Nelle preghiere, nei ricordi, nei sogni il mio pensiero è rivolto sempre a te
Amate e dolce Madre
di Rino Duma
Ho avvertito il bisogno, in occasione dell’approssimarsi del Santo Natale, di rivolgere un caro saluto alla mia cara e indimenticabile mamma e, di riflesso, a tutte le mamme di questo mondo, nessuna esclusa.
Mi sovviene spesso di incontrarla idealmente, soprattutto quando sto giù di corda. Le rivolgo i pensieri più profondi e teneri, inconfessabili ad altre persone. Me la ritrovo accanto allo stesso modo di quando mi seguiva passo passo durante i miei primi incerti anni di vita. Bastava la sola sua presenza per riaccendermi la luce in fondo all’anima e rasserenarmi dopo momenti di paura e di sconforto. Lei puntualmente si è faceva carico di tutte le mie pene e mi aiutava a rialzarmi dopo le tante rovinose cadute fisiche e spirituali.
Stesse considerazioni vanno fatte per tutte le mamme del mondo, perché sono tutte uguali, con gli stessi sentimenti, attenzioni e sacrifici verso i propri figli. Almeno così penso che sia.
E allora, come si fa a dimenticare la mamma?! Come si fa a tirare innanzi senza la sua presenza?! Come si fa a vivere senza le sue continue e silenziose premure, i suoi sguardi preoccupati ma rassicuranti?!
Soltanto Lei sa ascoltare gli affanni e le paure dei figli, sa porre trepido orecchio alle loro sofferenze. Soltanto Lei rimbocca le coperte ogni sera ai suoi piccini, dà loro il bacio del buongiorno e della buonanotte e prepara la famiglia alla vita quotidiana.
La mamma è la gioia più dolce e sublime che ci sia, è un pezzo di Dio in terra, è una fonte perenne d’amore, grazie alla quale i figli si dissetavo nei momenti di bisogno. Con Lei presente, la stessa casa sembra che abbia un cuore, un’anima. In sua presenza si avvertono battiti, suoni, profumi, sapori speciali della vita; in sua assenza tutto scade e decade maledettamente.
La mamma non dovrebbe mai morire! Purtroppo, quando viene a mancare, anche una parte di noi, quella legata ai ricordi più intimi e cari, va via per sempre con Lei.
Da queste pagine mi sento in dovere di rivolgere un caloroso invito ai tanti fanciulli e ragazzi che mi leggeranno. Ma non guasterebbe se fosse letto anche da certi adulti.
Ecco, cari figli, vi auguro che possiate godere a lungo dell’amore stupendo ed ineffabile di vostra madre. Amatela intensamente, ragazzi, ora che potete abbuffarvi dei suoi smisurati affetti e delle immancabili attenzioni. Quando avrete la sventura di perderla – ve l’assicuro – solo allora avvertirete nel cuore la morsa del freddo pungente della vita, solo allora comincerete ad assaggiare il senso della morte, che, poco per volta, si calerà dentro di voi con i suoi veli neri, con il suo pesante carico di ombre e di paure, e vi allontanerà pian piano da quel mondo fanciullino in cui Lei era la bella fatina, che vi incantava e vi seduceva, lasciandovi nel cuore sempre una dolce scia.
Ho scritto tanto di Lei nei miei romanzi, in modo particolare ne “La falce di Luna”.
Ho voglia di riportare, se non tutti, almeno quelli che per me sono i pensieri più importanti a lei rivolti.
Sono considerazioni riferite, in modo particolare, alla mia vita di fanciullo, durante la quale, pur comportandomi educatamente e con senso del dovere e del rispetto, a volte scantonavo e ne combinavo di cotte e di crude. In poche circostanze mi ha picchiato, quasi sempre mi ha rimproverato, usando e dosando le parole migliori, quelle più adeguate ad ogni singolo caso. Non mancava mai di consigliarmi e di indicarmi la via da seguire.
La singolare storiella che sto per raccontarvi è stata per me fondamentale e decisiva nella vita, poiché ha contribuito in maniera determinante alla mia formazione umana, professionale e religiosa. Se sono diventato un buon insegnante ed un cittadino-modello, lo devo esclusivamente all’educazione che Lei mi ha impartito.
Alcuni anni fa, allorquando mi venne diagnosticata, per pura casualità, una malattia molto importante, dalla quale non mi sono più ripreso e, forse, non ne verrò mai fuori, ho avvertito il desiderio impellente di rivolgerle alcune riflessioni sulla mia vita vissuta, di ringraziarla per i continui suggerimenti, sempre utili e mai vani e vaghi, di chiederle perdono per alcune mie scelte sbagliate di vita, nonostante Lei si fosse più volte opposta alle mie avventate decisioni, di aver rifiutato le sue idee religiose, che stoltamente ritenevo assurde, ma che ho fatto mie soltanto in questa tarda età.
