I Frati Minori nel Convento di S. Caterina dal ‘700 al 1937

Nella seconda metà del ‘700 nel Regno di Napoli anche i Frati Minori della Serafica Riforma della Provincia di S. Nicolò dovettero fare i conti con la politica giusnaturalistica del governo borbonico, che tendeva ad affermare la superiorità del potere regio su quello ecclesiastico, infatti:
– nel Capitolo tenuto a Lecce il 31 ottobre 1778, nel quale fu eletto Ministro Provinciale fra Andrea Correggia da Francavilla Fontana, per ordine del re fu presente il Vescovo di Lecce mons. Alfonso Sozy Carafa, in quanto il governo diffidava dei regolamenti minoritici e di coloro che il Generale dell’Ordine inviava per ispezionare i conventi e provvedere al bene dei Frati;
– un reale dispaccio del 21 agosto 1779, inviato dal Ministro Carlo De Marco al Preside della Provincia di Terra d’Otranto, imponeva ai Visitatori generali di recarsi, prima delle sante visite, dai Vescovi per informarsi della condotta dei religiosi;
– il Sovrano con dispaccio del 25 settembre 1779 proibì “…a tutti i francescani mendicanti, sotto pena della reale indignazione e dello sfratto dal regno”, l’accettazione di novizi; tale divieto fu confermato nel 1795 e indusse i giovani a disertare per oltre vent’anni l’Ordine dei Frati Minori, infatti fino al 1799 solo dieci giovani ottennero dal re il permesso di vestirne l’abito;
– il medesimo Sovrano il 27 dicembre 1783 stabilì che potevano essere eletti a dirigere gli uffici delle Province monastiche solo i Frati più degni e ordinò che i Ministri fossero lettori di teologia “di esercizio e non di titolo”, che i Custodi possedessero almeno il diploma di filosofia e i Guardiani delle case principali fossero stati insegnanti;
– perché i Frati osservassero la povertà e la disciplina regolare fu prescritto che le elemosine pecuniarie rimanessero depositate presso i “sindaci apostolici” insieme alle offerte delle SS. Messe;
– il 1° settembre 1788 tutti i conventi del Regno furono resi indipendenti dalle Curie Generali e da qualsiasi Capitolo convocato al di fuori dallo Stato, mentre a tutti i religiosi, sotto pena di essere mandati in esilio, fu proibito di tenere rapporti di sudditanza con i propri Ministri Generali.

Con le sopracitate norme restrittive si mirava alla creazione di una Chiesa di Stato. Ma stranamente alcune di esse furono abrogate in occasione della proclamazione e del successivo crollo della Repubblica Partenopea. Infatti il cardinale Fabrizio Ruffo dieci giorni dopo il saccheggio di Altamura,
effettuato dalle sue bande il 9 maggio 1799, con apposito editto permise alla Provincia della Serafica Riforma di S. Nicolò di accogliere quaranta novizi.
Successivamente Ferdinando IV, ritornato a Napoli dalla Sicilia, continuò la politica avviata dal cardinale Ruffo, annullando le severe sanzioni da lui stesso emanate contro i Religiosi su proposta dei suoi ministri giusnaturalisti. Pertanto tra il 1801 e il 1803, per effetto di nuovi regi decreti, il Ministro
Provinciale fra Giacinto da Nardò potè ricevere altri sessanta novizi.Anche il decennio di governo dei re napoleonidi fu molto difficile per i Francescani. Infatti il re Giuseppe Bonaparte, impose loro il giuramento di fedeltà e il divieto di accettare novizi senza il consenso regio (1806).

Successivamente, in data 7 agosto 1809, il re Gioacchino Murat decretò quanto segue:
– erano abolite le “Costituzioni degli Ordini Religiosi detti degli Osservanti, de’ Riformati, de’ Cappuccini e degli Alcantarini” insieme alle cariche di Provinciale, di Definitore e di Ministro generale, che erano richieste “dall’unione di più conventi in un corpo”;
– ogni convento doveva essere “isolato da tutti gli altri”, avere un proprio superiore, eletto tra i Frati che vi abitavano, i quali non dovevano essere meno di dodici e dipendere dal Vescovo della diocesi per la disciplina ecclesiastica, e dalle autorità civili per quanto riguardava “…economia, amministrazione, giusto trattamento ed altre simili temporalità”;
– i Frati sacerdoti facevano parte del Clero diocesano e sarebbero stati impiegati secondo le disposizioni del Vescovo. Rigorosa fu l’applicazione della suddetta legge, infatti in Puglia nel 1810 finirono in carcere il Ministro provinciale fra Tommaso da Latiano e il suo segretario.
In questa fase rimase aperto il Convento S. Caterina di Galatina, che aveva più di dodici Frati.
