Chiesa dell’Immacolata
a Galatina
Memorie intorno al Cappellone e altare
di Luigi Galante
Il 28 maggio del 1889 Pietro Cavoti, nel suo ruolo di Ispettore di Scavi e Monumenti di Terra d’Otranto comunica con lettera al Ministro dell’Istruzione Pubblica che il Consiglio Municipale di Galatina adunatosi in numero legale ha deliberato di scomporre per portare in altro luogo dentro la chiesa parrocchiale un antico altare in marmi fini e di fine lavoro con una graziosa e ben fatta Immacolata di marmo finissimo poco meno della grandezza naturale. Questo altare e il suo magnifico cappellone con altri altari e statue di pietra leccese e non spregevoli dipinti lo edificò per suo deposito un Arcivescovo di questa diocesi (Gabriele Adarso de Santander) distinto per altri edifici sacri ed altri doni di sua munificenza verso Galatina. Cosicché questo Cappellone ed altare colla sepoltura è monumento che interessa gl’illustratori delle memorie di questa Provincia, e gli studi con cui questa valente Commissione Conservatrice cerca indefessamente di corrispondere al nobile e importantissimo scopo della Pubblica Istruzione. Per tanto ho creduto mio dovere avvisare per urgenza questo Prefetto e la Commissione, e riferire all’Eccellenza Vostra pregando che si compiaccia communicarmi al più presto i Suoi saggi provvedimenti, mentre io preparo le notizie necessarie.[1]
Ma il 9 giugno 1889, il Consiglio Municipale di Galatina, senza informare l’ispettore Pietro Cavoti, “delibera per scomporre e trasportare in altro luogo un antico altare di marmi fissi e di pregiato lavoro contenente il simulacro marmoreo dell’Immacolata.”
Il Cavoti contrariato della decisione presa dal Consiglio Municipale, scrive al Sindaco di Galatina chiedendo chiarimenti perchè “non avendo l’Ispettore dato opportuni ragguagli sull’epoca del lavoro sulla sua importanza artistica e storica e non avendo espresso il suo parere sul divisato trasporto, prego la SV a volermi favorire opportune notizie in proposito”.
Comincia così una fitta corrispondenza sui provvedimenti da intraprendere tra il Ministero, la Real Prefettura di Terra d’Otranto, la Commissione Conservatrice presieduta dal Duca Sigismondo Castromediano e Pietro Cavoti. Nel frattempo il Prefetto Ottavio Serena richiede al Cavoti se il Ministero abbia emesso alcun provvedimento in merito allo esposto fatto da V.S. per la scomposizione dell’altare.
Il Cavoti risponde il 17 giugno del 1889 aggiornando anche il Duca Sigismondo Castromediano: quando riferii al Ministero riguardo all’altare del Deposito di Monsignor Adarso soggiunsi che mi occupava di ricercare schiarimenti intorno all’importanza di questo monumento riguardo la nostra Storia Patria. Ella sa quanto siano penose codeste ricerche, nondimeno sono a buon punto e quando le communicherò a S.E. avrò l’onore di compiere il mio dovere verso la S.V. e verso la Spettabile Commissione Conservatrice da Lei si Degnamente presieduta. Pietro Cavoti, per capire bene la situazione municipale, attende prima di fornire informazioni al Prefetto che con lettere sollecitava una imminente relazione dei fatti. Una volta stilata la relazione richiestagli sull’altare della Cappella dell’Arcivescovo Gabriele Adarso, Cavoti scrive una breve premessa[2] che precede appunto la sua relazione. Riporto fedelmente il testo senza alterare i contenuti originali: “Sono dolentissimo di non aver potuto rispondere quando aveva promesso, e chieggo scusa perché oltre gl’intoppi incontrati nel cercare documenti mi ha impedito anche una molestissima indisposizione di occhi e di nervi. Ora in seguito alla sua ultima risposta ecco quello che posso dirle riguardi all’altare di marmo del Cappellone del sacramento nella chiesa comunale di Galatina il quale si vorrebbe traslogare dentro la stessa chiesa. Lusingandomi di poter dare una completa relazione al Ministero ed alla Commissione Conservatrice, mi adoperava a trovare prove e documenti; ma poiché la S.V. gentilmente mi chiede dettagliati ragguagli sulla epoca sulla importanza storica ed artistica