CARLO MAURO NEL 100° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DEL PARTITO COMUNISTA NEL SALENTO (1921-2021).
di Maurizio Nocera
Il Partito Socialista Italiano, già Partito Socialista Rivoluzionario Italiano (1884), fu fondato, come Partito dei Lavoratori Italiani nel 1892 a Genova mentre, nel 1895, al Congresso di Parma, assunse la denominazione nota ancora oggi come Partito socialista italiano. Nel congresso fondativo (1892), parteciparono da Gallipoli l’avv. Ernesto Barba; da Galatina il medico Paolo Vernaleone.
Il suo XVII° Congresso il Psi lo tenne a Livorno dal 15 al 21 gennaio 1921 presso il Teatro Goldoni. Parteciparono 2500 delegati, provenienti da ogni parte d’Italia.
Nel congresso si formarono tre correnti di orientamento politico differente: la maggioritaria, cosiddetta massimalista-unitaria favorevole, pur con qualche riserva, ad aderire all’Internazionale Comunista. Era guidata da Giacinto MENOTTI SERRATI (Spotorno, 1872 – Asso, 1926); la corrente comunista, favorevole senza alcuna condizione all’Internazionale Comunista e in difesa della Rivoluzione d’Ottobre, guidata da Amadeo BORDIGA (Ercolano, 1889 – Formia, 1970, in quel momento direttore de «Il Soviet» di Napoli), e da Antonio GRAMSCI (nome completo: Antonio Sebastiano Francesco Gramsci (Ales, 1891 – Roma, 1937), in quel momento direttore de «L’Ordine Nuovo» di Torino. La corrente riformista, contraria all’Internazionale Comunista, era guidata da Filippo TURATI (Canzo, 1857 – Parigi, 1932).
In disaccordo sulla politica nazionale e sulla posizione dell’Internazionale Comunista, prospettate dalla corrente maggioritaria, la frazione napoletana di Bordiga e quella torinese di Gramsci, abbandonarono il Teatro Goldoni trasferendosi al Teatro San Marco al canto dell’Internazionale, seguiti da un nutrito gruppo di giovani, tra i quali c’era anche Carlo MAURO (Galatina, 1871-1946), delegato salentino del Partito socialista.
È ormai storia nazionale conclamata, al Teatro San Marco di Livorno, il 21 gennaio 1921, fu fondato il Partito comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale comunista (nota anche come Comintern o Terza Internazionale), fondata nel 1919 a Mosca da Vladimir Ilyich Ulyanov, detto Lenin (Uljanovsk/Russia, 1870 – Gorki Leninskie/Russia, 1924) e sopravvissuta fino al 15 maggio 1943, anno del suo scioglimento.
Il primo Comitato centrale del costituito Pcd’I si formò con comunisti provenienti prevalentemente da Napoli e da Torino. È chiaro che non tutti i componenti del Cc erano nativi di Napoli o della Campania oppure nativi di Torino o del Piemonte. Si trattava solo di giovani rivoluzionari che, o per motivi di studio o per motivi di lavoro o per altro ancora, gravitavano in quei territori. Comunque i membri del Comitato centrale del Pcd’I erano in ordine alfabetico: Ambrogio BELLONI (Alessandria, 1864 – Villanova Monferrato, 1950, al momento deputato); Nicola BOMBACCI (Civitella di Romagna, 1879 – Dongo, 1945), al momento deputato; sarà fucilato il 28 aprile 1945 a Dongo come gerarca fascista); Amadeo BORDIGA; Bruno FORTICHIARI (Luzzara, 1892 – Milano, 1981); Egidio GENNARI (Albano Laziale, 1876 – Gorkij/Russia, 1942); Antonio GRAMSCI; Ruggero GRIECO (Foggia, 1893 – Massa Lombarda, 1955); Anselmo Marabini (Imola, 1865-1948, al momento deputato); Francesco MISIANO (Ardore, 1884 – Mosca, 1936), al momento deputato); Luigi REPOSSI, detto Gin (Milano, 1882-1957), al momento deputato); Umberto TERRACINI (Genova, 1895 – Roma, 1983); Ludovico TARSIA (Napoli, 1876-1970); Luigi POLANO (Sassari, 1897-1984, in rappresentanza della Federazione Giovanile); Giovanni PARODI (Acqui Terme, 1889 – Torino, 1962); Cesare SESSA (Raffadali, 1885 – Roma, 1954).
Lo stesso giorno della fondazione del Pcd’I, il Comitato centrale elesse il Comitato esecutivo nelle persone di BORDIGA, FORTICHIARI, TERRACINI, GRIEGO e REPOSSI; il congresso delegò come delegato permanente all’Internazionale comunista Egidio GENNARI; il Direttivo del Gruppo parlamentare comunista alla Camera dei deputati era composto da BOMBACCI, MARABINI, SALVATORE, MISIANO e ROBERTO[1].
