BONA SFORZA DUCHESSA DI BARI E REGINA DI POLONIA
di Angela Campanella
Bona Sforza nasce a Vigevano il 2 Febbraio 1494, da Gian Galeazzo Sforza, signore di Milano, e da Isabella D’Aragona, appartenenti a due delle più rilevanti dinastie dell’epoca, imparentate fra loro con matrimoni di convenienza nel tentativo di rafforzare il loro potere. Bona si distingue per le sue grandi capacità politiche, diplomatiche, per la sua vasta cultura e per il piglio deciso e volitivo con cui affronta le grandi scelte e le grandi difficoltà della vita, guidata anche dall’esempio illuminato della madre Isabella. È sovrana assoluta, amata più dal popolo che dalla nobiltà, è fervente cattolica, ma molto critica nei confronti del clero corrotto. Le sue riforme, quella religiosa e quella agraria in particolare, assicurano alla Polonia un periodo di grande prosperità. La sua rivoluzione gastronomica cambia la cucina polacca. Ma la sua è una vita avvelenata dal sospetto, e non solo: suo padre viene probabilmente ucciso dallo zio con il veleno, lei stessa è accusata di avere contribuito alla morte delle due nuore e, infine, forse essa stessa ne è vittima. La sua storia somiglia ad un dramma shakespeariano, costellata da intrighi all’interno della sua famiglia, che si estende anche ai famigerati Borgia, e nella quale non si esita a togliere di mezzo parenti scomodi e consiglieri fraudolenti. Anche nella vita di Bona spunta un segretario infido e, a quanto si racconta, è proprio lui a causarne la morte. Bona si trova sin da piccola, al centro di una fitta trama di intrighi, che la porta ad avere familiarità con morti sospette. Ha meno di un anno quando rimane orfana di padre, con ogni probabilità ucciso dallo zio Ludovico il Moro. Lo zio, infatti, è reggente già dalla minore età di Gian Galeazzo e non si è mai premurato di trasferirgli il potere, anche quando il nipote è diventato maggiorenne. Lo stesso Gian Galeazzo invero non sembra particolarmente ansioso di entrare in possesso del titolo, preferendo ai doveri del governo il dedicarsi alla caccia. La moglie Isabella, invece, molto più pragmatica dello sposo, invia missive accorate al padre, il re di Napoli Alfonso II, affinché intervenga a riportare la situazione alla sua legittimità. Ad evitare pericolosi conflitti forse a Ludovico balena l’idea di accelerare la fine del nipote, che muore il 21 ottobre 1494 fra convulsioni e forti dolori. Sui documenti predisposti per comunicare la notizia del decesso, alla voce “causa” viene lasciato uno spazio bianco. Ludovico Sforza viene quindi proclamato nuovo duca di Milano e Beatrice d’Este, sua moglie, diviene duchessa di Milano, lasciando a Isabella, peraltro sua cugina diretta, solamente il titolo di duchessa di Bari. Isabella lascia così la corte milanese con Bona, unica sopravvissuta dei quattro figli della coppia, per raggiungere prima Napoli, per la ratifica del titolo, e poi Bari per prendere possesso del Ducato. Isabella affida la figlia a due maestri d’eccezione: a Napoli all’umanista Crisostomo Colonna e a Bari ad Antonio De Ferraris, detto il Galateo, noto medico e umanista salentino. La madre Isabella comincia a porre le basi per un matrimonio favorevole alla figlia e al suo prestigio.
