Peppu ‘Fustella’
di professione “banditore”
di Emilio Rubino
Oggi la figura del “banditore” non esiste più. Soffermarsi, perciò, a parlare di aspetti di vita e di figure ormai finite nel pozzo dell’Eterno Oblio, sembrerebbe inopportuno e fuor di luogo. Ma non è così, perché la storia, gli usi, i costumi e gli aspetti tradizionali della propria terra vanno sempre conosciuti e tramandati per farsi una ragione di ciò che è stato e per meglio vivere la quotidianità della vita moderna.
Per tale motivo vi parlerò, cari amici lettori, della bella e importante figura di un banditore di Nardò, vissuto tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento.
Oggi le notizie di politica, di cultura, di intrattenimento e, soprattutto, quelle pubblicitarie, trovano spazio nei cosiddetti “mass-media”, attraverso cioè i giornali, le riviste, le radio, le televisioni e, da qualche tempo a questa parte, grazie ad internet e ai suoi derivati.
A quei tempi, invece, la diffusione di notizie era affidata soltanto ai manifesti e ai giornali. Ma non era sufficiente. Infatti, solo una minima parte di persone ne usufruiva, sia perché l’analfabetismo era imperante, sia perché non tutti potevano sopportare il costo del giornale. Pertanto la stragrande maggioranza della popolazione era tagliata fuori da qualsiasi tipo d’informazione.
Sorge spontanea la domanda: “Come venivano pubblicizzate le notizie di una certa importanza da diffondere ad ogni fascia della popolazione?”. Si doveva ricorrere necessariamente al cosiddetto “banditore”, che noi neritini chiamavano con l’astruso termine di “andisciatore”, vale a dire “ambasciatore”. Quest’uomo passava di piazza in piazza, di via in via del paese e diffondeva ad alta voce l’informazione alla gente.
Si ricorreva a lui anche per reclamizzare alcuni prodotti commerciali oppure, se l’ordinante era persona facoltosa, per diffondere la notizia di un matrimonio, di una morte, della nascita di un figlio, di una laurea, ecc.
Più di un secolo fa a Nardò a pubblicizzare ogni cosa ci pensava un tale Peppu Fustella, che tirava innanzi con quel poco che riusciva a racimolare dalla sua simpatica ‘professione’. Peppu non aveva concorrenti in materia di banditore, perché il Padreterno lo aveva dotato di una voce acuta e stentorea, aldilà dell’immaginabile. Per dirla in altro modo, è come se avesse un amplificatore naturale nelle corde vocali. Pare che la sua voce fosse percepita anche dalle persone che si trovavano nell’immediata periferia della città. Anzi, per essere ben ascoltato, utilizzava la metà di una “menza”1, che portava in prossimità della bocca a mo’ di megafono e quindi si lasciava andare ad “Audite, audite, audite…”, seguito dal messaggio da comunicare.
Prima di diffondere la notizia, però, si faceva precedere dal rullo di un tamburo, che portava sempre con sé, tant’è che i ragazzini lo chiamavano anche “Peppu tamburru” o addirittura “Pathreternu”, perché la sua voce rimbombava dappertutto, come il buon Gesù durante i suoi discorsi alla numerosa folla di fedeli. Quest’ultimo soprannome, oltre che allo squillante timbro di voce, era riferito anche alla folta barba che, come il Redentore, gli ornava il viso.
Peppu Fustella era un bel tipo d’uomo, alto di statura, molto simpatico, cordiale e socievole. Ci teneva assai all’igiene della barba, tanto che ogni mattina usava lavarla con acqua e sapone e strizzarla come se fosse un panno appena lavato.
Peppu “Pathreternu” abitava – guardate caso – in un vicoletto che il popolino soprannominava “rretu all’infiernu” (dietro all’inferno). Forse è l’unico caso nell’intero universo che il diavolo e il padreterno abbiano abitato nella stessa strada.
Come si diceva, era un bell’uomo, tant’è che il celebre artista Cesare Maccari lo volle come modello per dipingere il volto di Gesù Cristo. Perciò, coloro che intendono conoscerlo visivamente possono recarsi nella cattedrale di Nardò ed ammirarlo nella tela che raffigura il Redentore. Lui sta ancora là, con un sorriso appena abbozzato, con le mani e gli occhi rivolti in cielo e una barba rigogliosa e fluente.
Era un uomo dalle mille risorse e ben amato, soprattutto dal popolino e dai ragazzi. Addirittura si vocifera che, per onorare la sua figura, un’amministrazione comunale dell’epoca volle intitolargli, dopo la sua morte, una strada, come generalmente si fa con i personaggi cittadini illustri. Tale strada non porta il suo nome e cognome, bensì un nome che possa facilmente riferirsi a lui, cioè… via Padreterno, che esiste ancora ed è una traversa di via Papalisi. Insomma Peppu Fustella è entrato da lungo tempo nella storia cittadina di Nardò, anche se spicciola.