Come si vede dalla geografia originaria dei dirigenti del Pcd’I del 1921, pochi sono quelli che provenivano direttamente dal Sud. Ovviamente numerosi invece furono i militanti (uomini e donne) del Sud che parteciparono alla fondazione e alla costruzione del nascente Partito comunista d’Italia. Da quanto se ne sa finora, l’unico salentino a partecipare a quel congresso costituente fu il galatinese Carlo MAURO. Di questo giovane avvocato comunista si sono interessati diversi studiosi, a partire dal nipote Carlo Caggia, che scrisse il libro Carlo Mauro, pioniere del socialismo salentino contenente alcune lettere[2] inviate dal confino di Ustica alla moglie. Il libro del Caggia è introdotto da Tommaso Fiore (Salento Antifascista), socialista e grande «formicone di Puglia», che scrive:
«Carlo Mauro, formatosi a Roma, agli studi di legge e al socialismo per l’insegnamento di Ferri [Enrico] e di Labriola [Antonio], portò in una zona particolarmente accesa singolare fermezza e oculatezza. I servi della gleba più disperati lo ebbero dirigente e per lui ottennero la grande vittoria delle cinque ore di lavoro, senza nemmeno rendersi conto che rizzavano un pilastro della nuova civiltà. Tutta l’azione sindacale del Salento venne accentrata naturalmente fra questi paesi, tra i più arrabbiati per mancanza di pane, Galatina, Maglie e Manduria. Disumane dunque le lotte. A Maglie un giorno la folla impedisce che si dia sepoltura al fratello di un ricco epulone, e il Mauro arriva a tempo per impedire il peggio. Pochi giorni dopo, nella civile Galatina, mentre arringa la folla, vien preso a sassate, ed egli si scopre il petto in segno di sfida, finché cade svenuto e lo difende e salva quel Flora [Agesilao, socialista]»[3].
Carlo Caggia, in pagine che si leggono con un pathos familiare (Carlo era nipote per parte di madre), scrive:
«Carlo Mauro [… entrato nel 1895 nel Partito socialista] vi aveva trovato il suo ubi consistam spirituale prima, ideologico e politico poi. Aderì al Partito Socialista con tutta quella carica di romantico idealismo che non gli venne mai meno per tutta la vita./ Le prime bandiere rosse delle Leghe di Resistenza cominciavano a spuntare a Galatina […] Nardò, Manduria, Brindisi, Francavilla Fontana, in tutto il Salento e fuori del Salento: a Bari, a Potenza, a Castellammare, a Sulmona. […] Carlo Mauro sempre presente, sempre sulla breccia, ad educare con spirito apostolico questi uomini abbrutiti da secoli di oppressione e di sfruttamento, questi paria di una società che, chiamandosi cristiana, bestemmiava il nome di Cristo; a far capire loro che dovevano vivere da liberi e non da schiavi; a convincerli che il padrone poteva essere piegato e vinto attraverso l’unità e la coscienza di classe./ Un fiore in petto c’è fiorito…, cantano i proletari di tutto il mondo./ “La storia di ogni società finora esistita è storia di lotte di classi”, si legge, la sera, al lume di candela, nei circoli operai e contadini in cui il Manifesto di Marx [e di Engels] è la nuova Bibbia./ Il Socialismo si diffonde./ La Storia continua il suo cammino»[4].
Anche il galatinese Lucio Romano pubblicò un libro di sue poesie con altre di Rocco Scotellaro, intitolato Carlo Mauro[5], con testimonianze del galatinese Giuseppe Baldari, Giuseppe Sebastiano CALASSO (Copertino, 16 ottobre 1899 – 16 settembre 1983), che fu deputato della Repubblica Italiana per le prime quattro legislature (I, II, III, IV, appartenente al gruppo parlamentare del Pci alla Camera, e che fu anche sindacalista e due volte sindaco di Copertino), gli altri due galatinesi Biagio CHIRENTI e Paolo Congedo, e poi Pantaleo Ingusci e Pietro Spagna, anche quest’ultimo galatinese.