Regina di Polonia. Nel 1518, a 24 anni, Bona va in sposa all’anziano re Sigismondo I di Polonia, che ha oltre il doppio dei suoi anni, diventando così regina di Polonia e granduchessa di Lituania. Alla corte di Cracovia Bona richiama dall’Italia letterati, religiosi, medici, ma anche sarti, domestici e cuochi. Pare che sia proprio la regina Bona a introdurre in Polonia verdure allora sconosciute, come cavolfiori, cipolla, porri e sedano. Anche i giardini del castello vengono arricchiti da molte piante originarie dell’Italia. La corte di Cracovia può fregiarsi inoltre della presenza di illustri artisti e pensatori come Copernico, ed Erasmo da Rotterdam. Anche il Salento è rappresentato con onore alla corte di Bona da alcuni personaggi rilevanti: dal medico brindisino messer Nicolò de Catiniano, al suo collega Giovan Paolo Mongiò di Galatina, commentatore di Avicenna, e all’altro galatinese Giovan Teseo de Nardis (o Nardeo), un giureconsulto letterato che serve nella segreteria di corte per due anni, ed autore nel 1538 di una Oratio e di molte poesie in lode di Bona Sforza. Verso il 1535 vi soggiorna, per qualche tempo, anche il celeberrimo Matteo Tafuri di Soleto. La regina non si occupa però solo di cultura, ma partecipa attivamente anche alle decisioni politiche. La sua influenza sul consorte è tale che nel 1530 riesce a far eleggere re il figlio Sigismondo II Augusto, di appena dieci anni, nonostante sia ancora vivo Sigismondo I, scatenando l’ira della nobiltà polacca in quanto Bona infrange così il “nihil novi” strappato ai predecessori di Sigismondo I: “niente può essere deciso dal re senza previa consultazione con il Parlamento”. Inoltre la regina italiana, grazie ai privilegi, ai denari, alle cittadine e alle vaste terre concessi a lei dal marito in cambio della sua preziosissima opera riformatrice in materia agraria, religiosa, culturale e sociale, vede aumentare il suo potere che, dalla morte di Sigismondo in poi, divenne “assoluto”. È malvista dai nobili, ma la sua sapienza è riconosciuta da tutti, soprattutto dal marito, che non esita ad affidarle le redini del regno, quando la salute viene a mancargli. Bona, intanto, tesse articolate trame per assicurare al figlio un matrimonio favorevole.
Il giallo di Bona e le due nuore. La scelta cade sull’arciduchessa d’Austria Elisabetta d’Asburgo, che nel 1543, a soli diciassette anni, sposa Sigismondo II Augusto. La giovane regina si trova subito nel bel mezzo delle opposte fazioni, pro e contro gli Asburgo, ed è spesso in contrasto con la suocera. Ad aggravare la situazione si aggiunge la mancanza di un erede e gli attacchi epilettici di Elisabetta, che si ammala e muore dopo soli due anni, non ancora ventenne. Forse la salute già delicata della fanciulla viene ulteriormente minata dalle ferite riportate in una caduta da cavallo. Cominciano però a circolare voci che sostengono che la morte di Elisabetta sia stata “favorita” per evitare la nascita di un erede al trono di salute cagionevole. In realtà forse il peggioramento delle condizioni di Elisabetta è attribuibile a Sigismondo, che da giovanissimo ha condotto una vita dissoluta. Si dice infatti che a soli sedici anni abbia intrattenuto una relazione amorosa con una delle cortigiane della madre, la quarantenne Diana de Cardona, dalla quale, pare, abbia contratto la sifilide. Nell’interesse del regno Sigismondo è costretto a contrarre un altro matrimonio. Contravvenendo ai progetti materni, Sigismondo agisce di testa sua. Si innamora, infatti, di Barbara Radziwill, la figlia di un magnate lituano, di religione luterana. “Barbara è molto bella, molto colta, ricercata nei migliori salotti. È vedova del notabile Stanislovas Goštautas: un matrimonio combinato con un uomo molto più grande di lei. Sigismondo giovane e bello, fa colpo sulla fanciulla. In breve annuncia audacemente la sua scelta, ma la corte intera insorge. Sua madre va su tutte le furie, in quanto considerava i Radziwill degli arricchiti e il fatto che sia luterana peggiora moltissimo la situazione. Sigismondo non se ne cura e sposa in segreto Barbara. La notizia suscita grande