INCERTA PREMUNT
La fine della Pax Americana genera inquietudini e impone un nuovo codice etico
di Giuseppe Magnolo
Election year. Viviamo in tempi di grande incertezza. Il 2024 sarà il più grande periodo elettorale della storia. Andranno alle urne oltre 4 miliardi di persone, circa il 54 % della popolazione mondiale, in 76 paesi che rappresentano quasi il 60 % del PIL globale. Ci saranno elezioni in 43 paesi. Fra questi il Bangladesh, Taiwan, gli Stati Uniti, l’India, l’Indonesia, il Pakistan, il Sudafrica, il Messico, l’Unione europea e persino regimi autocratici come la Russia e l’Iran.
Le correnti nazionaliste e populiste in corso da anni complicano il quadro politico generale e avranno implicazioni di lungo termine per i singoli paesi e per lo scenario economico globale. Questa situazione di marcata incertezza e instabilità ovviamente verrà avvertita dai mercati mondiali, rendendo i titoli di borsa assai volatili, con conseguente problematicità per gli investitori sul medio e lungo periodo.
Le elezioni più grandi si terranno in primavera in India, paese con 1.6 miliardi di abitanti, ma quelle più importanti saranno le presidenziali negli Stati Uniti. Trump, ormai indiscusso candidato per il partito repubblicano, è avanti nei sondaggi e la sua eventuale affermazione cambierebbe radicalmente le prospettive della guerra in Ucraina e in Medio Oriente, le relazioni con i paesi europei e con la NATO. Sul fronte avverso i democratici scontano una scarsa convinzione sulla riconferma dell’anziano Joe Biden, ma potrebbero trovare un nuovo propellente in qualche candidato eccellente. Se il paese capofila come referente di un auspicato ordine mondiale presenta queste difficoltà di assetto interno e di relazione internazionale, immaginiamo quanto sarà complicato gestire i problemi a livello di singoli stati.
Ansia da stress elettorale. Numerosi studi medici in diversi paesi del mondo mostrano come durante i periodi elettorali aumenti negli elettori la produzione sia di testosterone che di cortisolo, due ormoni che generano aggressività, cattivo umore, ansia e depressione. Gli effetti negativi della chiamata alle urne dipendono dal grado di polarizzazione del quadro politico del paese, così come dalle tensioni geopolitiche internazionali. Anche il sistema elettorale può risultare rilevante. Si presume che un sistema proporzionale puro generi meno ansia di uno uninominale o di uno con un forte premio di maggioranza, ma di fatto il contenzioso tocca un po’ tutti.
Più ambiguo è il ruolo giocato dal livello di partecipazione alle urne. Da un lato l’astensionismo delegittima in qualche modo i risultati elettorali e quindi può accrescere le tensioni, ma dall’altro può essere un indice di disinteresse per la politica. La crescita dell’astensionismo di fatto nuoce alla rappresentanza democratica, anche se gioca a favore della salute mentale e fisica degli elettori.
La recessione democratica. In un mondo sempre più polarizzato e diviso come quello attuale, assistiamo a una lenta ma progressiva “recessione democratica”, in cui il numero di regimi autocratici è andato aumentando nell’ultimo decennio. Nel 2023 il problema si è ulteriormente acuito in tutte le regioni per motivazioni sia economiche che geo-politiche[1]. Sono oramai tredici anni che il numero di stati che possono essere considerati democratici è in calo. Anche la qualità dei diritti politici e delle libertà civili garantiti dagli stati cosiddetti democratici ha subito un netto peggioramento o è sotto attacco[2].
Eppure, dopo la seconda guerra mondiale e soprattutto dopo la caduta dell’impero sovietico, i regimi democratici sembravano aver vinto la loro secolare battaglia. Secondo Freedom House[3], la percentuale di paesi che possono considerarsi democratici (in termini di diritti politici, civili, economici, di opinione e così via), dopo essere cresciuta dal 35 al 48 per cento fra il 1987 e il 2007, si è ridotta al 45 per cento negli ultimi dieci anni. Paesi come la Turchia, il Venezuela, Ungheria e la Polonia, che sembravano avviati a diventare solide democrazie, hanno conosciuto un drastico peggioramento negli ultimi anni.