Il libro del Romano è introdotto da una Biografia scritta da Carlo Caggia intitolata Carlo Mauro, costruttore di civiltà. In essa leggiamo:
«Di simpatie repubblicane, studia giurisprudenza nell’università di Roma. […] Il 29 giugno 1893 […] partecipa a Galatina alla fondazione del Partito Socialista di Terra d’Otranto […] Nel 1905 è alla testa delle raccoglitrici di olive del magliese che rivendicano l’abolizione del famigerato cappuccio (un sacco che le contadine dovevano portare appeso al collo e che le costringeva a piegarsi in due via via che veniva riempito. […] Nel 1906, a Galatina, stipula il primo contratto collettivo di lavoro per i contadini (che fissava orario e salario), a cui segue quello dei muratori (8 ore lavorative al giorno). A quanto è dato di sapere, i contratti dei contadini e dei muratori sono i primi – in assoluto – stipulati in Italia. […] Oltre che dei contadini e dei muratori, Carlo Mauro si pone alla testa delle lotte per l’emancipazione sociale di tutti i lavoratori, in particolare chimici, pellettieri, barbieri e ferrovieri. […] Anti-interventista, coinvolto ingiustamente nel 1920 nella proclamazione dell’effimera “Repubblica di Nardò” e imprigionato, fu più volte messo in carcere sotto tutti i governi, da Giolitti a Nitti a Mussolini a Badoglio./ Congressista a Livorno nel 1921, aderì formalmente nel 1924 al Partito Comunista d’Italia. […] Dal 1926 al 1928, con l’avvento del fascismo, fu confinato politico nelle isole di Lampedusa, Ustica e Ponza. Nel 1927 fu incarcerato nell’Ucciardone di Palermo con Bordiga [del quale fu amico e compagno della prima ora], Berti [Giuseppe], Massarenti, Schiavello, Romita e altri con l’imputazione di aver ricostituito il Partito Comunista e “un’organizzazione di fronte unico in rapporto con sovversivi del Regno e dell’Estero, aventi lo scopo di evasione e di ribellione contro i poteri dello Stato”. […] Durante le sue peregrinazioni con le manette ai polsi, conobbe anche le carceri di Lecce […], Napoli […], Crotone, Reggio Calabria, Taranto, Messina, Agrigento, Porto Empedocle, Roma, ecc./ Nel periodo fascista rappresentò nel Salento l’intransigenza più assoluta contro la dittatura e la sua testimonianza di libertà gli procurò ancora innumerevoli altri arresti, minacce, vessazioni. […] Arrestato ancora nel 1943, la caduta del regime [25 luglio] lo trovò nella condizione giuridica di “ammonito” (non rimane in carcere per la sua ormai avanzata età, 72 anni). Solamente il 25 agosto 1943, un mese dopo la caduta del fascismo, riacquistò la pienezza dei suoi diritti civili./ Il 28 gennaio 1944 partecipa al Congresso dei Partiti antifascisti […] svoltosi a Bari nel Teatro Piccinni, in cui tenne il discorso inaugurale Benedetto Croce./ Il 29 gennaio, sempre a Bari, fu chiamato a presiedere il primo Congresso di ricostituzione della CGIL […] Nominato Delegato dell’Alto Commissario per l’Epurazione in provincia di Lecce, diede esempio di magnanimità nei confronti dei suoi antichi persecutori. Partecipò quale Consultore Nazionale (Commissione per la Ricostituzione) alla preparazione delle elezioni per l’Assemblea Costituente. Candidato nelle politiche del 2 giugno 1946 [in contemporanea col Referendum Monarchia o Repubblica], morì a Galatina il 12 dello stesso mese, subito dopo la proclamazione di quella Repubblica che aveva sognato sin dai lontani anni del Liceo»[6].
Interessante un volantino, sottoscritto da alcuni intellettuali salentini, lanciato in occasione delle elezione del 1946, alle quali era candidato Carlo Mauro. Interessante perché, all’interno del suo contenuto, sono rintracciabili alcuni pensieri politico-filosofici dello stesso Mauro del quale, come sappiamo, solo pochi suoi scritti sono stati rintracciati, tra cui la seguente massima:
«Come la frusta data più volte sul dorso del cane fedele, questo irrita e ribella; come il punteruolo conficcato più volte sulla groppa dell’asino paziente, questo determina al mordo, al calcio, così il contadino, a furia di sentirsi sfruttato senza pietà, ingiuriato senza giustizia, è insorto: Non più./ Lecce sorgerà!/ Anche in questa provincia, il contadino è già scappato dal chiuso e dall’ovile, dal trappeto, dal tugurio, dalla chiesa, dove arde il cero della rassegnazione e della morte, e si è lanciato fuori con occhi spalancati, avidi, anelanti aria e sole, tutta l’aria, tutto il sole./ In alto, in alto, sfida a tutti i venti, o contadino. Noi con te, noi per te»[7].