scalpore. Il parlamento chiede al giovane re di divorziare da Barbara, ma egli rifiuta. Bona e la corte polacca cercano in ogni modo di ostacolare la vita della coppia. Cominciano a correre dicerie sul conto di Barbara: si mormora che pratichi magia nera e che non sia in grado di generare un erede. Tutto inutile: il 7 dicembre 1550 Barbara viene incoronata regina per volontà di Sigismondo. Le ragioni del malcontento di Bona e della corte sono diverse: la regina non ha potuto consolidare con un erede di Elisabetta il rapporto con gli Asburgo, casata a lei invisa, ma fondamentale dal punto di vista strategico; la nobiltà polacca teme di perdere la corte, che Sigismondo Augusto sposterà sicuramente da Cracovia a Vilnius. Inoltre in Lituania si sta affermando il Luteranesimo. Nonostante Bona abbia dimostrato il suo grande sincretismo religioso, consentendo e agevolando la costruzione di chiese cristiano cattoliche, ortodosse e rutene, la maggioranza cattolica della nobiltà polacca teme le nuove dottrine riformiste e di conseguenza teme anche l’atteggiamento di Sigismondo Augusto, che forse ha intenzionalmente evitato un matrimonio d’interesse, in coerenza con i propri principi morali, improntati a dottrine non sempre in linea con la Chiesa di Roma. Possiede libri di Calvino e di Erasmo da Rotterdam. Di quest’ultimo, in particolare, la Institutio principis christiani nella quale, tra l’altro, l’umanista olandese condanna i matrimoni stipulati dai regnanti per perseguire fini politici. Sta di fatto che Barbara, a distanza di soli cinque mesi dall’incoronazione, si ammala gravemente, pare per un tumore. Bona cerca di riconciliarsi con la nuora e in una lettera dichiara «di riconoscere e onorare la Vostra Altezza Serenissima come propria figlia e beneamata nuora […] prega e spera che il Signore Iddio vi guarisca presto». Ma Barbara non migliora e muore l’8 maggio 1551, a soli 30 anni. Il giovane re non si riprenderà mai dalla sua perdita. Vestirà di nero per il resto della sua vita, e nera sarà la stanza del castello di Niasvizh, appartenuto ai Radziwill, dove, secondo una leggenda il mago Pan Twardowski evoca per Sigismondo il fantasma di Barbara. La leggenda narra che Barbara non abbia potuto abbandonare completamente il Castello di Niasvizh e che ancora oggi una Signora Nera vaghi per le stanze piangendo.
Il ritorno in Italia. Le voci che indicano in Bona la responsabile dell’accaduto si fanno insistenti, alimentati dalla nobiltà polacca che mal sopporta lo strapotere della regina, divenuto assoluto alla morte del marito. Nel 1556 scoppia una rivolta fra i nobili e la regina fa ritorno in Italia, lasciando piena autonomia a Sigismondo Augusto. In realtà i motivi che inducono Bona a lasciare la Polonia per riprendere la strada della Puglia sono molteplici e mai del tutto chiariti. Secondo alcune fonti come negli scritti dei fratelli libellisti Silvio ed Ascanio Corona, Bona Sforza decide di tornare in Italia per raggiungere il suo segretario ed amante Pappacoda, ma è un’ipotesi poco probabile data la condotta esemplare tenuta dalla regina dopo il matrimonio. Fra le ragioni più credibili è la contrarietà della regina per il comportamento del figlio dopo la morte del marito. Sigismondo Augusto accentra nelle sue mani le responsabilità del governo, di fatto esautorandola e privandola anche di beni e possedimenti che le erano stati regalati dal marito. La salute inoltre comincia a vacillare e Bona spera di migliorare le sue condizioni con un clima meno rigido. Dal Ducato di Bari le giungono notizie preoccupanti sulle azioni dei Turchi che premono sulle coste. Le accuse che velatamente le vengono mosse riguardo la morte di Barbara e che circolano insistentemente a corte la feriscono e la spingono a prendere in fretta la decisione di ritornarsene a Bari. Fra i motivi che accelerano la sua partenza dalla Polonia fu probabilmente anche la trattativa del Pappacoda, che suggerisce alla regina la possibilità di essere nominata Viceré di Napoli dagli Asburgo, con la possibilità di riunire la propria corte nella città partenopea, come era stato per sua madre Isabella.
