Riti religiosi e riti gastronomici
LA PASQUA E L’AGNELLO SACRIFICALE
di Giorgio Liaci
Al mattino, nel villaggio di Betania, alle pendici del monte degli Ulivi, i cattolici greci festeggiano la resurrezione di Lazzaro. Dal pomeriggio sino alla notte inoltrata i francescani cantano e pregano sul Santo Sepolcro. Così alla vigilia della Domenica delle Palme, e così da molto secoli inizia a Gerusalemme la settimana santa dei cristiani. La città sacra, durante questa settimana, è particolarmente affollata di pellegrini. Chi si reca in Terra Santa respira l’atmosfera mistica di cui è pervasa Gerusalemme e, quando la festa cristiana coincide con quella ebraica con la cerimonia della cena rituale, si sentono i profumi e si vedono i colori autentici dei popoli del medio oriente. L’apice è rappresentato, nella celebrazione della Domenica delle Palme, dalla tradizionale processione che ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. I partecipanti marciano al ritmo delle fanfare dal monte degli Ulivi fino alla chiesa di Sant’Anna. Poi nella basilica del Santo Sepolcro si svolge la triplice processione intorno all’edicola della resurrezione. Nelle strade dei quartieri ebraici, intanto, si bruciano glia avanzi di cibo lievitato. La sera del successivo lunedì, poi, tutte le famiglie si raccontano il biblico esodo degli ebrei dall’Egitto. Pubbliche, invece, le benedizioni al Muro del Pianto. La Settimana Santa, oltre alle celebrazioni in chiesa del Giovedì Santo, dell’istituzione dell’Eucarestia, prosegue con le varie processioni del venerdì Santo lungo la Via Crucis. La celebrazione della Resurrezione Pasquale si svolge tra la notte del sabato e la domenica sull’altare del Santo Sepolcro. Il Lunedì dell’Angelo si svolge la mimuna, una festa degli ebrei marocchini, mentre ai giardini Sacher c’è un grande picnic.
Non sono dissimili quindi i riti della nostra settimana santa che si volge all’insegna della tradizione della Macarena in Siviglia (la Madonna Addolorata della nostra tradizione) e le processioni dei Misteri che avvolgono le viuzze delle città vecchie di Taranto e di Gallipoli e di tante altre città meridionali con rituali di profonda fede religiosa. E sin qui ciò che riguarda i riti religiosi.
Accanto a tutto questo si possono fare collegamenti tra sacro e profano, riti anche indissolubilmente legati al tempo e alle tradizioni pasquali.
Pensate che, ad esempio, un maiale può rifugiarsi in un paese musulmano o in una comunità ebraica; un bovino può tentare un passaggio in India; persino un cavallo se arriva in Israele è a posto. Per un agnello, invece, non c’è possibilità di salvezza: tutti lo considerano “puro” e quindi commestibile. L’intera area cristiana, poi, lo vede come simbolo di sacrificio… sacrale e, durante il periodo pasquale, gli si dedica la massima attenzione. Giusto per non essere fortemente dissacratori e, considerato che questo è il suo destino, cerchiamo di mangiarlo cotto al puntino. Mi impegno di essere quanto più preciso nella descrizione. Faccio riferimento alle due scuole dell’arrosto, quella italo-spagnola del “cotto croccante” e quella del “cotto rosato”: entrambe nel giusto, perché s’indirizzano ad animali diversi. L’”agneau” francese ha già mangiato parecchia erba (in caso contrario c’è la specificazione “de lait” e il discorso cambia), se poi è il mitico “pré salè” è addirittura un agnellone: giusto che una carne, diremmo già formata e piena di succhi aromatici cotta in modo da conservarli, sia pure sotto una crosta dorata. Che profumi e che sapori!
L’agnello della tradizione italo-spagnola e, invece, idealmente “di latte” per antonomasia ed importante che una carne bianchissima venga cotta fino ad ebollizione dei succhi interni e che le si dia più sapori “biscottando” l’area superficiale. E’ necessario, però, fare attenzione a non inaridire l’agnello, che si deve gustare in tutta la sua morbidezza.
Non di solo arrosto muore l’agnello per garantire un buon sacrificio pasquale all’italiana.
Io che sono nativo di Gallipoli, la perla dello Ionio, arrangiatore di cucina, non posso non fare riferimento ad un altro tipo di morte gastronomica dell’animale: “lu Spazzatu”, uno sformato al formo, ottenuto con pane raffermo bagnato nel latte con tantissime uova, formaggio, sale e pepe, il tutto mischiato con l’agnello, cotto al sugo di pomodoro e disossato. Nella cucina di tradizione gallipolina, viene accompagnato dal primo piatto, denominato “i millaffanti”, cioè “mille infranti”, costituito da semolino raggrumato con uova e formaggio, pepe e prezzemolo, il tutto cotto in brodo di carne. Non a caso, dulcis in fundo, si chiude con l’agnello di pasta reale… ma questa è un’altra storia.