Ecco invece il testo del volantino:
«Chi scrive è un gruppo di intellettuali. Nessuno di essi è comunista, né socialista, ma semplicemente entusiasti del cittadino, della persona, di Carlo Mauro./ Non solo, ma noi non siamo nemmeno suoi amici perché egli di amici – nel senso intimo o fraterno della parola – ha, sì e no, uno o due, enumerati, perché preferisce l’aria del suo studio, la solitudine, la vita senza rumore, in compagnia soltanto della fede [il comunismo] e dei suoi libri./ Molto raramente s’incontra per via e sempre solo; e mai in un circolo, in un caffè, in un teatro, in un pubblico ritrovo. È un solitario!/ Domandategli la ragione di tutto ciò, risponde che egli da piccolo, a 12 anni, era un sovversivo e, quindi, dal paese ritenuto monello e da tutti isolato; ma – soprattutto – perché odia la folla, infida sempre, portata sempre al tradimento; capace di alzare Cristo agli osanna nel dì delle palme e, pochi giorni dopo, trafiggerlo di lancia nel costato e dargli tazza di aceto, mentre, boccheggiante, pendeva dalla croce./ La folla, da non confondersi con la massa organizzata che è un insieme di onesti e di coscienti; la folla, egli dice, la piazza, la turba è stata, nei secoli, sempre così e così sarà: volubile e ubriaca, maligna e volteggiante, cafona e amorale, tutta denti e intestino. Cuore, pensiero, cervello mai./ Per un sorso di vino cede e si vende e, sul mercato elettorale, baratta, per un pugno di fave e una cipolla, sé, il voto e la coscienza./ I ricchi si beffano della folla e ridono se la folla dei rustici morti di fame li porta in gloria, sia se canta, poi Zazà… alla disoccupazione./ Questo ci disse Carlo Mauro, l’uomo da noi ammirato, fatto tutto di un corpo e tutto di un colore; carattere puro, inflessibile, di granito, nonostante carcere e digiuni, tutto sopportando e soffrendo da solo, con fermezza di apostolo. Esempio di giovani di oggi e di domani, quale che sia la nostra fede politica./ Chi non conosce Carlo Mauro in provincia e fuori, a Roma, a Bologna, a Livorno, a Torino, a Milano, a Trieste, ovunque vi è stata una battaglia politica, un’agitazione economica, uno sciopero proletario? Tutti. E tutti ne esaltano il pensiero, la fede, l’intelligenza, la rettitudine, il grande equilibrio della sua mente, la grande bontà del suo cuore./ Chi non ricorda gli scioperi nel Magliese?/ Egli si mise contro tutte le potenze della finanza, del latifondo, della banca, del capitale; contro i Tamborino, i Garzia, i De Donno, e li vinse tutti, nelle memorabili e gigantesche lotte a favore dei contadini, i quali, per la miseria, i patimenti e la fame, non avevano più volto umano, ma di spettri e di scimmie./ Chi non ricorda Carlo Mauro nel Gallipolino, a Nardò, a Manduria, a Brindisi, a Francavilla Fontana?/ Anche le pietre lo ricordano, giovane, allora, vivo, temerario e tutti ne cantano le virtù e quando lo vedono è una festa, se lo stringono al cuore, piangenti di commozione per gli antichi ricordi, per le antiche memorie e per il bene ricevuto dall’opera sua, sempre e ovunque onesta e disinteressata. Sì, sì, disinteressata, perché Carlo Mauro ha sofferto la vera fame, spesso si è nutrito di solo pane asciutto; spesso, fuori di casa, ha dormito sotto un ponte o in un angolo di chiesa; ma non ha chiesto mai niente a nessuno, nemmeno a quelli per cui lottava e rischiava la galera e cimentava la vita./ Figure simili si trovano solo tra i fanatici di una religione./ Chi non ricorda Carlo Mauro nelle storiche conquiste delle cinque ore per i contadini e delle otto ore per i muratori; conquiste che ebbero origine in Galatina, ma poi, divennero legge per tutta Italia?/ Chi non ricorda Carlo Mauro nelle lotte proletarie pei pellettieri, pei chimici, pei barbieri, per quanti gemevano la povertà sotto il tallone della ricchezza?/ E tutto questo senza mai il disturbo dell’ordine pubblico, senza mai che uno scioperante andasse in galera o cadesse vittima di un colpo di moschetto»[8].
Lucio Romano è autore dell’epigrafe apposta sulla facciata della casa di Mauro a Galatina in occasione del 50° anniversario della morte. Queste le sue parole:
«Di Carlo Mauro (1871-1946)/ La fede limpida nel socialismo/ Pagata poi a carcere e confino/ Questa piazza ricorda// Qui risuonò come un urlo/ la voce che parlava di leghe/ Di pane/ Di civiltà da fare/ Umana e degna a costo di martirio// Una vita e un morire/ Che fu pietra ed offerta/ alla dea Libertà// Di quella voce resta in questa piazza/ Quasi un’eco che è diventata Storia/ Chi passa ne avverte il respiro/ Lo spessore multiplo»[9].
Anche il poeta civile Vittore Fiore, socialista e meridionalista, ebbe modo di dedicare a Carlo Mauro alcuni versi in un suo stupendo poema. Questi:
«Al fondo di queste desolazioni/ noi chiamammo europei quel cielo fermo,/ la linea bassa dell’orizzonte,/ il profilo di ulivi e case bianche/ che si attaccavano alla luce,/ le ceneri rivoluzionarie di Carlo Mauro […]// Notizie di Carlo Mauro? Divide/ ceci nel collettivo di cultura,/ fave a Galatina, in un casolare/ di periferia, discutono/ lo sciopero di domani, la sorte/ che ha aperto un’impari lotta/ che nessuno, in quei loro asciutti/ stupori di scoprire che vuol dire/ trovarsi nell’unità,/ considerava impossibile, assurda»[10].