Questi miei pensieri li ho spediti idealmente in cielo, nei giardini di Dio, dove Lei oggi vive beata con la maggior parte delle mamme. Ed allora, rivolgo a voi, cari fanciulli e cari amici, un invito a seguirmi con molta attenzione e serietà d’intenti, perché avrete la possibilità di far vostro qualche importante esperienza presente in questo scritto.
«Da fanciullo, durante le serate estive di luna nuova, spesso mi distendevo in terrazza su una sdraio ad ammirare il fascino che proveniva dalla volta celeste. Rimanevo a bocca aperta di fronte a quell’immenso ed avvolgente sfavillio di stelline, che mi trasportavano, senza che me ne accorgessi, in altri mondi e cieli e mi risucchiavano in uno stato di estrema beatitudine. Non mi era per niente facile venir fuori da quella dolce malia, anche perché provavo molto dispiacere a staccarmene.
Mi chiedevo più volte cosa rappresentasse quel manto di puntini luminosi e per quale motivo si trovasse così tanto distante da noi altri.
“Un giorno saremo tutti lassù a navigare in quel mare e a pescare il maggior numero possibile di stelline, che poi si trasformeranno in fiori da regalare a Dio per godere della salvezza eterna” – in questo modo rispondeva la mamma ai miei assillanti ‘perché’, ai quali seguivano risposte, che ritenevo incomprensibili e vaghe.
Non riuscivo a capire come mai le stelline potessero trasformarsi in fiori, cosa volesse dire “salvezza eterna” e, soprattutto, chi fosse mai quel Dio da lei dipinto come una persona molto più importante di suo padre e di mio padre. Ci capivo ben poco dei suoi discorsi religiosi tutti incentrati su Gesù, lo Spirito Santo, gli Angeli custodi e maggiormente sul Signore, creatore del cielo e della terra, e sulla Madonna, dipinta sempre come la madre di tutte le madri, molto buona e generosa.
“Perché non me li fai conoscere?” – le chiedevo innocentemente.
E lei: “Ora è ancora presto. Un giorno, quando sarai divenuto più grandicello, saranno loro stessi a venirti a trovare, ma a patto di comportarti bene, di avere rispetto del prossimo, di studiare e di rivolgere le migliori preghiere al buon Dio, alla Madonna e a Gesù”.
“Ma io sono sempre buono, mamma; forse, ma solo raramente, ti ho disobbedito e ho studiato poco per giocare un po’ di più con i miei compagni per strada” – le dicevo a testa china, confessandole qualche mio peccato veniale.
“Lo so, figlio mio, ma se mi disobbedisci e non fai il tuo dovere quotidiano, se trascurerai la tua persona, se t’impegnerai con poco profitto nello studio, se sarai poco rispettoso della vita degli altri, rischi di precipitare un giorno in un pozzo profondissimo pieno di ombre opprimenti, di grida di dolore, di figure mostruose pronte ad azzannarti, di diavoli che ridacchiano e ti volano accanto, di streghe che ti ballano intorno urlando come pazze, pronte a calarti in un pentolone bollente…”.
“C’è anche la strega sdentata di cui mi parli spesso?!?” – le ribattevo con terrore.
“Certo che sì! …” – mi rispondeva stringendomi a sé – “…Ma se mi assicuri che rispetterai quanto ti ho detto, ogni brutta cosa svanirà nel nulla e il buon Dio ti starà sempre accanto, assieme al tuo angelo custode”.
Era l’educazione di quei tempi fatta di regole da osservare, di schiaffi che arrivavano al momento giusto e di discorsi forti e necessari, che si fissavano sul muro dell’anima e ti costringevano a metterti sulla retta via.
Nonostante queste opportune indicazioni, non riuscivo a spiegarmi l’importanza e la magnificenza di quel Dio, ancora in fasce dentro di me, del quale Lei mi parlava a lungo con pia devozione durante le preghiere serali.
Ho affrontato la prima Comunione e la santa Cresima con poco entusiasmo, proprio perché sia Lei sia i vari preti di turno mi avevano fatto ingoiare tante di quelle preghiere e figure sacre, che puntualmente cozzavano contro la normale ragione di un bambino.
Mi ossessionava ogni domenica mattina, quando mi ricordava, anzi m’imponeva, di andare in chiesa per la santa Messa. Le obbedivo sempre, non tanto per farle un piacere, quanto perché c’era la prospettiva di precipitare nell’inferno più infuocato e di incontrare tutti quei mostri di cui Lei mi parlava ad ogni mia disobbedienza.
