Da giovani studenti siamo stati “martellati e infarciti” sino alla nausea delle gesta di Giuseppe Garibaldi, dell’acume politico di Camillo Benso, dell’ideale repubblicano di Giuseppe Mazzini, delle pene fisiche e psichiche patite in prigione da Silvio Pellico, Federico Confalonieri, Ciro Menotti e Pietro Maroncelli, degli atti eroici dei Fratelli Bandiera, di Carlo Pisacane e dei Martiri di Belfiore, ma mai nessuno che ci abbia minimamente riferito qualche notizia sui personaggi storici del Risorgimento
meridionale e, soprattutto, delle decine di migliaia di italiani del Sud che persero la vita in difesa della loro patria.
So bene che la storia viene scritta dai vincitori, mentre i vinti la subiscono, ma in questo caso si sta parlando di un vincitore che non dichiarò mai guerra alla controparte, di italiani del Nord che invasero proditoriamente le terre meridionali, di una guerra tra fratelli che avevano in comune pagine di storia, la religione, la tradizione, le belle arti e la lingua.
A fine guerra i meridionali furono sottoposti ad un regime di vita pieno di stenti, sofferenze, vessazioni e una tassazione iniqua e insopportabile. La tanto invidiata e magnificata economia meridionale conobbe un rapido declino, dal momento che le migliori risorse erano state prosciugate ed esportate al Nord. Molti uomini preferirono espatriare piuttosto che morire di stenti. Quelli che si opposero
(i tanti) furono costretti a scontare le loro pene in prigioni squallide e malsane, sparse nell’Italia settentrionale.
Di tutte, la peggiore fu senza ombra di dubbio quella di Fenestrelle.
Fenestrelle, il primo lager della storia umana.
Dopo la caduta delle fortezze di Messina (13 marzo 1861) e di Civitella del Tronto (29 marzo 1861) molti militari duosiciliani furono arrestati e costretti ad arruolarsi nel neo esercito italiano. Il 90%, però, decise di rifiutare la proposta e di mantenere fede al giuramento prestato a re Francesco
II, pur sapendo di dover scontare in prigione il resto della loro vita1.
Nonostante le varie rimostranze mosse dalla Spagna, Austria, Stati Uniti d’America, Russia ed altre nazioni perchè fossero lasciati liberi i prigionieri di guerra, i Savoia, “rimanendo insensibili al grido di dolore che si sollevava da tante parti del mondo” rispedirono ai vari mittenti le lamentele e confermarono la prigionia (orrenda e disumana) agli ex soldati borbonici, a quelli papalini, ai “briganti”, ai renitenti alla leva e perfino agli ex garibaldini arrestati in Aspromonte.
Ma andiamo avanti per gradi. Una volta arresisi, i militari borbonici e papalini, “appena coperti da cenci di tela, rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane ed acqua e una sozza di broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e d’altri luoghi, posti nei più aspri luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie,
eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimar di fame e di stento fra le ghiacciaie! E ciò perché fedeli al loro giuramento militare e al legittimo Re! Simili infamie gridano vendetta da Dio, e tosto o tardi l’otterranno”2.
Il forte di Fenestrelle è costituito da tre complessi fortificati: il San Carlo, il Tre Denti e il Delle Valli, uniti da un tunnel al cui interno s’inerpica la scala coperta più lunga d’Europa, con ben 4.000 gradini. Possiede una superficie di 1.350.000 mq di compendio e una lunghezza distribuita su 650 metri di dislivello. Questo fa pensare che le varie celle, partendo da una quota di 1.800 metri s.l.m., arrivano
sino ad un’altitudine di quasi 2.500 metri.
All’ingresso della fortezza di Fenestrelle era posta una targa dello stesso tenore di quella di Auschwitz con il suo ormai famoso “Arbeit macht frei” (“Il lavoro rende liberi”), mentre quella di Fenestrelle ricordava “Ognuno vale non in quanto è, ma in quanto produce”. Insomma “se non è zuppa,
è pan bagnato”.
Si precisa che in tutte le carceri del nord Italia entrarono diverse migliaia di prigionieri di guerra meridionali e di giovani renitenti alla leva. I conti non sono stati mai fatti e, molto probabilmente, non si faranno mai, ma di sicuro ci sono passati non meno di 50.000 meridionali (alcuni studiosi parlano di quasi 80.000) sparsi in tutte le prigioni del nord, dei quali forse 10.000 a Fenestrelle.
In questa prigione le condizioni di vita erano al limite della sopravvivenza. Non trascorreva giorno
in cui non decedessero una decina di persone. Le prime salme ebbero molta fortuna perché conobbero la sepoltura; ma quando il terreno a disposizione cominciò a scarseggiare, i cadaveri furono sistemati gli uni sugli altri in fosse comuni. Ma non era certamente finita la barbarie. Fu deciso successivamente di utilizzare una grande vasca (ancora esistente) in cui venivano disciolti acidi altamente corrosivi e calce viva. In questo modo i cadaveri sparivano in poche ore.