Non di minore importanza è la memoria dell’umanista Aldo Vallone che, nell’introduzione al libro Cronache fra due secoli, autore Carlo Caggia, scrive:
«Mauro è di estrazione popolare […] è veemente oratore, ha del socialismo i temi e i colori tipici dei grandi uomini di fine Ottocento, conosce l’anima del popolo, è un animatore che propaganda paese per paese, occasione per occasione, le sue idee e le batte e ribatte scrivendo senza requie e provocando insieme, sotto diversi aspetti, avversari e amici. […] Sul piano locale Mauro sollecita e costituisce leghe di muratori e contadini, non di rado in rapporto e concomitanza con quelle realizzate altrove. […] Mauro è convinto che un partito socialista nel leccese non esiste perché “il popolo non è organizzato, ma vive insensibile alla civiltà” (v. in “Il Salento”, 30 marzo 1899) e vede nell’utopia la bandiera per destare passione e sostenere speranze. […] Mauro tenta di nutrire ideologicamente il popolo e di guidarlo alla riscossa»[11].
Un saggio di grande spessore politico-storiografico è quello di Gianni Schilardi, attuale presidente onorario dell’Anpi di Lecce. S’intitola Origine e sviluppo del partito a Galatina, nel quale, a proposito di Carlo Mauro, scrive:
«Nel gennaio 1921, il delegato socialista a Livorno è C. Mauro, la delega al leghista galatinese, però, più che consenso ad una linea appare soprattutto un riconoscimento al leader carismatico. […] Al Congresso, Mauro vota per la mozione comunista, ma la sua adesione alla nascita del Pcd’I [… avverrà] nel 1924. […] il colpo di grazia alla già asfittica organizzazione del partito [nel Salento] sarà, il 30 novembre del 1926, l’arresto di Mauro, considerato dal regime un “pericoloso sovversivo”. Condannato a cinque anni di confino, il 28 gennaio 1927 inizia una lunga peregrinazione per le isole»[12].
E un’importante testimonianza sull’attività del Mauro a Galatina, la riporta Michele Magno, scrivendo:
«A Galatina, il 1° agosto 1911, per iniziativa di centotrenta calzolai del posto, venne indetta una conferenza per la costituzione di una cooperativa tra calzolai. Mentre, all’interno del liceo, prendevano posto i primi convenuti, in attesa dell’arrivo da Lecce del sacerdote conferenziere, circa cinquecento lavoratori delle leghe dei contadini, dei muratori e dei pellettieri, capeggiati dal massimo esponente locale del partito socialista, avv. Carlo Mauro, dopo avere improvvisato un corteo con la bandiera rossa alla sua testa, irruppero nell’atrio della scuola per impedire la manifestazione. Ricacciati dai pochi carabinieri presenti, dopo ripetuti scontri con i cattolici, gli anticlericali si portarono in piazza gridando “Abbasso i preti, non vogliamo i gesuiti”. La conferenza non ebbe luogo, sei calzolai dovettero farsi medicare, il Mauro e altri tredici socialisti furono denunciati per rifiuto all’obbedienza, istigazione a delinquere, minaccia di disordini e danneggiamenti. […] Carlo Mauro, nell’immediato dopoguerra, era stato alla testa di grandi lotte del proletariato, a Galatina e negli altri comuni della zona. Accusato di avere organizzato e capeggiato i moti scoppiati a Nardò nel marzo 1920, prima si era dato alla latitanza e poi, il 29 maggio 1920, si era costituito volontariamente; il 29 giugno seguente, era stato scarcerato per insufficienze di indizi. Alle elezioni politiche del 1924, è candidato nella lista di Unità proletaria, per il Pci [sic!, Pcd’I]. Il 20 novembre 1926, con ordinanza della competente commissione di Lecce, è assegnato al confino, egli scriverà a una sua concittadina, cui era sentimentalmente legato, una lettera dalla quale traspariranno la forza della sua fede e la fermezza del suo impegno di lotta./ Nel settembre 1927, egli verrà denunciato al tribunale speciale, assieme ad altri trentotto confinati a Ustica, per costituzione di organizzazione comunista; ma con ordinanza del 1° agosto seguente del giudice istruttore di quel tribunale, verrà scarcerato per insufficienza di indizi. Il 30 novembre 1928, scontati i 2 anni di confino, potrà rientrare a Galatina, dove verrà sottoposto alla più assidua vigilanza da parte della polizia. La questura di Lecce, nel suo rapporto periodico del 22 dicembre 1937 sulla condotta del Mauro, riferirà che egli “si conserva fedele all’ideale comunista, ma non spiega alcuna attività deleteria verso il regime. Conduce vita sociale ma viene sempre vigilato”. Il 9 luglio 1943 la commissione provinciale di Lecce per i provvedimenti di polizia lo ammonirà, ritenendo di non doverlo internare in considerazione della sua età avanzata [72 anni]»[13].
