Normandismi, provenzalismi, francesismi, arabismi, spagnolismi e germanismi, tuttora presenti nel nostro dialetto.
di Piero Vinsper
Spesso mi è stato chiesto dai miei “sedici lettori” se nel nostro dialetto, oltre all’influsso del latino e del greco, ci fossero dei collegamenti con altre lingue. Ebbene, dal momento che è mio costume rispettare sempre le minoranze, avvalendomi di un articolo a firma di Emilio Panarese, pubblicato sul volume XVI de “Note di storia e cultura salentina”, volume ed altri che mi sono stati donati dal compianto prof. Mario Micolano, valente grecista e latinista, cercherò di esaudire, per quanto mi è possibile, la loro richiesta.
Tutti sanno che il Salento ha avuto a che fare con i Normanni, con gli Angioini e con i Francesi veri e propri, nel Napoletano, alla fine del Settecento e nell’Ottocento.
Ecco alcuni normandismi, provenzalismi e francesismi che sono rimasti nel nostro dialetto:
arrià, arrié: en errière, va’ indietro, detto di animale da tiro. Però l’espressione en errierè congiunta con en avant era una chiamata del ballo della quadriglia: “tutte le dame in avan e in arriè”, tutte le “dame in avanti e indietro”.
turdimé: tour de mains: altra fase della quadriglia. Abili nel “chiamare” la quadriglia erano Pietro Viola, Pippi Palumbo, Donatuccio Vergaro e mesciu Cici Mangia.
buatta: boîte, scatoletta di rame contenente spesso salsa di pomodoro.
buffè: buffet, credenza.
chepì: chepì, berretto militare di tela rigida o di cuoio.
cumbò: commode, comò, cassettone in cui si ripone la biancheria.
ddumare: allumer, accendere. Pethrina dduma ‘u pethroju, si dice nel nostro gergo.
dammiggiana: dame Janne, damigiana. Sicuramente Janne doveva essere una signora bassa e dal fondo schiena tanto abbondante, da essere paragonata a questo recipiente di vetro.
meddhra: melle, nespola nostrana, che a differenza di quelle giapponesi ha un colore verdastro, che a maturazione cambia in marrone scuro. E’ d’obbligo citare tre proverbi che riguardano questo frutto: “Quandu viditi nespule chiangiti, ca viddhru è l’urtimu fruttu de l’estate”; “Cu llu tiempu e cu lla paja se mmatùranu le nespule”; “Tthre cose ti nnudacanu lu core: le meddhre, li cutugni e le palore”.
croffulare: ronfler, russare.
ngallunire: ant. norm. Galne, diventare giallastro. Le nostre massaie, quando son cotte le rape, sono solite dire: “Toglielete subito dall’acqua, altrimenti ngalluniscenu.
perpitagnu: parpaing, concio di pietra squadrato da ogni lato; però è più esatto farlo derivare dal lat. Perpetaneus da perpetuus, non interrotto.
mburzunettu: possonet, paiolo.
rebbusciatu: débauché, depravato, dissoluto.
rranciare: arranger, rimediare alla meglio;
sciamissi: chemisse, camicia;
sciarabbà: char à banc, calesse con due ruote a due o più sedili;
sciarretta: charrette, calessino;
sciardinu: jardin, giardino;
scicchi: chic, blusa o scialle elegante: “Mi pari tuttu scicchi”, Mi sembri molto elegante;
sciumenta: jument, giumenta;
sinfasò: sinfasò, alla fasinfasò: sans faḉon, alla meglio, alla carlona. “Nu’ fare le cose alla fasinfasò” – Non fare le cose superficialmente;
sparathrappu: sparadrap, cerotto;
staccia: estache, pietra piatta;
tuppu: top, crocchia di capelli;
zzìnzuli: cinces, stracci. Zzinzulusa, grotta nei pressi di Castro, ricca di stalattiti simili a brandelli di veste lacera, non la faccio derivare da cinces, bensì dal greco τσάντσαλον, cencio, straccio.
Al tempo dell’occupazione araba della Sicilia, della Calabria e della Puglia, vale a dire dal IX al XII secolo, alcuni arabismi si diffusero nei nostri dialetti e pochi sono stati conservati al giorno d’oggi:
arcova: al qubba, piccola stanza con il letto, oppure veranda o balcone coperti con arco a tutto sesto, dove si conservavano peperoni secchi e le classiche pendalore e cramasole di pomodori d’inverno;
canzirru: qatyr, mulo ed in senso figurato cocciuto, birbante, malandrino;
cupeta: qubbaita, copeta, dolce di zucchero e mandorle intere sgusciate. Ottima quella della ditta Stella di Martano;
cuttone: qutum, cotone;
lambiccu: al ambiq, alambicco;
màzzaru: ma ‘sara, tufo duro misto a selce; fig. uomo rozzo, maleducato;
mussulina: mussolina, tessuto morbido, sottile, trasparente, di seta o di cotone, dal nome della città irachena di Mosul;
schipece: l’etimologia forse ci conduce ad Apicio, autore del De re culinaria. Alcuni studiosi tedeschi affermano che il nome derivi dall’arabo sikebac o sikbag attraverso lo spagnolo escabeche. Nel latino medioevale di Federico II troviamo la forma askipeciam. Comunque si tratta di una salsa di pesciolini fritti (d’obbligo pupiddhri, vopilli) che si lasciano marinare con pane grattugiato, zafferano e aceto. Famosa la schipece gallipolina!
Seuca: silqa, bietola;
tàfaru: taffarug, ceffone, pugno, cazzotto;
tavutu: tabut, cassa mortuaria povera con quattro assi di pino;
varda: barda, basto;
zzinzale: simsar, sensale, mediatore di matrimoni