dell’altare, e vuol sapere il mio parere riguardo al progetto di traslogarlo, rispondo a queste dimande riassumendo le notizie più importanti come mi permettono i limiti di una breve nota richiesta con urgenza. Fra Gabriele Adarso de Santander d’origine spagnola religioso della Mercede Arcivescovo d’Otranto scelse Galatina per sua residenza e diè prova del suo grande affetto verso questa città colle opere della sua liberalità e sono le seguenti. Egli edificò a pochi passi dalla parte occidentale di questa città una chiesa con cinque altari e la intitolò alla Vergine della Luce per celebrare con questo titolo un miracolo da lui ottenuto quando smarrito di notte per tornare a Galatina, invocò la Vergine che colla scorta di un lume lo ricondusse sulla via[3]. Egli donò al Capitolo 500 ducati per messe coll’obbligo d’investirsi questa somma a vantaggio delle Scuole pel Popolo, se mai (com’è avvenuto) s’installassero i Padri delle scuole Pie. Ma fu veramente largo e splendido donatore quando i nostri antichi riedificarono la chiesa Comunale. Fu egli allora che fece a sue spese tutte le opere di scultura che adornano la facciata. Egli edificò di pianta una grandiosa sacrestia aggiungendola all’antica ch’era piccola pel Clero di quel tempo. Fece armadi pei Sacerdoti, casse pei cherici, bellissimi stalli pel coro, ornò la chiesa di paramenti d’abiti sacri (de quali alcuni si vedono tutt’ora ornati del suo stemma). Fece dono di sante reliquie, d’argenterie e simili. Finalmente aprendo in fondo alla facciata sinistra della chiesa una grande arcata, edificò come braccio di croce latina un sontuoso Cappellone con ivi entro cinque altari de quali il maggiore è quello che si vorrebbe traslogare. Questo altare fu da lui destinato alla custodia del Sacramento, vi pose a suoi fianchi due custodie per gli olii Santi, con atto pubblico scelse questo luogo per la sua sepoltura. Di fatto fu quivi sepolto con solenni esequie celebrate dal Vescovo di Nardò Tommaso Caracciolo il giorno 5 di aprile dell’anno 1674 che fu il di seguente alla sua morte. Queste notizie con altre particolari ragguagli si leggono in un diario dei morti scritto dal parroco stesso che diede all’Arcivescovo l’estrema Unzione e prese parte all’esequie.
“A 4 aprile del 1674 Monsignor Ill.mo Don Fra Gabriele Adarso de Santander Arcivescovo di Otranto commerante in questa nostra terra passò da questa presente vita a 4 aprile 1674, e fu sepellito in questa nostra Chiesa Maggiore di S. Pietro Apostolo dentro alla Cappella eretta da detto Monsignore per avere eletto detta sepoltura con atto publico, e a 5 aprile fu solennemente sepellito con avere assistito alle sue esequie Monsignor Ill.mo Vescovo di Nardò nominato Tomaso Brancaccio. Fu confessato dal Rev.do Padre Francesco di Gioia, quardiano dei Rev.di Padri Riformati, cibato del SS.mo Viatico dal Rev.mo Vicario Generale di Nardò, nominato P. Pietro Antonio d’Alesandro di Galatone e anche per mano di me D. Donato Maria Coluccia Primicerio e sostituto fu corroborato dal Sacro olio”.
In conferma di questo documento si vedeva a piè de’ gradini del sopradetto altare la lapide della sepoltura dell’Arcivescovo collo stemma della sua famiglia scolpito in mezzo rilievo, ma questa lapide ora più non si vede; resta invece a parlare del benemerito prelato un grazioso cenotafio adorno del suo busto coll’epigrafe, collocato a fianco della porta maggiore della parte interna della chiesa. Questa epigrafe in buon latino ci fa sapere che questo monumento funebre fu da lui vivente designato [a che] dopo morte [egli] continuasse a vivere nella mente dei suoi; ci dice che sebbene egli non avesse edificato la chiesa dalle fondamenta pure era stato il primo a darle ornamento. Finalmente dice che la patria aveva decorato quel monumento ed aveva scritto l’epitaffio per dimostrare il suo grato animo verso il suo tanto benemerito prelato. Dovendo essere breve tralascio altri schiarimenti intorno a questo epitaffio che hanno relazione colla storia della chiesa e vengo a ciò che riguarda direttamente.