Lunga peregrinazione fu quella di Carlo Mauro che, tra confino è carcere si protrarrà per tutti gli anni del regime fascista, fino al 1943, quando, secondo Schilardi, ritroviamo il Nostro impegnato nel Congresso dei Comitati di Liberazione nazionale a Bari. Schilardi Scrive:
«Il 28 e 29 gennaio del 1944 una delegazione di comunisti galatinesi segue il Congresso […] Carlo Mauro presiede il Congresso sindacale tenuto il 29 gennaio 1944 presso il dopolavoro postelegrafonico e che viene considerato il primo atto di ricostituzione della Camera generale del lavoro. In margine al celebre Congresso dei CLN si tenne negli stessi giorni a Bari un convegno meridionale del Pci [sic!, Pcd’I]: ad esso parteciparono i delegati galatinesi C[arlo] MAURO, G[iuseppe] MARRA, A[ngelo] COLAZZO, Nello GALLUCCIO. […] Mentre Mauro e Marra rappresentano indubbiamente la continuità con la vecchia tradizione socialista, Colazzo e Galluccio sono il volto dell’antifascismo più recente, coloro che sono arrivati da soli, e negli ultimi anni del regime a fare una scelta di classe»[14].
Gli anni 1943-44 sono significativi per l’antifascismo salentino. Lo scrive Dino Levante nel suo saggio Partiti e lotte politiche nel Salento (1943-1948):
«Già prima dell’8 settembre 1943 si andavano organizzando le file dell’antifascismo salentino. La data del 16 gennaio 1943 è, infatti, quella della stesura del documento di costituzione del Fronte unico antifascista di Lecce, firmato dall’avvocato Vito Mario Stampacchia (socialista), dall’avvocato Carlo Mauro (comunista) e dal commendatore Antonio Fiocca (democristiano). L’atto costitutivo, firmato dai capi del movimento, era emblematico della mancanza di una base e dei limiti ideologici dell’iniziativa. Intanto, tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944, molti partiti ricostituiscono le loro sezioni. Il Partito comunista italiano (Pci) vede il rientro degli ex confinati che devono riannodare i legami con un proletariato indifferente e politicamente diseducato, e già qualche tempo dopo, il 25 luglio ricostituisce la Federazione provinciale per iniziativa dei suoi esponenti principali: Armando Povero e Pietro Refolo»[15].
Su Mauro, c’è ancora un’altra testimonianza, che viene dall’interno dell’ex partito comunista leccese. È quella di Giorgio CASALINO, per anni deputato salentino alla Camera. Scrive:
«Visse in una provincia priva di stratificazioni sociali moderne. Pochi erano gli operai organizzati, abbondavano invece i contadini rassegnati e oscillanti, quasi servi della gleba, assoggettati ai padroni medioevali. Tormentate erano le donne contadine costrette a indossare il cappuccio per la raccolta delle olive. I feudatari e i latifondisti erano incapaci persino di fruire modernamente della manodopera contadina per ammodernare la coltivazione delle terre sviluppando il rendimento produttivo e finanziario»[16].
Ma ritorniamo ora a Lucio Romano e al suo libro su Carlo Mauro, nel quale scrive che
«Carlo Mauro portò le sue cure ai più infelici, ai contadini, ai braccianti, perché in questi egli vide il mondo di lavoro più sfruttato, perché in questi egli rivide altri servi della gleba di un feudalesimo che non voleva morire. […] Carlo Mauro era un ribelle, e il ribelle il più delle volte, specie quando è ispirato da nobili e sante idee, è un rivoluzionario. […] Una caratteristica di Mauro colpisce più delle altre: il ripudio della violenza. Sempre: sia quando aveva contro la classe reazionaria e violenta, sia quando fu Commissario d’epurazione dopo la caduta ingloriosa del regime. Mai incitò la folla alla rivolta cruenta. Sempre credette in una via pacifica alla rivoluzione necessaria per costruire un lavoro più umano»[17].