A furia di andare in quei luoghi sacri, a furia di ascoltare il professore di religione in classe e, in modo particolare Lei, durante la sofferta mezz’ora del Rosario serale, ogni regola e figura cristiana mi si appiccicarono su ogni cellula.
Poi, crescendo e lasciandomi rapire dal vortice impetuoso della vita, quegli iniziali propositi via via andarono a scontornarsi fino ad assumere connotati rivolti più che altro alla materialità e non alla spiritualità della vita. Qualche piccolissima distrazione o disobbedienza l’ho rimediata, ma sempre nel pieno rispetto di quei famosi “dieci comandamenti”, al di là dei quali c’era la condanna eterna, secondo gli intendimenti materni.
Man mano che crescevo, ho iniziato a cogliere importanti successi nella vita. Il primo è stato quando vinsi, tra tutti i ragazzi della Scuola Media “Pascoli”, il primo premio con un tema sul “Risparmio”, da meritarmi tanto di diploma, che conservo gelosamente e che mi fu consegnato nella presidenza dal funzionario dell’Istituto Nazionale Assicurazioni e dalla severa ma preparata preside Sabato.
Poi nel tempo ho colto tanti altri ‘fiori’, come il diploma di ragioniere prima e di laurea in Economia e Commercio poi, la nomina di docente di Matematica, l’elezione a Presidente del “Club ’69”, divenuto poi Circolo Cittadino “Athena”, le undici edizioni annuali del Premio Letterario “Arhena” a livello nazionale, le tante conferenze su argomenti d’importanza nazionale e internazionale, la pubblicazione del mensile “Il Gazzettino di Galatina”, di cui sono stato redattore per oltre cinque anni, la pubblicazione della rivista “Il filo di Aracne”, ormai entrata nel suo 14° anno di vita, la nomina a Presidente dell’associazione sportiva “Cuore biancostellato”, la pubblicazione dei miei romanzi: “La falce di luna”, “La scatola dei sogni”, “La donna dei Lumi”, “La Taranta”, “Storia di una Stella” ed il prossimo lavoro, che pubblicherò fra un anno, dal titolo “Ricordi di una vita”. Ultimo tassello è rappresentato dalla nomina a Preside della Scuola Media “Don Rua” di Porto Cesareo.
Della vita sentimentale ricordo i tanti amori giovanili (alcuni dei quali platonici), che duravano il tempo di una stagione e anche meno, e poi il definitivo vincolo matrimoniale con la mia amata Angela e la nascita delle mie due care figliole, Laura e Paola.
Le sacre figure religiose e le sane regole di vita di cui mi aveva parlato a lungo mia madre, pur rimanendo attaccate al mio tessuto interiore, s’erano però alquanto defilate. Il resto della vita è stato contrassegnato da una buona regolarità come uomo, marito, padre, docente, preside, presidente, direttore, giornalista, romanziere e dirigente sportivo.
Con l’apparire dei primi acciacchi fisici e con la perdita di persone molto care, soprattutto la sua, la vita giovanile e spensierata ha iniziato a perdere le tinte forti d’un tempo, finendo per decadere in un’insipida scala di grigi. Mi sono ritrovato a vivere in una situazione di mezzo, tra immanenza e trascendenza, con la prima a perdere importanti punti a vantaggio della seconda.
Oggi, finalmente, dopo tante sofferte tribolazioni interiori, ho ripreso a riguardare, anche se con occhi diversi, quel “tetto di stelle” che mi ammaliava così tanto da fanciullo. Solo ora comprendo appieno il significato della volta celeste, che da sempre ci avvolge, ci investe, ci meraviglia, ci rasserena e, nel più assoluto silenzio, ci parla di un Dio che sovrintende ad ogni nostra azione… e non certamente di un Nulla creatore.
Per tale motivo, soprattutto quando sto giù di morale, avverto il desiderio, anzi la necessità, di recarmi in terrazza per appartarmi e riprendere quei voli fanciullini che mi procuravano dolci ed inenarrabili emozioni. Rivolgo in cielo gli occhi per immergermi nell’estasi del creato e mi ritrovo a caracollare, così come allora, in mezzo a quell’immensità fatta di un buio rassicurante, pieno di soli, lune, comete e tanto amore… ma soprattutto tanto, tanto Dio.
Ho scoperto, finalmente, il vero significato della vita e, fra non molto, scoprirò il vero volto di Dio.
Grazie, mamma, ti mando un bacione sin lassù!».