IL CAPPELLONE: Nell’anno 1867 si dette opera al necessario e bramato restauro di detta chiesa Comunale. Allora il suddetto Cappellone del Sacramento, o (come lo chiamano le memorie antiche) La Cappella di Monsignor Adarso, fu chiusa, anzi fu scissa affatto dal corpo della chiesa e tenuta come un luogo da adoperarsi a nuovo uso. Quindi si cominciò a spogliarla di tutto quanto piacque per adornare la chiesa restaurata. Si tolsero i due grandi quadri di S. Anna e di S. Pietro che riceve la podestà del Cristo e si collocarono a forza nei muri di fianco del coro. Questo per vero dire era il meglio da farsi per salvare quei due buoni quadri dalla rovina quando nei loro altari mutilati dalla suddetta chiusura non potevano più stare. Ma non era necessario togliere dalle loro nicchie il S. Vito e il S. Bastiano, statue maggiori dal vero in pietra leccese non dispreggevoli, anzi degne di annoverarsi tra le buone della scultura della nostra provincia secondo quei tempi. Queste due statue ora stanno a disagio entro due nicche strette, una fra due pilastri di destra, l’altra tra le due del sinistro piedritto della grande arcata della cappella di S. Pietro, mentre rimane sfreggiata la decorazione di stucco del muro di fianco del Cappellone sulla quale si addossa il minacciato altare.
ALTARE: L’Altare è di questa bizarra architettura che invase tutto l’orbe durante il regno del Barocchismo; ma non di quella folleggiante e strana della sua prepotenza sibbene della più corretta e gentile con sagome semplici e bene adattate. Il suo marmo è bianco statuario finissimo. È fregiato di riquadrature di marmi di vario colore egualmente di pregio, connessi con somma precisione. In cima al ciborio. Spiccano a tutto rilievo le testine di tre piccoli serafini tipi graziosi modellati abilmente. Da ambo i lati del ciborio si estendono i tre gradi rituali, de’ quali l’ultimo più alto è terminato ne’ due estremi da due altri serafini alquanto maggiori del vero, mossi con sentimento e modellati con buon gusto secondo quei tempi. Dietro questo grado sorge un piano aggettante pochi centimetri coronato da una leggera cimasa. In questo piano si apre la nicchia incorniciata da forte e grandiosa modinatura di marmo bianco sul fondo di marmo giallo e nel suo concavo di marmo nero spicca la statua dell’Immacolata di grandezza naturale colla solita posa di modestia e le mani in atto di preghera. Il suo viso è piacente e verginale senza quel non so che di freddo [che] talora si trova nei barocchi. Le pieghe sono condotte di maniera e quindi quell’andamento accademico e convenzionale; ma si vede che non sono d’un esecutore dozinale e grossolano. Insomma questo altare è un’opera semplice, elegante e ricca del sec. XVII.