Inoltre, all’interno del libro, il Romano inserisce una delle testimonianze fondamentali per capire attraverso quali percorsi i salentini parteciparono alla nascita e alla costruzione del Partito comunista nel Salento. Si tratta della testimonianza di Giuseppe CALASSO, per decenni responsabile della sezione Agraria e per alcuni anni segretario provinciale del Pci leccese. Ecco uno stralcio della testimonianza:
«Ho conosciuto Carlo Mauro in occasione di un grande sciopero provinciale dei braccianti./ Io avevo 22 anni. Lui era sulla cinquantina./ L’atmosfera: quella del primo dopoguerra, creata dalle grandi delusioni del popolo./ Il fascismo montava e già accendeva fiamme sinistre in tutto il paese. Era l’autunno del 1921./ Fra giovani si parlava delle lotte passate, del Congresso di Livorno, dei vecchi dirigenti, dei pionieri./ Carlo Mauro era per noi una figura leggendaria. […] Il 1922 la violenza fascista si fece sentire anche in provincia di Lecce./ L’occupazione violenta del Municipio di Taviano, le bandiere rosse bruciate qua e là, l’olio di ricino al vecchio maestro Manieri di Nardò. Ma l’azione più violenta e vergognosa fu consumata a Galatina, dove furono incendiati gli archivi della Camera del Lavoro e della Cooperativa di consumo, con tutte le suppellettili. […] Ma ecco fra le ceneri delle cose, dell’organizzazione, Carlo Mauro riappare più deciso e più sicuro di prima, con la sua ironia, col suo sorriso amaro, riprendendo le file, rincuorando alla lotta./ Lui che intanto era tornato dal Congresso di Livorno comunista, in una riunione che tenemmo in casa sua ci illustrò lo svolgersi del Congresso, le ragioni profonde, storiche, ineluttabili dell’uscita dal vecchio Partito Socialista, che si era rifiutato di espellere le tabe del riformismo. […] Quando nel 1926 lo inviarono al confino io ero già in carcere e lì seppi ch’era stato confinato. Mi raccontarono poi che a Lampedusa era stato arrestato e trasferito a Poggioreale, a disposizione del Tribunale Speciale, accusato di avere con altri ricostituito il Partito Comunista./ Quello che mi colpì del carattere del Mauro dal momento che lo conobbi, fu il suo ottimismo./ Mi lamentavo con lui: “Distorcono i nostri discorsi, dicono delle falsità”./ Rispondeva allegramente: “Lasciali dire e non ti meravigliare. Preparati per ascoltare cose più gravi e diventerai più forte. Noi comunisti dobbiamo portare sempre due bisacce. Di tutto quello che dicono nei nostri riguardi, dobbiamo scegliere il buono e metterlo nella bisaccia davanti. Il cattivo dobbiamo gettarlo in quella di dietro. La cosa importante è quella di rimanere fedele al tuo ideale. Peppino, sai cosa ha detto Lenin? Non piagnucolate, compagni. Noi vinceremo, perché abbiamo ragione”./ Ritornati in libertà (vigilata), si dava l’occasione di rivederci spesso a Lecce. […] Quando cadde il fascismo, lo rividi la prima volta in un caffè a Lecce, dove cavò dalla borsa un pacco di volantini. Il “Sorgiamo” di Spartacus. Vi era trasfusa tutta la sua passione di combattente antifascista. […] Ricordo il suo primo comizio a Copertino dopo la caduta del fascismo. La fine del 1943, uno stabilimento vinicolo stipato di gente vociante e plaudente./ Raccomandò di ricostruire il Partito e di farlo forte. Di essere uniti, uniti, per abbattere questa società, marcia, putrefatta, causa di continue guerre e di dittature. Di abbatterla e di costruirne una nuova, una società di eguali. […] Sarà dura la lotta per conquistare la vittoria – disse – per costruire la nuova società, ma l’avvenire è nostro! Poi ebbe un momento di riflessione e continuò: “Non vorrei parlare di me, ma debbo dirvi che purtroppo il giorno della vittoria io non ci sarò./ Per me che ho speso tutta la vita per questo ideale, non vi domando nulla. Vorrei solo che quel giorno sulla mia tomba venga esposto un fiore rosso. Io di sottoterra vi risponderò col pugno chiuso!»[18].
Quando Carlo MAURO morì, tra i comunisti del Salento ci fu una forte commozione. Il nipote Carlo Caggia, ricorda così l’evento:
«Il 12 giugno 1946 muore Carlo Mauro. “La Gazzetta del Mezzogiorno” scrive: “Si è spento in Galatina, dove risiedeva, il Consultore Nazionale avv. Carlo Mauro, capo del movimento comunista del Salento. Da giovane militò nel Partito Socialista. Avversario irriducibile del fascismo, rimane fedele alle sue idee per tutta la durata del tramontato regime, subendo persecuzione, carcere e confino. Caduta la dittatura ed entrato nel Partito Comunista, ne fu uno degli animatori più battaglieri./ Coprì varie cariche fra cui quella di Delegato Provinciale dell’Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo e Capo della Commissione Provinciale per l’epurazione e per l’avocazione dei profitti di regime; cariche nelle quali portò sempre il contributo del suo equilibrio e della sua equanimità. È stato Consultore Nazionale e il suo nome figurava fra quelli dei candidati alla Costituente”./ Della morte di Carlo Mauro danno notizia i quotidiani nazionali, in particolare “l’Unità” e l'”Avanti”. A sua volta “Il Lavoratore del Salento”, organo della Federazione provinciale del Pci, così scrive: “Nella mattina del 13 corrente si sono svolti in forma semplice e solenne i funerali del compagno avv. Carlo Mauro. Racchiuso in un’umilissima cassa di abete grezzo com’era stato suo desiderio, seguito dalle bandiere del nostro Partito e da un silenzioso corteo di amici e di lavoratori, la salma è stata accompagnata all’estrema dimora. Non manifesti, non suono di campane, non musica; i cittadini che hanno visto passare quel modesto feretro ignoravano ancora che Carlo Mauro, il veterano del nostro Partito, non fosse più fra noi. Il commosso pensiero dei nostri lavoratori va oggi al coraggioso, esemplare, cavalleresco combattente che fu loro, in ogni tempo, guida capace e sicura contro il fascismo e gli oppressori»[19].
