PIAZZA VECCHIA 12
E’ QUI IL PIACERE!
di Rosanna Verter
“Ti rimando dove t’ho preso, Filumena!”
“L’hann’ chius, Dummi’!”
Risponde così Filomena Marturano, ex prostituta, a Domenico Soriano, ricco pasticciere suo marito, quando egli la minaccia di riportarla nei bordelli.
È vero, sono stati chiusi. Chiusi il 20 Settembre del 1958, quando grazie alla legge Merlin viene scritta la parola fine ad una delle più umilianti istituzioni che vivevano grazie alla protezione dello Stato: le case chiuse, o altrimenti dette bordelli, casini, postriboli, case di meretricio, case di tolleranza. Luoghi di violenza e di depravazione che malgrado ciò hanno ispirato la narrativa di Guy de Maupassant “Boule de suif”, la “Dame aux camelia” di Dumas, il cinema “Adua e le compagne”, “Mamma Roma”, “Rocco e i suoi fratelli”, “Le notti di Cabiria”, “La Romana”, “Ieri, oggi, domani”, il melodramma con la Mimì della Bohème di Puccini, e non ultimo “Filumena Marturano”, rappresentazione teatrale di Peppino de Filippo. Solo per citarne alcuni.
La Costituzione è da poco entrata in vigore, l’Italia sta rinascendo dalle ceneri fasciste, Togliatti è vittima di un attentato, le donne hanno conquistato il diritto al voto, il Ministro Scelba vieta il bikini…
È in questo clima di forzato rinnovamento, di modernità, che la senatrice socialista, Lina Merlin, prima donna a sedere in Senato, inizia la sua battaglia contro lo sfruttamento della prostituzione, contro il sesso retribuito predisponendo una prima versione del disegno di legge per abolire le oltre 700 case di tolleranza, cioè tollerate e regolamentate dallo Stato, grazie ad un Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione del 15 febbraio 1860, voluto dal Conte di Cavour. Ma la legge fortemente voluta e combattuta sortì l’effetto di chiudere le case ma non di eliminare la piaga, insopprimibile, della società. Lei, consapevole di tutto ciò, puntava all’abolizione della prostituzione di stato, e ad impedire “solo la sua forma organizzata che rappresenta un esempio di obiettiva, profonda e degradante immoralità”. Dunque la prostituzione era vietata e permessa allo stesso tempo. La Legge 75/58 composta da soli 15 articoli, legata al suo nome, creò una svolta rivoluzionaria per tre motivi: primo perché per la prima volta una legge perseguiva e combatteva la prostituzione di stato, secondo perché aboliva la schedatura nei registri della polizia e per ultimo eliminava il lenocinio (sfruttamento), perché in antitesi con l’articolo 41 del dettato costituzionale che stabilisce che l’iniziativa economica non può svolgersi… in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana delle prostitute liberandole dalla macchia di criminali. Le “case chiuse” erano così chiamate perché per legge si imponeva che le persiane fossero chiuse al mondo esterno, un unico ingresso e tutto doveva consumarsi dietro pesanti tende. Se la vergogna delle case di tolleranza fu cancellata con questa legge, altrettanto non è mai stata fatta un’altra che contrasti la prostituzione per strada delle passeggiatrici. Quello che forse non tutti sappiamo è che fu proprio l’onorevole Beniamino De Maria ad incitare la Merlin a predisporre una proposta di legge per far cessare la vergogna, e secondo De Maria solo lei poteva farlo perché donna inflessibile, ruvida, tenace, solo lei poteva giungere alla soluzione, come di fatto fu.
Ma prima del 1958 come era gestito il mestiere più antico? Il fascismo con le sue leggi aveva spinto le donne, escluse da ogni dove, alla marginalità, in casa o al lavoro nei campi con i genitori. Niente scuola, niente istruzione, la donna doveva essere l’angelo del focolare e sfornare figli, maschi soprattutto, per servire la Patria.