Con il trascorrere del tempo la situazione nelle varie prigioni era diventata ingestibile per gli enormi costi di mantenimento e per l’impiego di un alto numero di sorveglianti per garantirne il controllo, cosicché i Savoia chiesero di farsi assegnare dalle autorità argentine un territorio nella bassa Patagonia dove creare una colonia penale per tutti i detenuti italiani. L’Argentina rifiutò seccamente. Stessa risposta ottennero i Savoia dalla Gran Bretagna per creare una colonia nell’isola di Borneo.
Il tentativo di evasione
La situazione diventò ben presto insopportabile per via delle varie malattie scoppiate tra i detenuti, dovute a malnutrizione, dissenteria e pediculosi per la presenza di pidocchi e pulci, che determinavano sul corpo dei detenuti pustole sanguinolente. Il numero maggiore di decessi era
dovuto, però, al congelamento degli arti, nonostante i poveretti stessero raggomitolati gli uni con gli altri.
Il 22 agosto 1862, non potendo più sopportare una situazione del genere, i prigionieri decisero di ribellarsi, a costo di perdere la vita. Grazie ad un passaparola generale, approfittando dell’assenza degli ufficiali che erano in paese per la mensa e di un buon numero di soldati a quell’ora in libera uscita, circa un migliaio di detenuti, divisi in quattro gruppi, cercarono di impadronirsi del ‘comando di piazza’, di impossessarsi delle armi e controllare i punti strategici della fortezza. L’ardito piano aveva buone possibilità di riuscita se non fosse stato scoperto per tempo, forse per delazione
da parte di un detenuto. Ciò nonostante i rivoltosi riuscirono ad assicurarsi alcuni moschetti ma furono annientati ben presto dalla reazione delle guardie carcerarie.
Alcuni detenuti furono passati per le armi. Almeno per loro la morte non fu lenta e dolorosa.
Scrive Giacinto de’ Sivo che “I serrati in Fenestrelle congiurarono per impadronirsi del forte; e stettero a un punto, ché scopertosi poche ore prima la trama, vennero disarmati”.
Anche ‘Civiltà Cattolica’ scrive sarcasticamente: “I torinesi avevano corso un altro pericolo, di venire conquistati dai Napoletani e di vedere la bandiera di Francesco II sventolare sulla torre di palazzo Madama3”.
Dopo il fallito tentativo di rivolta, le misure di sicurezza diventarono durissime.
Trascorso qualche mese, la direzione della fortezza decise di eliminare gli infissi dalle finestre, lasciando solo le ferrate esterne dei vari ambienti, in modo che i detenuti stessero, durante le rigide nottate invernali, a temperature abbondantemente al di sotto dello zero. Molti furono i reclusi
che morirono in quelle celle-frigorifero.
Altre notizie non si hanno, ma chi scrive è ben consapevole che molti altri meridionali perirono a Fenestrelle tra l’indifferenza dello stato italiano e lo sdegno di governanti stranieri che per diversi anni cercarono invano di convincere i vertici politici di mettere fine a quel lento e disumano massacro di vite umane. Solo dopo molti anni i pochi sopravvissuti, ormai resi inoffensivi dalle malattie e dalla
lunga detenzione, conobbero la libertà, ma in cambio dovettero sottoscrivere una dichiarazione che mai più si sarebbero schierati contro i regnanti italiani.
Conclusione
L’aspetto che più d’ogni altra cosa procura un senso di rabbia e lascia uno sconforto infinito nella mente di tanti italiani è quello relativo alla mancata assunzione di responsabilità da parte dei Savoia per gli esecrabili orrori commessi in quegli anni. Stesso imperdonabile comportamento hanno avuto i vari governi italiani che, da allora a tutt’oggi, si sono succeduti senza aver mai fatto chiarezza su quanto di orribile accadde in quegli infausti anni. Lo hanno fatto, invece, i tedeschi che hanno riconosciuto di fronte al mondo intero i loro crimini e nefandezze nei campi di sterminio durante l’ultima guerra mondiale, ma gli italiani no, si sono astenuti dal farlo, hanno preferito nascondere,
con comportamenti omertosi e silenzi imperdonabili, una lunga serie di misfatti ed orrori riconducibili
all’invasione savoiarda nel Meridione d’Italia. Ma la vera storia, anche se è chiusa a doppia mandata negli archivi di Stato e in alcune Prefetture del Nord, scalpita, non si dà pace, sta lì, pronta a puntare il dito contro coloro che si macchiarono di delitti efferati e disumani, che gridano e grideranno per sempre un’incancellabile vendetta. Questa gentaglia, insieme a storici faziosi, come Barbero, Costanzo e Bossuto, e a tutti coloro che, pur conoscendo certe verità, ancor oggi si ostinano a negarle, è stata consegnata da tempo alla giustizia divina, dal momento che quella umana è faziosa e corruttibile. La loro condanna sarà inappellabile ed eterna. ●
NOTE:
1. Si leggano le pagine iniziali del libro “I Lager dei Savoia” di Fulvio Rizzo.
Edizioni ‘Controcorrente’ – anno 2005
2. Civiltà Cattolica, Serie IV, Vol. IX, 1861, p. 367
3. Civiltà Cattolica, Serie IV, Vol. XI, 1861, p. 752