[1] Cfr. Da Gramsci a Berlinguer. La via italiana al socialismo attraverso i congressi del Partito Comunista Italiano, a cura di Renzo PECCHIOLI, vol. I, 1921-1943, Edizioni del Calendario, © Marsilio Editori Venezia per conto dell’Erga e della Cardif di Palermo, Stampa Grafica & Stampa di Vicenza, 1985, pp. 66-67).
[2] Lo storico e giornalista Enzo BIANCO, nel suo libro Compagni. Le lotte dei comunisti leccesi contro il fascismo, Argo editore, Lecce. 1999, scrive «estremamente significative», p. 104.
[3] Cfr. Tommaso FIORE, in C. Caggia, Carlo Mauro, pioniere del socialismo salentino, Edizioni “Il Nuovo Cittadino”, Editrice Salentina, Galatina 1967, pp. 37-38).
[4] Cfr. Carlo CAGGIA, Carlo Mauro, pioniere del socialismo salentino, Op. cit., pp. 51-52).
[5] Cfr. Lucio ROMANO, Carlo Mauro, Editrice Salentina, Galatina, 1996.
[6] Cfr. L. ROMANO, Carlo Mauro, in occasione della II edizione nel primo centenario della CGIL, a cura di Ninì De Prezzo, segretario provinciale Spi-Cgil, Galatina, 2006, pp. 7-8).
[7] Cfr. Giorgio CASALINO. Un protagonista delle lotte operaie. Cinquant’anni fa moriva Carlo Mauro, in «EspressoSud», a. XIX, n. 6, giugno 1996, p. 29.
[8] Cfr. C. CAGGIA, Carlo Mauro, costruttore di civiltà, Op. cit., p. 14.
[9] Cfr. L. ROMANO, Op. cit., p. 10.
[10] Cfr. Vittore FIORE, Il male è dentro di noi, in «Almanacco dello Specchio», n. 4, Mondadori, Milano 1975).
[11] Cfr. C. CAGGIA, Cronache fra due secoli. Lotta politiche e sociali dal 1896 al 1909 in una città del Salento attraverso la stampa socialista, Congedo editore, Galatina, 1996, pp. 9 e sg.
[12] Cfr. Gianni SCHILARDI, Origine e sviluppo del partito a Galatina, p. 1118. Si tratta del 21° volume degli «Annali» dedicati alla struttura e alla storia dell’organizzazione|1921-1979| del Partito Comunista Italiano, dove ci fu una sezione dedicata a tre realtà minori – Fiat Mirafiori di Torino, la sezione “Italia” di Roma, la sezione “Carlo Mauro” di Galatina).
[13] Cfr. Michele MAGNO, Galantuomini e proletari in Puglia. Dagli albori del socialismo alla caduta del fascismo, Bastogi, Foggia, 1984, pp. 73, 354-355.
[14] Cfr. G. SCHILARDI, Op. cit., p. 1123. Neretti e maiuscoletti miei).
[15] Cfr. Dino LEVANTE, Partiti e lotte politiche nel Salento (1943-1948), in Politica e conflitti sociali nel Salento post-fascisti (a cura di Mario Spedicato), Conte Editore, Lecce 1998, pp. 18-19. Nella prefazione a questo libro, lo storico Mario SPEDICATO scrive che «i motivi che hanno ispirato questa iniziativa editoriale [Atti di un seminario svoltosi a Carmiano nel primo anniversario della morte di Librando Sara], ricordando l’impegno e la passione di Librando Sara, combattente comunista, nel sostenere – fino a soffrire il carcere per adunata sediziosa – le rivendicazioni che alcune forze politiche e sindacali avanzavano contro il latifondo improduttivo e le disumane condizioni di lavoro nelle fabbriche», p. 7.
[16] Cfr. G. CASALINO. Un protagonista delle lotte operaie. Cinquant’anni fa moriva Carlo Mauro, in «EspressoSud», a. XIX, n. 6, giugno 1996, p. 29.
[17] Cfr. L. ROMANO, Op. cit., pp. 21 e sg.
[18] Cfr. Giuseppe CALASSO, in L. Romano, Op. cit., pp. 37 e sg.
[19] Cfr. C. CAGGIA, Cronache Galatinesi. Anni ’20-40, Congedo editore, Galatina 1996, pp. 31-32.