Il giallo della morte di Bona: la regina è stata avvelenata? Il 13 maggio 1556 la regina viene accolta a Bari dalla folla festante e si premura subito di effettuare migliorie in quel castello sul mare che era stato del suo lontanissimo avo Federico II. Il castello di Bari è la sua nuova dimora. Bona consacra a San Stanislao, patrono della Polonia, la cappella appena costruita nel cortile centrale dell’edificio. Con il trascorrere del tempo comincia a rendersi conto di come il Pappacoda l’abbia subdolamente raggirata. Tramite il suo segretario la regina ha prestato all’imperatore ingenti somme in cambio della promessa del conseguimento della massima carica del Vicereame e del conseguente avanzamento nella città di Napoli, ma ciò non si era verificato affatto e Bona comincia a nutrire seri dubbi sulla correttezza e le capacità diplomatiche del Pappacoda.
Nel frattempo le figlie cominciano a premere per il suo rientro in Polonia, e perfino il figlio Sigismondo Augusto si impegna a riconsegnarle terre e possedimenti dei quali era stata ingiustamente da lui privata, prima della sua partenza per l’Italia.
Forse spinta dalla nostalgia per l’amata Polonia, Bona commette una leggerezza che le sarà fatale. Rivela a Marina Arcamone, sua domestica personale, il proposito non solo di rientrare in Polonia, ma anche di esautorare completamente il Pappacoda: errore certamente funesto che consente all’infida cameriera di allarmare il pericoloso ministro, il quale inizia a tessere subdole manovre per evitare che la regina attuai i propositi che manderebbero in fumo i suoi rapporti diplomatici con Filippo II.
Intanto Bona, il cui stato di salute è migliorato con il soggiorno in Italia, si dedica alla difesa della costa pugliese contro i Turchi, fino a quando improvvisamente viene colpita da forti dolori. Il medico personale della sovrana non riesce a comprendere cosa possa esserle accaduto. Le voci che Gian Lorenzo Pappacoda abbia avvelenato la regina si fanno insistenti anche per la presenza di un testamento a suo favore redatto dalla regina alla presenza di un notaio di fiducia. La regina, però, migliora e fa redigere un nuovo testamento da depositare a Napoli. Ma Pappacoda non demorde e raggiunge perfino il notaio sulla strada per Napoli, convincendolo a non dare seguito agli ordini della sovrana. Due giorni dopo, il 19 novembre 1557, Bona Sforza muore. La responsabilità del Pappacoda è evidente. Un certo Cesare Farina, dipendente dell’amministrazione del castello, parla apertamente di avvelenamento e indica in Pappacoda il colpevole. Nei documenti custoditi nella Biblioteca Nazionale di Madrid e riportati dallo storico Alfonso Falco, risulta chiaramente lui il mandante del delitto. Come esecutori materiali vengono indicati il medico Giovanni Antonio da Matera, esperto nel maneggiare veleni ed un cugino del Pappacoda, tale Pardo Matulo o Pardo Martillo, maestro di cucina della regina.
Dagli stessi documenti si apprende che gli stessi esecutori subirono la stessa sorte della regina: il medico, morirà ingerendo per sbaglio una pozione dello stesso veleno somministrato alla regina, Pardo Martulo e un certo dott. Romanello, figlio di un notaio, testimoni del misfatto, periscono durante un viaggio per Napoli, liberando così Pappacoda dal pericolo di una eventuale accusa o di un ricatto.
Bona Sforza Duchessa di Bari e Regina di Polonia lascia così il suo regno e il suo ducato per sempre. Scompare questa regina di tanta autorità e di così nobile stirpe, lasciando in tutti il dolore e il rimpianto del suo governo, della sua umanità e della sua carità cristiana.