Dopo la tempesta napoleonica il re Borbone, tornato al potere col nome di Ferdinando I delle Due Sicilie, iniziò la seconda fase del suo assolutismo, non più anticurialista ma associato all’altare. Infatti nel 1815 permise la ricostituzione degli Enti monastici sotto l’autorità dei Ministri provinciali eletti
prima del 25 maggio 1811. Pertanto il 16 marzo 1816 furono restituite le funzioni di Ministro provinciale dei Frati Minori di Puglia a fra’ Angelico da Gallipoli, del cui Definitorio entrò a far parte
fra’ Francescantonio Vantaggiato da Galatina.
Dopo l’uscita di scena degli Olivetani (1807) l’amministrazione dell’Ospedale era stata assunta dall’Università di Galatina, mentre l’assistenza spirituale agli ammalati veniva prestata da sacerdoti
della Collegiata. Ma nel 1828, dopo 334 anni, tornarono al capezzale degli infermi i Frati Minori
Francescani, come si rileva da un antico “registro dei decessi”, conservato nell’archivio del nosocomio.
In particolare nel decennio 1828-1837 la somministrazione degli ultimi sacramenti ai moribondi e il riconoscimento dei morti furono effettuati da un non meglio precisato “fra’ Giuseppe Riformato”, che in alcuni periodi fu anche guardiano del Convento di S. Caterina.
Intanto dopo la formazione del governo rivoluzionario, seguita alla sommossa messa in atto dai militari guidati dai tenenti Morelli e Silvati, insieme a bande carbonare, furono nuovamente vietate la vestizione e la professione dei novizi (13 novembre 1820). Le stesse, però, furono ripristinate nel marzo 1821, in seguito alla caduta del suddetto governo e alla severa repressione della Carboneria ordinata dal settantenne Ferdinando I di Borbone.


Purtroppo con la ritrovata normalità si riaccesero le penose polemiche tra i Minori Riformati di Terra di Bari e quelli di Terra d’Otranto, che dalla metà del XVII secolo agli inizi del XIX avevano travagliato la Provincia minoritica di Puglia.
Il 20 giugno 1832, nel corso del Capitolo tenutosi a Bitetto, nel quale fu eletto Ministro Provinciale fra’ Francescantonio Vantaggiato da Galatina (1759-1847), fu redatta e inviata al Vicario Generale una motivata richiesta per la divisione della Provincia della Serafica Riforma “S. Nicolò”.
Dopo un’ulteriore analoga richiesta, ricevuta nel 1834, il Vicario Generale inoltrò apposita supplica per tale divisione a papa Gregorio XVI, il quale, esaminate le relazioni in merito dei Vescovi di Bari e di Lecce, concesse la propria autorizzazione. Nel 1835, con l’approvazione del re Ferdinando II di Borbone, la Provincia minoritica pugliese cessò di esistere, dando luogo alla Provincia minoritica di Bari, che comprendeva dodici conventi e conservava la denominazione “S. Nicolò”, e a quella di Lecce, comprendente 17 conventi e intitolata “S. Giuseppe”.
Il 17 marzo 1861 fu proclamato il Regno d’Italia, il cui Governo emanò il R.D. 13 ottobre 1861, che all’art. 4 disponeva: “I Religiosi e le Religiose mendicanti, che continueranno a fare vita in comune secondo le regole del loro istituto ne’ Conventi o Monasteri in cui hanno sede, o in cui saranno concentrate, potranno fare la questua come in addietro”.
In virtù di questa norma i Frati Minori, dopo la fine del Regno delle Due Sicilie, continuarono a dimorare nel Convento S. Caterina, ma non tranquillamente, poiché già nel 1861 il Ricevitore dell’Ufficio del Registro di Galatina iniziò il primo inventario dei beni mobili, che completò il 22
luglio 1862. Successivamente, il 25 aprile 1865, la Cassa Ecclesiastica cedette in affitto, come caserma dei Carabinieri, parte del convento, e l’onere del relativo canone fu assunto per un triennio dalla Deputazione Provinciale di Terra d’Otranto. Quindi, a partire dalla seconda metà del 1865 la storica Casa religiosa galatinese fu in parte occupata dai Carabinieri e in parte dai Frati, che erano in tredici col guardiano, fra’ Francescantonio Baffa da Galatina. Questa coabitazione fu però bruscamente interrotta dal R.D. 7 luglio 1866, che all’art. 1 sanciva testualmente: ”Non sono più riconosciuti
dallo Stato gli Ordini, le Corporazioni e le Congregazioni regolari e secolari, ed i Conservatori e Ritiri i quali comportino vita comune ed abbiano carattere ecclesiastico. Le case e gli stabilimenti appartenenti agli Ordini, alle Corporazioni, alle Congregazioni e ai Conservatori e Ritiri anzidetti sono soppressi.”