A Galatina durante quegli anni ci fu una “contrapposizione tra contadini ed intellettuali quasi tutti di origine borghese rurale” e l’umile lavoratore della terra era visto come l’ultimo della classe, dire allora contadino era sinonimo di analfabetismo, di miseria, di povertà. È in questo contesto di off limits, di elevato grado di miseria alcune donne di Galatina pensarono alla mercificazione del proprio corpo. Come? Aprire case di meretricio. All’allora commissario Prefettizio, giungono le richieste di Maria Domenica Dell’Abate, (in Via Garibaldi prima e in Corte del Fuoco poi), di Maria Luce Rigliaco, (in Corte Lillo al civico 18), di Anna Guglielmi (in Via Dolce, 1). Immediata fu la reazione dei perbenisti e dei bigotti sconvolti dal via vai di uomini in cerca di appagamento, tanto che scrivono al Questore il quale a sua volta scrive al Commissario Prefettizio. Il Questore è molto preoccupato dei frequenti reclami per l’esercizio delle case e lo invita “nell’interesse della moralità, della salute e della pubblica sicurezza ad adottare congruo provvedimento atto ad eliminare gli inconvenienti lamentati in base al Regolamento RD 21.10.1891, n. 604” e lo sollecita ad “elevare contravvenzioni per meretricio clandestino” ed eventualmente ordinare la chiusura dei locali. Queste case divennero, in mancanza di un severo controllo sanitario, veicolo di infezioni veneree in particolar modo nella casa di Corte Lillo, dove era segnalata anche la presenza abituale dei pregiudicati più pericolosi della città.
La paura del podestà fu confermata dai CC.RR. i quali lo informarono che questi malviventi bivaccavano con altri oziosi del luogo trascorrendo ore intere dedicandosi a completa orgia. Ciò che è ancora più grave è che la Rigliaco consentiva l’accesso al postribolo a minori e molti di loro furono colpiti dalle infezioni luetiche. Tutto ciò, secondo le informazioni riservate dei carabinieri, era dovuto alle prostitute clandestine, donne di cattivissima moralità che sfuggivano ai controlli sanitari, ospitate dalla Rigliaco. Nella casa viveva il figlio minorenne, il quale oltre ad assistere ad atti insulsi, a epiteti e frasi sconvenienti che continuamente vengono pronunciate dai presenti che frequentano il postribolo, si rende immorale e ben presto si incammina nella triste via dell’avvenire per divenire un degno figlio della società. La tenutaria era nota in città come celebre ricettatrice e amante di un temibile pregiudicato, tanto che il Podestà ordinò l’immediata chiusura della casa di Corte Lillo.
Ma la casa più famosa e più apprezzata in Galatina e dintorni fu quella di Cesaria Giaccari, da tutti conosciuta come Rosetta. La “bella Rosetta”, dopo essersi sposata a soli diciannove anni con il suo Edoardo, rimane vedova quattro anni dopo e con un figlio a cui badare. Come sbarcare il lunario? Presto detto. Nell’agosto del 1925 presenta istanza al Podestà per ottenere l’apertura della sua compiacente dimora in Vico Vecchio 1, nella stessa tende a precisare che lo stabile non è in comunicazione con altri fabbricati ed è composto di quattro vani ed uno stanzino e può contenere due donne; versò 125 £ alla Prefettura per pagare anticipatamente il medico visitatore e finalmente fu autorizzata ad aprire nel luglio del 1928, dopo aver richiesto anche il parere all’Arma. Le condizioni furono che: “non esercitino più di due donne, che siano sottoposte a due visite mediche settimanali, che la proprietaria versi mensilmente e non oltre il primo giorno del mese successivo la somma di £ 151, che la chiusura sia non oltre le 00.00 da Novembre ad Aprile e non oltre l’una da Maggio ad Ottobre, che siano denunciate all’autorità di PS le nuove donne e la tenutaria sarà sottoposta ad ispezione per profilassi e malattie veneree”.
Alla domanda dovette allegare un certificato penale, il consenso scritto della proprietaria del locale con bollo da £ 200 e l’atto di sottomissione da farsi davanti al Commissario Prefettizio ed un versamento di £ 5000. La casa di Rosetta era sotto la sorveglianza sanitaria del dr. Luigi Mayro ed era obbligata a tenere affisso nella stanza, oltre al tariffario, una locandina recante le disposizioni per evitare le malattie veneree e sifilitiche alle quali le “signorine” di Rosetta dovevano attenersi: un irrigatore, sempre pronto, con della soluzione di permanganato di potassio al 2,5 per cento, una bottiglia con della soluzione di protargolo al 20%, una bottiglia di lisoformio, un vasetto con della pomata al calomelano al 30%.
La donnina era obbligata ad eseguire prima dell’amplesso una abbondante irrigazione vaginale e all’uomo si raccomandava di urinare immediatamente dopo, di lavare le parti genitali con una soluzione di lisoformio, applicarvi sopra della pomata al calomelano e di instillare nel meato urinario una o due gocce di protargolo. Per la continua affissione di queste norme era incaricata per la sorveglianza l’autorità di PS.
