Artisti galatinesi

ANTONIO  PALAMA’

L’arte come missione e le affinità elettive

di Giuseppe Magnolo

L’esperienza artistica in tempi di pandemia. Continua a pesare duramente lo scotto che paghiamo tutti alle restrizioni causate da una pandemia che ci ha cambiato la vita radicalmente, e probabilmente ci obbligherà ad altre rinunce anche negli anni a venire, ponendo limiti severi alla nostra vita di relazione. Ognuno nel frattempo ha cercato di motivarsi, adattandosi alle circostanze e alimentando in qualche modo i propri interessi. Ed è in quest’ambito che l’arte può offrirci delle sollecitazioni preziose e condurre ad un’osservazione  attenta, che a volte produce delle sorprese assai gradite, permettendoci di cogliere la molteplicità di implicazioni presenti negli esiti dell’espressione artistica. Naturalmente per giungere a ciò è necessario aprirsi al confronto operando a più livelli con l’autore prescelto, cercando di scandagliare il vissuto della sua quotidianità fatta di scelte complesse e spesso problematiche, con situazioni animate da entusiasmi e sublimazioni ideali, ma cosparse anche di sofferenze e privazioni, di sacrifici notevoli richiesti per possedere e affinare le tecniche espressive appropriate, per individuare gli spunti tematici capaci di stimolare l’estro creativo, ed infine per elaborare le connotazioni stilistiche che rendono unica e irripetibile l’opera realizzata.

Cena da Emmaus

Un incontro stimolante. Un’opportunità di questo tipo si presenta a chi si reca a visitare l’atelier espositivo di Antonio Palama’, allestito da qualche anno a Galatina al civico 77 di Via Gallipoli. La possibilità di conoscere in profondità il percorso di vita di una persona che ha speso le sue potenzialità migliori dedicandole alla ricerca artistica, facendolo in modo esclusivo e totalizzante, è una prospettiva sicuramente meritevole di considerazione e rispetto. Oltre al piacere connesso alla contemplazione di risultati artistici che immediatamente catturano il nostro interesse, va anche messa in conto la gratificazione che si può trarre dal riuscire a disvelare le motivazioni che sono state alla base degli orientamenti estetici dell’artista e il finale appagamento che ha saputo conseguire. Sin dal primo contatto con l’autore si percepisce immediatamente l’intima soddisfazione che emana dal suo sorriso semplice e cordiale, consono ad una persona avvezza a trascorrere il suo tempo applicandosi in continuazione a coltivare le sue idee ispiratrici, passando nel rapido volgere del giorno dall’uso di un pesante martello da 5 kg, necessario per lavorare il ferro, ad impugnare un sottile pennello per apportare dei ritocchi pittorici su una tela. L’importante per lui in entrambi i casi è riuscire a “far parlare” il prodotto finito, con cui egli tende a stabilire una continua interlocuzione sia durante l’esecuzione che in tempi successivi, ricreando in sé tutte le suggestioni emotive che l’hanno generato e definito nella sua forma finale. “Le mie opere” egli afferma “sono per me come dei figli. Sono parte di me e mi permettono di rivivere i momenti e le situazioni più intense della mia vita”. E veramente chi si reca a contemplare i dipinti e gli arredi metallici esibiti nelle sale della sua esposizione avverte  chiaramente la sensazione che queste stanze costituiscano una specie di sacrario, che accoglie le testimonianze  più importanti di un’intera esistenza vissuta sotto il segno pervasivo dell’arte.