L’applicazione della nuova legge eversiva segnò dramma esistenziale senza precedenti, che si concretò in una diaspora di migliaia di religiosi di ambo i sessi, molti dei quali, specie i più anziani, non sapevano dove andare, perché non esistevano più le loro famiglie di origine.
A mitigare tanto disagio non erano certo sufficienti il riconoscimento da parte dello Stato dei diritti civili e politici (v. art. 2 del R.D.) e l’assegnazione di modestissime pensioni, il cui importo annuale per gli appartenenti agli Ordini religiosi mendicanti era di 250 lire per i sacerdoti, di 144 lire per i laici di età superiore ai 60 anni e di 400 lire per i religiosi colpiti di grave e insanabile infermità, che
impedisse ogni occupazione.
Dopo un ulteriore controllo dei beni mobili, voluto dal sindaco Antonio Dolce, il 31 dicembre 1866 i Frati Minori, ottemperando ad una categorica ingiunzione avuta nove giorni prima dal Ricevitore dell’Ufficio del Registro di Galatina, lasciarono definitivamente il Convento S. Caterina, che era stata la loro “casa” per oltre quattro secoli e mezzo.
Il 16 giugno 1867 fu effettuato un terzo inventario dei beni mobili dell’ex Convento e della Chiesa. Quest’ultima, però, rimase aperta al culto e con tutti gli arredi sacri fu affidata, su proposta dello stesso sindaco Dolce, a fra’ Bernardino Mauro da Galatina, al quale fu concesso di abitare in tre stanzette attigue.
Il successivo 1 gennaio 1868, per decisione della Cassa Ecclesiastica, i due stabili furono devoluti al Comune di Galatina, dal quale fu confermata l’apertura al culto della Chiesa, mentre nell’ex Convento, oltre alla caserma dei Carabinieri, fu sistemato anche il carcere giudiziario.
Sessanta anni dopo, cioè l’8 novembre 1928, l’Amministrazione comunale galatinese, rappresentata dal podestà Domenico Galluccio, concesse per ventidue anni ai Frati Minori Riformati della Provincia S. Giuseppe di Lecce la chiesa di S. Caterina e parte del piano superiore dell’antica casa religiosa annessa. Quest’ultima, dopo tanti anni di completo abbandono, era pressoché inabitabile, perciò i
Frati dovettero sobbarcarsi al restauro di ambienti fatiscenti e alla esecuzione di innumerevoli riparazioni, che comportarono la spesa di circa 75.000 lire, di cui 12.600 per lavori di falegnameria.
Perciò fu necessario vendere alcuni immobili ereditati dal defunto fra Domenico De Simone, ricavando la somma di 25.500, mentre la rimanente spesa di 49.500 lire fu effettuata con offerte di benefattori.
Intanto l’11 febbraio 1929 era stato stipulato il Concordato tra il Regno d’Italia e la S. Sede, per effetto del quale sarebbe stato definitivo il ritorno in S. Caterina dei Frati Minori, che avvenne in data 7 luglio 1929.
Il primo superiore fu fra Gianluigi Blasi da Martina, che, in breve tempo, riuscì a rinnovare tutto l’occorrente per il culto, a restaurare l’organo, a rifare in marmo l’altare maggiore e in ferro i finestroni dell’abside.
Sebbene soltanto pochissimi anziani, nati nella seconda metà del XIX secolo, avessero avuto in gioventù conoscenza diretta dello zelo apostolico e della grande spiritualità dei Francescani, la cittadinanza di Galatina riservò a fra’ Gianluigi da Martina e ai suoi confratelli una calorosa accoglienza, che presto divenne entusiastica collaborazione, specialmente quando nel 1936 l’Arcivescovo Sebastiano Cuccarollo istituì la Parrocchia di S. Caterina, sia pure “ad
experimentum” e senza alcun beneficio parrocchiale.
Il primo parroco fu fra Arcangelo Vinci che nell’arco di pochi anni restituì lustro all’intero edificio religioso. Infatti eliminò l’inutile ingombro del coro posto davanti al presbiterio e alcune strutture barocche, riportò nei loro posti originari gli altari del Crocifisso e del SS. Sacramento, fece costruire il battistero, spese lire 5.000 per l’illuminazione elettrica riflessa (sic) e soprattutto fece rifare interamente il pavimento, riportandolo ad un unico livello, com’era in origine.
Egli per la sola pavimentazione spese 37.000 lire, di cui 10.000 ottenute da offerte dei fedeli, 10.000 dalla Provincia, 5.000 dal Comune e il resto dal Fondo per il Culto.
Lo stesso fra’ Arcangelo nel 1937 riuscì a riscattare l’intero Convento, ma dovette concludere col Municipio un nuovo contratto per la cessione dei locali adibiti a caserma dei Carabinieri e a carcere.
La restituzione di detti locali ai Frati Minori è avvenuta nel secondo dopoguerra.