Queste indicazioni sanitarie erano firmate dal dr. Paolo Vernaleone.
L’anno successivo Rosetta chiede che l’orario della casa sia protratto sino alle ore 2 per i mesi d’estate per maggiore comodità dei clienti e per la decenza pubblica, ma anche perchè in tali mesi nelle vicinanze vi sono molte famiglie che si trattengono sulla via fino a tarda ora e la concessione servirebbe ad evitare tale inconveniente. Detta proroga si rende necessaria tenuto presente che Galatina non è come la città dove si recano nelle case di tolleranza anche di giorno perché non sono conosciuti. Qui invece aspettano le ore tarde perché non hanno saggezza. D’altra parte è una necessità poiché la protrazione dell’orario elimina in qualche modo che gli abitanti vicini possano vedere quella gente che si reca nel locale. Il Podestà visto che nulla si oppone ai motivi di PS e tenuto presente che questo comune è un centro agricolo e quindi è conveniente che detta casa rimanga per un’ora aperta oltre l’orario stabilito, l’autorizza sino al marzo del 1930.
Gli “affari” andavano bene e la Rosetta, con istanza del marzo 1931, chiede al Podestà di essere autorizzata ad apportare delle modifiche nella casa di Vico Vecchio e cioè: divisione a metà della parete semplice della sala d’aspetto con regolare porta di accesso, apertura di altra piccola sala. Entrambe avevano comunicazione diretta con le stanze destinate all’esercizio. Qualche mese dopo, considerato che la casa è sfornita di energia elettrica e tale inconveniente non rende possibile la visita scrupolosa del medico visitatore, le viene intimato di provvedervi entro due giorni, pena la chiusura.
Nel marzo del 1935 il Podestà invia alla Stazione dei RR.CC. la richiesta della tenutaria della casa di meretricio tendente ad ottenere l’autorizzazione per applicare oltre l’attuale tariffa di £ 10,00 a mezzo di appartamento riservato, nonché per l’ingresso di £ 1,00.
Le ragazze di piacere, provenienti da tutta Italia, venivano fatte ruotare di quindici in quindici giorni, giungevano in stazione con la “littorina” e ad accompagnarle nella casa c’era un vecchietto con il gobbo, mandato dalla Rosetta, Ucciu Penna.
Ma a tutto questo squallore il Parroco e le sue bigotte non ci stavano, tanto che con l’aiuto degli amministratori e del deputato DC, riuscirono a far chiudere la dimora del sesso proibito prima ancora che ci pensasse la vecchia socialista, perché finalmente qualcuno scoprì che le firme sulle varie richieste erano tutte diverse considerato che Rosetta non sapeva né leggere né scrivere. Ma sapeva come regalare amore, regalare momenti di sfrenata passione, far trascorrere momenti indimenticabili con “merce” di prima qualità ai suoi abituali clienti. Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti e di quella casa di Vico Vecchio 1, quella casa con le porte bifore in cui si vendeva amore a 6 £, resta una impalcatura per dei lavori di consolidamento e di ristrutturazione grazie al coraggio di un giovane imprenditore. Si sa che la curiosità è donna, per questo ho chiesto al nuovo proprietario di poter visitare questa famosa casa, questo teatro del mestiere più antico dove si monetizzava il piacere più recondito e di cui tutti ancora oggi parlano e di cui tutti ricordano.
Desiderio esaudito.
Nascosta dall’impalcatura, la porta bifora si apre su un lungo e stretto corridoio, al termine di una scala in marmo molto stretta, larga appena 50/60 centimetri, che conduce al primo piano. Su un minuscolo pianerottolo si apre una stanza, credo che fosse la sala d’attesa, affaccia su Piazza Vecchia, a destra e a sinistra due piccole stanze inaccessibili. Immediatamente a destra del pianerottolo, dopo aver salito tre gradini, una piccola stanza con un gabinetto, che presumo sia stata la stanza riservata ai clienti più facoltosi. Su ogni porta, una lettera dell’alfabeto. La bella Rosetta, avanti negli anni, si trasferì al civico 12 di Piazza Vecchia, al pianterreno, prima di andare a vivere con il figlio a Lecce.
Ora Piazza Vecchia vive nel completo abbandono chiusa da perenni impalcature, proprio questa piazza che è stata il centro nevralgico della vita cittadina, dove prima vi erano gli uffici comunali con il Sedile e passavano le processioni…