Bimba che legge

Formazione da autodidatta. Sicuramente insolita, per tempismo e circostanze, appare l’esperienza formativa di quest’artista-artigiano (usando il secondo termine nella sua accezione più nobile), un ultrasettantenne (nato a Galatina nel 1948) con qualche comprensibile acciacco fisico, ampiamente compensato da un giovanile entusiasmo, unito ad una tenace volontà di propositi. È evidente che, essendo in grado ormai di considerare in retrospettiva le proprie scelte di vita, egli abbia la piena convinzione di aver ben speso le proprie energie e le indubbie doti che si ritrova. Il rapporto diretto con l’autore riesce insieme distensivo e stimolante: da un lato si intuisce immediatamente di interloquire con una persona di indole delicata e sensibile, incline alla contemplazione estatica e meditativa, abituato ad affrontare la quotidianità con una sobrietà di modi ed un’umiltà quasi francescana, fatta di toni sommessi, di operatività industriosa e positiva, di ricerca costantemente rivolta ad esplorare e riprodurre la sostanza e i contorni delle sue aspirazioni ideali verso la bellezza.  È questo in sostanza il fine ultimo che la sua arte persegue, con la peculiare finezza di passione e sentimento che può albergare nell’animo di chi è sempre vissuto nella convinzione di essere in qualche modo predestinato a compiere le sue esperienze realizzative con dedizione assoluta. Con rassegnata ammissione, ma anche una punta di malcelato orgoglio, l’autore può rivendicare di essersi fatto da sé, prendendo spesso nella vita decisioni apparentemente avventate, ma tali da consentirgli di essere sempre attivo, di “operare sul campo” mediante l’apprendistato in diverse botteghe di valenti artigiani del paese natio e dintorni, anziché costruire la propria professionalità in modo più o meno teorico e sostanzialmente statico attraverso i libri di scuola o nei laboratori accademici. Egli rammenta con rammarico il suo ostinato rifiuto durante l’adolescenza di frequentare le lezioni scolastiche, che gli proponevano soltanto un sapere astratto e in definitiva alienante, che era agli antipodi della sua voglia di fare concretamente, usando le mani e gli elementi materici (la pietra, il ferro, il bronzo, e naturalmente la pittura), per pervenire ad un prodotto finito che potesse esprimere completamente la sua capacità creativa. Il risultato di tale percorso è stato il conseguimento della sola licenza elementare come titolo di studio, ma controbilanciato da una vasta esperienza e osservazione diretta in ambito artistico, in particolare nell’attività del ferro battuto e della pittura.

Ecce Homo

Vita da bohémien. Naturalmente il suo pervicace impegno, rivolto a conoscere ed assimilare gli aspetti sia strumentali che teorici delle sue competenze artistiche, è continuato anche dopo gli anni dell’adolescenza, quando l’autore ha potuto viaggiare, prevalentemente in Italia ma non solo, conducendo per alcuni periodi una vita assai precaria, quasi da bohémien, ricorrendo  a vari espedienti per sbarcare il lunario, ad esempio come artista di strada che disegnava ritratti per i turisti occasionali, oppure accettando di svolgere piccoli lavori umili e saltuari nelle città di passaggio. Tutto ciò era comunque finalizzato ad affermare la propria libertà di autodeterminazione, e soprattutto gli ha permesso di osservare dal vivo e fare proprie le peculiarità distintive delle opere più significative presenti nelle maggiori città e luoghi d’arte, come chiese, musei, pinacoteche e sale di esposizione. Da questo punto di vista bisogna dire che nascere e poter vivere in Italia è forse il privilegio massimo a cui un artista possa aspirare, dato che notoriamente il nostro paese ospita in sé oltre un quarto dell’intero patrimonio artistico prodotto da tutta l’umanità nella sua storia secolare. Tuttavia sappiamo bene che, come nessun individuo che sia minimamente civilizzato può vivere di solo pane, è anche vero il contrario, ossia che neanche si può vivere soltanto di idealità e valori estetici, per quanto elevati essi possano essere. E provvidenzialmente nel tempo una circostanza fortuita ha permesso all’autore di risolvere definitivamente i suoi problemi economici, trovando un impiego nella manifattura dei tabacchi, potendosi quindi dedicare all’arte per libera elezione e senza l’assillo di doverne trarre profitto ad ogni costo.

Filosofo che legge

Il richiamo dell’arte tra verità e bellezza. Grazie ad un duro noviziato l’autore ha pertanto potuto maturare le proprie convinzioni estetiche, che gradualmente hanno fatto emergere i capisaldi delle sue aspirazioni realizzative, incentrate su alcuni presupposti essenziali. Innanzitutto va segnalata la sua propensione a mantenere un legame profondo fra il vissuto quotidiano e l’espressione artistica, nel senso che nelle sue opere egli tende costantemente a preservare ed esaltare gli effetti prodotti dalle sue facoltà percettive, non solo in termini di ricettività sensoriale alimentata dagli elementi fisici che costituiscono le componenti fondamentali della bellezza (forma, luce, colore, ecc.), ma anche per quel che attiene alla sfera emozionale ed intellettiva, ossia i sentimenti, le passioni, gli slanci ideali, insomma le pulsioni più recondite su cui si fondano i valori più alti dell’agire umano. L’aspirazione ultima della sua arte si configura dunque come desiderio di eternare l’immediatezza dell’esperienza, sottraendola al logorio del tempo che tende a cancellare ogni traccia di ciò che è stato. Da questo scaturisce il suo intento di fissare sulla tela, o riprodurre mediante elementi materici, le sensazioni e i momenti più intensamente avvertiti e tesorizzati nel ricordo evocativo, per consegnarli alla custodia imperitura dell’espressione artistica, che li preserverà per la conoscenza e il diletto di occhi e menti future. Per quanto attiene invece alla determinazione dei contenuti tematici prediletti dall’autore, si può dire che ciò è avvenuto in maniera definitiva in un momento decisivo di svolta esistenziale, che per lui ha avuto poi esiti convintamente risolutivi. Egli racconta come, allorché si trovava in Grecia per uno dei suoi viaggi giovanili di studio e ricerca, una sera, mentre era rintanato della sua tenda da campeggio, gli capitò di udire la voce accorata di un giovane che si trovava poco distante da lui, il quale, tormentato e in crisi di astinenza, pregava Dio di farlo morire. L’impressione profonda di quell’invocazione alla morte produsse nell’autore l’effetto contrario di indurlo a comprendere a pieno il valore della vita, tanto da decidere di imporre a sé stesso il fine di dimostrare questa convinzione profonda attraverso l’arte con uno zelo veramente missionario. Da quel momento qualunque elemento di negatività fu bandito per sempre dal novero dei suoi soggetti artistici, per lasciare spazio soltanto ad espressioni di pacata acquiescenza al proprio destino, di accettazione dell’ordine provvidenziale della realtà che ci circonda, di fiducia nelle potenzialità positive del genere umano e nel rapporto stretto tra ricerca estetica e anelito mistico-religioso. Quest’ultimo aspetto emerge infatti in modo spontaneo e altamente significativo nelle sue opere, specialmente in quelle pittoriche, che rivelano una religiosità di fondo che conferisce un alone di trascendenza a molte delle figure umane e delle situazioni rappresentate.