MIO PARERE: Da quello che ho detto vedesi chiaramente che io non posso che disapprovare il barbarico progetto di scomporre questo bell’altare che par fatto di un blocco solo, che si direbbe un’opera di getto che si armoniza tanto bene col suo Cappellone per ricomporlo Dio sa come in una cappella che richiede tutt’altro altare. Io non solo disapprovo codesto progetto, ma invece progetterei di ricollocare le due già dette statue al posto per cui furono fatte con tanta armonia. Io vorrei che si scoprisse la lapide della sepoltura e si rimediasse alla violazione della cappella sepolcrale di Adarso de Santander ch’egli si fece edificare e che il reverendo Capitolo e i colti e garbati cittadini dovrebbero rispettare un’opera affidata a loro per testamento ch’è nobilissima decorazione di questa città e di questa chiesa. Io non so se m’inganno ma non posso tacere che il progetto del traslogamento di questo altare nella nuova cappella è incompatibile coll’estetica e colla corretta architettura. Esso come altre opere della stessa chiesa servirebbe a mostrare ai nostri nepoti qual era il sentimento estetico di Galatina quando in tutta Italia e in tutte le nazioni civili veniva ogni giorno sempreppiù sviluppandosi il buon gusto e l’educazione nelle arti del disegno. Ma, ciò ch’è peggio mostrerà pure con quanta leggerezza guardiamo le opere dei nostri antenati quando lo stesso governo con tanta sapienza civile si affatica fra gli scavi i monumenti i musei le raccolte, cercando perché ogni reliquia dell’età passate può rivelarci sempreppiù a noi stessi accrescendo il lume della nostra storia. Da coloro che sono privi affatto di studi severi, guardano con leggerezza ed anche ridono delle venerande reliquie dell’antichità. Essi non possono comprendere ch’esse vanno custodite come memorie di famiglia fra le quali v’ha di quelle che onorano la città che le possiede. Mi rincresce dover dire che questa piccola e recente Galatina in quella età che noi chiamiamo vecchia ed era la sua giovinezza, non mancò di cittadini che ci lasciarono di queste onorate memorie, ed ora quasi tutti si sono distrutte parte dal tempo e parte dai vandali che non mancano mai in nessun paese. Non resta che una ammirata da detti da italiani e stranieri ma pur troppo danneggiata dalla incuria e dalla ignoranza. Da questa noi meniamo gran vanto e siamo superbi di possederla, ma se sono vane le parole, imperciocchè non sono cessate del tutto le ingiurie della barbarie, che se il Governo non l’avesse accolta sotto la sua tutela, a quest’ora o sarebbe sfregiata del tutto da non potersi restaurare, o sarebbe caduta in rovina.
CONCLUSIONE: Mi si perdoni questa disgregazione. Io ne ho avuto bisogno per dimostrare chiaramente che il mio parere in questa quistione non procede né da deferenza, né da prevenzione, ma è conseguenza logica delle mie convinzioni, le quali nate fino da miei primi studi si sono poi rinforzati negli anni migliori della mia vita in quella gentil Firenze, inesausto tesoro di scritti e di monumenti d’arte e di storia. Finisco col rammentare che le disposizioni del mio ufficio mi vietano espressamente di far togliere al loro sito attuale i quadri, le statue, i bassorilievi e tutti gli oggetti e monumenti storici e di arte ch’esistono tanto nelle chiese ed edifici, tanto nelle cappelle di patrocinio privato.[4] La breve relazione descritta da Cavoti con dettagli da vero intenditore e con caratteri di estrema chiarezza, risulterà assai convincente agli organi di Governo, al Prefetto e alla stesso Commissione Conservatrice.
Il 25 novembre del 1889, a Pietro Cavoti giunge con rapidità la ferma risposta da parte del Prefetto. “Rispondo alla di Lei nota a margine. Le comunico qui appresso la risposta data dal Ministero a seguito della sua relazione sull’altare e statua di marmo, con avvertenza che furono da me impartite analoghe disposizione a cotesto Sindaco. Vista la relazione del R. Ispettore dei Monumenti di Galatina, prego la V.S. a impartire disposizioni perché l’antico altare della chiesa Comunale di quel luogo non sia smontato e trasportato altrove secondo e diversamente dal Municipio locale. La S.V. Ill.ma potrà persuaderlo a rispettare, come bene si esprime il R. Ispettore una delle memorie che rendono onorata la storia di quel piccolo paese.”
[1] Lettera di Pietro Cavoti indirizzata al Ministro dell’Istruzione, al Prefetto di Lecce Ottavio Serena (deputato, e Prefetto di Lecce dal 16 novembre 1888 al 10 settembre 1890) e alla Commissione Conservatrice di Terra d’Otranto. Inv. 197 Museo Civico Galatina
[2]La relazione altro non è che una bozza piena di correzioni e note da inviare, una volta corretta al Prefetto, al Ministero e alla Commissione Conservatrice dei Monumenti in Terra d’Otranto. La relazione si divide in più sezioni: il Cappellone, l’Altare, Mio parere e Conclusione.
[3] Per maggiori informazioni, Luigi Manni, La chiesa della Madonna della Luce in Galatina
[4] Cavoti annota alla fine della relazione una serie di decreti Ministeriali “Disposizioni Ministeriali del 6 aprile 1883. Real Decreto del 13 maggio 1822 Art. 1- Real Decreto del 14 maggio 1822 Art. 2