UNO MONTA ‘A LUNA

Quindici sono le chiamate del gioco, tante quanti sono i giorni che intercorrono tra il novilunio e il plenilunio

di Piero Visper

Quando le piazzette della Galatina antica erano tutte in terra battuta, sul far del crepuscolo potevi vedere frotte di bambini schiamazzanti e festosi rincorrersi, far capannello e mettersi d’accordo sullo scegliere il gioco in cui cimentarsi: a cavaddhru, barone! (a cavallo, barone!), ai quatthru cantuni (ai quattro cantoni), alla campana, alla varra (alla sbarra) oppure a una monta ‘a luna.

Nelle antiche piazzette a corte

Quest’ultimo è un gioco semplicissimo e carino insieme, che fa perno sulla repetitio, sulla emulatio, sulla inventio ed anche sulla resistenza fisica dei giocatori.

Più partecipanti ci sono e più divertenti è questo gioco.

Dapprima si fa a ttoccu (la conta) e chi è segnato deve ‘ngucciare (έγγυιόω, piego le membra), cioè disporsi a guisa di cavallina; il compagno successivo diventa mamma, conduttore del gioco. E, rispettando l’ordine della conta, ogni giocatore deve saltare la cavallina, uno per volta, uno dietro l’altro, ripetendo ciò che la mamma dice.

Le frasi che si devono ripetere sono le seguenti: una monta ‘a luna, due il bue, tre la figlia del re, quattro Mariolina che fa le prove sul lettuccio di papà, cinque piedi in croce, sei raccolgo i “samienti”, sette calcio, otto i tamburi, nove madonnina, dieci poso la sella, undici la riprendo, dodici scivolare, tredici ’mpress’ a mme”, quattordici salto, quindici le “mazzate”.

Come si può notare, le chiamate sono quasi tutte espresse in lingua italiana. Di conseguenza o il gioco è nato in una famiglia nobile del luogo, e il che è improbabile, oppure è stato importato.

L’ipotesi più verosimile è che tragga origine dal Regno di Napoli e che si sia diffuso durante la dominazione borbonica nel Salento; prova ne sia che al numero tredici troviamo l’espressione ‘mpress’a mme, che non è del dialetto galatinese bensì di quello napoletano.

Ed ora torniamo al gioco; quando si arriva a quattro Mariolina che fa le prove sul lettuccio di papà, i ragazzi, saltando, devono cadere per terra sventagliandosi e disporsi carponi tutti quanti.

E se la mamma lo fa, devono imitare i gesti di una bambina, Mariolina appunto, intenta a muovere i primi passi, a rivoltarsi sul letto, a fare le cuthrùmbule (giravolte, capriole da χύτρος, pentola, + βάλλω, spingo, getto a terra, rovescio, ecc). Però si sta bene attenti a non toccarsi, altrimenti si ccappa (si sbaglia); ed allora chi ha errato rileva il compagno che funge da cavallina.

Uno manta la luna

Al cinque piedi in croce, toccando terra, si incrociano i piedi; invece al sei raccolgo “i samienti”, dopo aver saltato, ogni giocatore, se la mamma lo fa, si piega per terra, simula di raccogliere qualcosa e, rivolgendosi a chi ‘nguccia, esce con questa espressione:”ciucciu, vo’ mangi?”.

Una certa difficoltà presentano il sette calcio e il dodici scivolare, perché il giocatore, nel primo caso, mentre salta, deve sferrare un bel calcio sul didietro della cavallina e, nel secondo, scivolare leggermente, nella caduta, sulla di lei schiena.

Le cose si complicano di più quando si giunge al dieci poso la sella e undici la riprendo. Qui è necessario che ognuno disponga di un fazzoletto che, mentre si salta, viene adagiato come una sella sulla groppa della cavallina.

Spesso accade che, nel salto, per lo spostamento d’aria la sella cada per terra. Allora i più furbi, affinché ciò non avvenga, alle estremità del fazzoletto fanno dei nodi in modo da bilanciare bene la sella. Poi bisogna riprendere quest’ultima ed il più delle volte il giocatore sbaglia o perché ne prende due o perché, quasi sempre, fa cadere per terra tutte le selle.

La parte più bella del gioco, però, è quando si giunge al tredici ‘mpress’a mme.

A questo punto è necessario che la mamma sia dotata di una grande inventiva: infatti si salta, si cade per terra su di un piede e sempre saltellando su di un piede si cammina.

Allora inizia lo show del conduttore del gioco e tutti i giocatori devono imitarlo, mimare i suoi gesti, ripetere le frasi che dice e prestare attenzione ai suoi movimenti. Ciò si prolunga sino al limite della resistenza fisica.

Si arriva così all’epilogo del gioco, cioè al quindici le “mazzate!”.

Forse perché i giocatori si sentono stanchi, forse perché vogliono punire, si fa per dire, il compagno che li ha controllati nello svolgimento di questa fase del gioco, quando saltano, danno sulla schiena della cavallina con le palme della mano delle gran botte, che, a volte, fanno veramente male.

Un’ultima cosa bisogna considerare: si è visto che le chiamate del gioco sono quindici; si prenda ora in esame il termine dialettale nostro quintadecima (dies decima quinta dal giorno del novilunio, cioè luna piena); quindi da una monta ‘a luna sino al quindici le mazzate intercorrono quindici passaggi, tanti quanti sono i giorni che vanno dal novilunio al plenilunio.

Di conseguenza il gioco una monta ‘a luna rappresenta la metà del ciclo completo di una lunazione.