Ancilla Domini

Sulle orme del passato. Come era facile prevedere, i suoi passi successivi sono stati costantemente rivolti non tanto ad esprimersi in maniera innovativa e dirompente rispetto al passato, bensì cercando di seguire un sentiero già tracciato da chi lo aveva preceduto, ripercorrendo le orme lasciate da personalità e movimenti artistico-culturali che sono considerati in assoluto come gli esempi più cospicui di ciò che l’arte abbia mai saputo concepire. Nel far ciò ovviamente l’autore si è mosso con criteri alquanto selettivi, concentrando il suo interesse prevalente su quei modelli di riferimento verso i quali egli avvertiva maggiore comunanza di vedute. Questo preciso discrimine ha quindi determinato e circoscritto la sfera di quelle che potremmo definire come le sue affinità elettive, in cui la tradizione classica è diventata preminente nello stabilire le sue scelte preferenziali. Partendo dalla ricchezza inventiva tipica della fase rinascimentale, l’autore è passato via via ad orientarsi anche verso il barocco e il neoclassicismo, per approdare in tempi successivi, a volte forse inavvertitamente, alla visione fantastica del sentire romantico e all’estetismo moderno. E’ possibile di conseguenza individuare nell’ampia produzione pittorica di A. Palamà questo coacervo di influssi che hanno sollecitato, ovviamente come punto di partenza, il suo impulso realizzativo. Naturalmente nelle fasi esecutive l’autore ci ha messo del suo mediante elementi e dettagli che rispecchiano il suo gusto personale (velature di colore, modifiche di prospettiva, gestualità e condizioni posturali dei soggetti, effetti particolari di luce), dando caratura distintiva e taglio differenziante a ciò che inizialmente proveniva dall’impatto generico e improvviso con opere preesistenti.

Tavolo in ferro battuto e marmo azzurro delle Ande

Volendo esemplificare quanto detto, potremo segnalare gli echi palesemente caravaggeschi presenti nella “Cena di Emmaus” (fig. 1), oppure gli influssi della ritrattistica di scuola fiamminga nel “Filosofo in meditazione” (fig. 2). Altrettanto evidenti risultano i richiami alla rappresentazione del Cristo come elaborata da P. Paul Rubens in “Ecce Homo” (fig. 3), o le suggestioni della scuola Pre-raffaellita di Dante Gabriele Rossetti, in particolare la concezione estatica e sognante della figura femminile come espressa nella Madonna di “Ancilla Domini” (fig. 4). Sul versante più modernista possiamo segnalare l’impronta espressionista presente nell’immagine scavata e macilenta del “San Girolamo” (fig. 5), mentre un tocco di impressionismo reso con macchie di colore possiamo trovare in opere di più recente esecuzione, come la “Bimba che legge” (fig. 6). Occorre comunque ribadire che la motivazione che anima l’autore non è la volontà di comparire, asserendo le proprie qualità e cedendo all’autoesaltazione, una tendenza assai frequente negli artisti. Si deve invece riconoscere una piena consapevolezza del grande impegno da lui profuso per articolare compiutamente la sua capacità di visione concettuale, una connotazione innegabile che si accompagna ad una comprensibile aspirazione a poter in qualche modo splendere di luce riflessa. È questo il traguardo che egli ha inteso raggiungere proprio accostandosi ai grandi del passato, un risultato constatabile con effetti indubbiamente lusinghieri.

