole d’estate. A vederli, sembrerebbero delle bestiole insignificanti per le modeste dimensioni e per l’innata paura dell’uomo.
Avevano tutt’altra opinione i popolani di Nardò dei secoli andati, molti dei quali prestavano fede ciecamente a una stupida credenza, che dipingeva l’animaletto come un’orrenda bestia da cui stare alla larga. La leggenda nasce, presumibilmente, per via dell’ispida cresta che, partendo dalla testa dell’animale, si protrae per tutto il dorso, sino ad arrivare in prossimità della coda, e per gli occhi un po’ sporgenti e arrossati. Per tali caratteristiche, il basilisco sembra un piccolo drago, pronto a sputare fuoco e a creare seri problemi a chi ne venga investito. E invece, si tratta di una bestiola timida e inoffensiva che ama vivere nei luoghi isolati. Come tutti i rettili, va in letargo durante il periodo invernale e si risveglia in primavera ai primi tepori del sole d’aprile, uscendo di tanto in tanto dalla tana per brucare la tenera erba o cibarsi di qualche incauto insetto. La sua attività più intensa è svolta d’estate, sia per fare un carico di sole sia per dedicarsi, come ogni specie vivente, all’accoppiamento.
Ma torniamo alla leggenda neritina.
Pare, secondo la superstizione popolare di quel tempo, che la bestiola nasca da un uovo.
Beh!… su questo non ci piove, considerato che i rettili sono animali ovipari. La stranezza sta nel fatto che l’uovo è deposto, non già da una “basilisca”, ma… udite, udite… da un gallo!
No, non mi sto sbagliando!…
Qualcuno potrebbe obiettare che non dovrebbe trattarsi di galli, ma, al limite, di galline, giacché sono queste a deporre le uova. E invece, no: si tratta proprio di galli!
Ma di quali galli?!…
Stando sempre alla leggenda neritina, gli unici a deporre uova così strane, sarebbero i galli di età superiore ai sette anni, i quali, per uno strano e incomprensibile sortilegio, una volta superata quest’età, sono condannati da Madre Natura a una pesante punizione, cioè procreare basilischi. Perché ciò avvenga è necessario che il gallo deponga l’uovo sul letame e che in seguito sia fecondato da un rospo. Dopo pochi giorni di incubazione, nasce il basilisco, una creatura con la testa di gallo, dalla cresta squamosa rossa, grandi ali spinose e coda di serpente. Il suo sguardo incenerisce, secca le piante, contamina le acque; il suo alito uccide, brucia l’erba ed è velenoso. Il basilisco può auto-incenerirsi, se, per sua sfortuna, si guarda in uno specchio. Questa figura, per certi versi mitologica, ha due nemici mortali: le donnole e i galli, il cui canto le è letale. Stando a questa nefasta credenza, avevano ben ragione i salentini, e maggiormente i neritini degli anni andati, ad aver enorme paura dei basilischi.
Proprio per questo motivo tutti i galli prossimi ai sette anni venivano ammazzati e mangiati; anzi, per non correre troppi pericoli, i contadini li uccidevano ancor prima dei cinque anni. Capitava, però, che qualche imprudente neritino, non sapendo far la conta, lasciasse superare all’animale i fatidici sette anni e allora… apriti cielo!
Se in una determinata zona della vasta campagna neritina morisse qualcuno in circostanze misteriose o per cause ignote, allora c’era sempre un Tizio o un Caio che tirava in ballo la storia del basilisco.
“Sapiti comu è muertu cumpare Gricoriu?…E’ muertu ca l’ae sfiatatu ‘nu vasiliscu!”.
E tutti a diffondere la notizia per la città. Sta di fatto che erano in molti a non avvicinarsi più alla campagna di Gricoriu, per non fare la sua stessa fine.
Perciò in ogni famiglia si badava bene a non far sopravvivere un gallo oltre il settennio per non incorrere nel malefico mostriciattolo e creare un’infinita serie di luttuosi accadimenti.
Narra una leggenda nella leggenda che, alla fine del Settecento, nella masseria Tagghiutisu, in agro di Nardò, della quale oggi non si ha più notizia (forse per la strana storia del basilisco), la massara ebbe a dimenticarsi dell’età di alcuni galli (forse perché colpita da un’incipiente forma di Alzheimer), per cui un bel giorno uno dei pennuti, avendo superato il limite d’età, depose il “fatale” uovo, ma non nel pollaio, bensì su un mucchio di letame. La sfortuna volle che un rospo se ne accorgesse e lo fecondasse. Il nuovo “nato”, per non incappare nel canto malefico di altri galli, preferì allontanarsi in tutta fretta dalla masseria e nascondersi nelle vicine pietraie. Il basilisco crebbe sino a raggiungere l’età matura. Con fare baldanzoso e prepotente, decise di abbandonare il sicuro ricovero della tana e visitare la masseria. E’ inutile dirlo che, una volta entratovi, l’animale fece strage di tutti coloro, uomini e bestie, che sfortunatamente lo incrociarono con lo sguardo. In un primo momento si pensò che un’improvvisa malattia si fosse abbattuta in quel luogo, ma, dopo che alcuni contadini superstiti rinvennero le impronte e gli escrementi dell’orrenda bestia, tutti abbandonarono la masseria, ormai ritenuta luogo maledetto, per non farvi più ritorno.
E così, divulgatasi di bocca in bocca la ferale notizia, la gente, annichilita e terrorizzata, non osò per molti decenni frequentare quella contrada, mantenendosi alla larga per un raggio di un chilometro.
Quelle terre, abbandonate per tanti anni, non furono più coltivate e si inselvatichirono al punto da essere considerate come luoghi preferiti dai basilischi. Solo dopo oltre mezzo secolo qualcuno cominciò a ricredersi.
“Salvatò, sta’ bbìndinu la massaria “Tagghiutisu!”– ebbe a dire una giovane moglie al marito, alquanto danaroso.
“E cce bbuei cu ndi la ccattamu?!”.
“Salvatò, ‘òlinu picca ducati!… Ete ‘nu veru affare!”.
“Ci no’ nc’eranu li vasilischi, la ccattava subbitu!…” – gli rispose quello – “…None Cuncettina, nu’ mbògghiu cu ffazzu la fine c’hannu fattu tanti cristiani!”.
In seguito, grazie all’incidere della civiltà e dopo ripetute visite di alcuni uomini coraggiosi in quella masseria, si intuì che la storia del “micidiale basilisco” fosse soltanto frutto di una stupida superstizione popolare. Finalmente, all’inizio del Novecento, quei luoghi ritornarono a essere frequentati e coltivati come un tempo.
Perciò, meditate gente, meditate!… e ricordate che soltanto grazie a un’adeguata istruzione è possibile abbattere l’ignoranza e, soprattutto, la stupidità delle super- stizioni.
Da allora i basilischi vissero felici e contenti, ma i galli, sebbene fosse stata sfatata la superstizione, continuarono a essere ammazzati, così come gli agnelli, le anguille, i capitoni e altri animali, che, per altre incrollabili credenze, subirono e subiscono tutt’oggi, in certi periodi dell’anno, un’inconcepibile mattanza.
Bisogna lavorare tanto per sconfiggere definitivamente le lucide pazzie dell’uomo moderno… moderno per modo di dire, perché, a mio modesto avviso, si vive ancora nell’Alto Medioevo, nonostante le numerose conquiste mediche, scientifiche e tecnologiche.