Molti neritini anziani lo ricordano come persona dall’animo generoso, che poteva stare bene nel libro “Cuore” di Edmondo De Amicis. I ragazzi, poi, lo rincorrevano pregandolo di raccontare una delle tante novelle e favole, alcune delle quali da lui stesso inventate. Il buon Peppu li radunava in un angolo di piazza Salandra e con parole appropriate e tanta espressività nelle mani e sul viso incantava quei fanciulli, tutti con le orecchie ben tese ad ascoltare il fatterello quotidiano. Mai lezione scolastica è riuscita ad attirare nei un’attenzione così profonda come quella stimolata da Peppu Pathreternu. Alla fine del racconto, i ragazzi solevano ringraziarlo con qualche fico secco o un po’ di pane raffermo. E lui li salutava con il solito sorriso paterno.
Peppu va ricordato soprattutto per la pubblicizzazione di prodotti commerciali deperibili, come pesce, carne, prodotti agricoli, ecc. Se, ad esempio, in una pescheria cittadina era stato scaricato del pesce fresco, il pescivendolo contattava il buon Peppu, che immediatamente diffondeva, al suono di tamburo e attraverso la mezza ‘menza,’ il prodotto ittico della pescheria pubblicizzata. Quel pesce in meno di un’ora era già venduto. In cambio, lui non riceveva del denaro, se non raramente, ma un’incartata di “fracaja” (piccoli pesci) o una manciata di gamberetti.
Poco prima di San Martino era contattato dai vinaioli per reclamizzare il vino novello. Peppu assumeva l’incarico solo se il vino fosse di buona qualità, ma non prima di averlo assaggiato più volte da botti diverse. Se rispondeva ai suoi gusti ed aveva una buona gradazione, Peppu accettava di reclamizzarlo. Pertanto si faceva dare una ‘menza’ di vino ed un bicchiere per fare assaggiare ai clienti la bontà di quel prodotto. Generalmente si fermava in Piazza Salandra, luogo molto affollato, e richiamava con la solita voce stentorea la gente. Ovviamente la “menza” si esauriva subito per via dei continui offertori gratuiti ai popolani, molti dei quali si ripromettevano di acquistarne qualche damigianetta.
Era una mossa azzeccatissima, perché la cantina del vinaiolo era presa d’assalto e il vino era venduto nel giro di pochi giorni.
Una cosa è ben certa: Peppu Fustella, alias Tamburru, alias Pathreternu rappresentava un buon mezzo di persuasione per la vendita di qualsiasi prodotto, proprio perché era lui stesso a garantire la buona qualità. Insomma i neretini avevano cieca fiducia di tutto ciò che reclamizzava.
Peppu sponsorizzava anche tessuti, sartorie, falegnamerie, alimentari, saloni da barba, calzolai, bettole e tutto ciò che veniva venduto in offerta speciale. Insomma era il precursore delle reti televisive attuali.
Anche gli stessi braccianti si rivolgevano a lui per una raccomandazione, soprattutto quelli che non trovavano “la giornata” di lavoro. Se il richiedente stava in buona salute, gli trovava immediatamente da lavorare in campagna, se invece era magro e stenterello, faceva di tutto per trovargli un lavoro a sua misura.
Ma non finiva certamente qui la “professione” di Peppu Fustella perché, nel caso in cui fosse interpellato, leggeva anche avvisi pubblici affissi all’albo pretorio del Comune oppure vari manifesti, ricevendo in cambio una-due sigarette o un buon bicchiere di vino.
Alla sua morte pare che il feretro fu accompagnato da un lunghissimo corteo di gente, preceduto da una frotta di ragazzini che diffondevano, con tanta costernazione, la notizia della sua morte.
Altri personaggi tentarono di emularlo, ma invano. La sua voce era squillante, il suo viso radioso grazie alla barba fluente, il suo modo di fare unico e ineguagliabile. Solo un tizio, chiamato “Pulicinu”, tentò di imitarlo, ma con scarso successo. In particolar modo i commercianti e i ragazzi lo piansero più di chiunque altro.
Si racconta che in via Padreterno, in un angolo di una corte, ci sia ancora una mezza ‘menza”, ormai arrugginita e bucherellata in più parti.
Che sia quella di Peppu Fustella, alias Tamburru, alias Pathreternu?
Nota – La “menza” era un recipiente di zinco, utilizzato soprattutto dai contadini per annaffiare l’orto o dalle donne per trasportare l’acqua dal fontanile a casa. La sua capacità era generalmente di 11-12 litri.