Intarsi in marmo

La produzione in ferro battuto. Se si chiede all’autore quale sia la sua preferenza tra l’attività pittorica e quella in ferro battuto, la risposta è immediata: “Per me sono due modalità espressive che vanno di pari passo, e si integrano vicendevolmente con risultati apparentemente diversi, ma sostanzialmente simili e complementari”. Ciò che di fatto le accomuna è l’idea di perseguire il bello attraverso il processo di realizzazione del prodotto artistico, in modo tale che il risultato finale riesca significativo, colpisca l’osservatore, lo induca a pensare, e agisca sulla sua capacità di avvertire delle emozioni. E purtuttavia non sarebbe improprio considerare le opere in ferro battuto, se non decisamente più originali come concezione e sviluppo rispetto alla pittura, almeno  come maggiormente capaci, grazie alla diversa consistenza materica, di porre in evidenza alcune particolari qualità di precisione ed eleganza geometrica. Tali aspetti risultano particolarmente interessanti, in quanto pongono in risalto alcune potenzialità peculiari dall’autore, potendo peraltro anche giovarsi di alcuni tratti esornativi tipici del barocco leccese, che indubbiamente riescono a stimolare il suo estro inventivo. Lo si può vedere nella maestosità del tavolo riprodotto in fig. 7 (da notare lo splendido ripiano in marmo celeste proveniente dalle falde del monte Machu Picchu in Perù), oppure l’altro esemplare ancora più imponente che sostiene un magnifico top concepito come un prezioso florilegio di intarsi marmorei (fig. 8). A dimostrazione di come anche la materia più dura possa essere resa duttile e capace di prestarsi a suggestioni impreviste e originali, possiamo osservare il manufatto in ferro identificato col titolo “In cammino” (fig. 9), che riproduce le parti inferiori di due gambe che sembrano in movimento di naturale andatura, ma sono sovrastate da una serie di nodi intricati. Nella sua apparente stranezza quest’opera può essere considerata come un espediente, singolare ma sicuramente efficace, che l’autore adopera per inviarci un messaggio altamente significativo, ossia che è possibile, forse anche utile o necessario, camminare sulle proprie gambe, ma prima vi sono dei pesanti nodi da sciogliere, per poterlo fare in modo libero e disinibito.

Invito alla condivisione. Mi è già capitato in altre occasioni di pronunciarmi sull’importanza dell’arte e sull’effetto sublimante che si può conseguire mediante l’esperienza artistica, che può essere figurativa, musicale, poetica e via dicendo. Ma a conclusione  di questo breve profilo dell’autore, di cui ho cercato di evidenziare alcuni tratti essenziali, ritengo importante riaffermare l’idea che, nelle sue manifestazioni più autentiche, la fruizione dell’arte non è mai semplice intrattenimento o gradevole svago, ma permette di esplorare i recessi più nascosti del cuore umano, per dare senso al nostro vivere, per risolvere, o almeno appianare, i dubbi e le inquietudini della nostra quotidianità. Due cose non vanno comunque dimenticate. La prima è che l’espressione artistica, in qualunque forma, è l’unica attività umana che è capace di parlare un linguaggio veramente universale, comprensibile per chiunque, a dispetto di ogni differenza di razza, nazionalità, cultura, religione, ecc. La seconda è la piena convinzione che anche la soggettività distintiva, con cui apparentemente l’opera artistica può essere differentemente  interpretata e vissuta, può in realtà costituire un prezioso collante tra persone diverse, che in tal modo possono comprendersi meglio e coesistere. Donde l’invito alla condivisione e alla constatazione diretta del prodotto artistico, che sicuramente riuscirà coinvolgente per l’osservatore, e gratificante per colui che l’ha realizzato. Perciò mi è gradito riportare in chiusura un pensiero espresso, o comunque fatto proprio, dall’autore, che ho trovato riprodotto ed esposto tra le opere del suo atelier. Un epitaffio a ulteriore conferma di aver conosciuto in Antonio Palamà una persona buona, aperta al contatto, innamorata del suo lavoro, e capace di porre a frutto con gioia tutti gli stimoli che l’arte può offrire:

 

“Quando compri qualcosa da un artigiano,

non compri soltanto un semplice oggetto

ma ore di esperimenti e prove,

compri momenti di sacrificio,

di frustrazione e gioia;

compri un pezzo del suo cuore e della sua anima

e tutto il tempo occorso

per realizzare la sua passione

e il tuo piacere”.