Numerosi sono gli esempi di recente aggravamento del clima politico e civile. Si pensi alla Tunisia, unico paese uscito dalla primavera araba con un assetto più libero: negli ultimi anni è stata costretta a rinviare più volte le elezioni locali, ha visto prevalere il potere esecutivo su quello legislativo e i media hanno subito crescenti intimidazioni. Lo stesso vale per altri stati come il Gabon, l’Ucraina, il Messico, le Maldive e Malta. Persino i paesi asiatici, che avevano mostrato un netto miglioramento dei loro standard, hanno visto una drastica inversione di marcia.
La caduta dell’egemonia americana. I segnali più preoccupanti, tuttavia, provengono dagli Stati Uniti, per molti decenni considerato paese leader dei valori democratici. Sia Freedom House che The Economist Intelligence Unit[4] da qualche tempo non assegnano più un punteggio pieno agli Usa. La tendenza è iniziata sotto l’amministrazione Obama, benché più di recente abbia conosciuto un netto peggioramento. La minore fiducia nelle istituzioni, la presenza di problemi nei meccanismi elettorali, il corso della giustizia penale, la condotta etica della classe dirigente e, in particolare, del presidente Trump in termini di conflitti d’interesse, trasparenza e attacco ai media, spiegano la caduta. La leadership americana nel mondo è in calo ovunque[5].
Ma il decremento dell’egemonia americana non è stato accompagnato da una maggior presenza delle altre economie liberali – in particolare Europa e Giappone – bensì da un aumento dell’attivismo di due paesi tradizionalmente autocratici come la Russia e la Cina. La prima ha cercato di interferire nelle ultime elezioni americane, francesi, tedesche e, forse, italiane, supportando i partiti xenofobi, ha minacciato o invaso i paesi confinanti e ha sostenuto militarmente alcuni regimi autoritari in Medio Oriente.
Le ambizioni egemoniche della Cina sono ancora più globali, e il suo notevole potere economico è la sua arma migliore. Ma la recente decisione di abolire il limite di eleggibilità del presidente, lo stretto controllo statale sui social network nazionali e la repressione dei dissidenti residenti all’estero, rendono assai improbabile un passaggio dell’autocrazia cinese verso un sistema più democratico. Insomma il modello cinese è una realtà di grande potenza economica e finanziaria, ma non è esportabile a livello globale, anche perché manca di una flotta adeguata. Massimo sfidante degli Stati Uniti, oggi l’Impero di Mezzo non controlla neppure un mare rivierasco, come dimostra la sua incapacità di conquistare Taiwan[6]. Il vecchio adagio “Chi governa il mare, governa il mondo” è ancora valido, per cui la Cina rimane per ora in una dimensione solo continentale, anche se può giovarsi della “Via della Seta” per i traffici commerciali.
La situazione dell’Italia. L’Economist ha recentemente pubblicato il Democracy Index, che misura il livello di democrazia di 167 paesi nel mondo, un compito analogo a quello svolto dall’associazione statunitense Freedom House. La situazione politica globale dimostra come la democrazia possa assumere diverse sfumature e avere differente intensità a seconda di come viene applicata. L’indice dell’Economist, con valori da 1 a 10, divide i paesi in quattro gruppi, a seconda del grado di democrazia: 1. democrazia piena; 2. democrazia imperfetta; 3. regime ibrido; 4. regime autoritario. L’indice è composto da cinque categorie, la cui media costituisce il valore generale: 1. processo elettorale e pluralismo; 2. funzionamento del governo; 3. partecipazione politica; 4. cultura politica; 5. libertà civili.
Dal punto di vista degli assetti istituzionali il nostro paese registra un valore molto alto (9.58) per quanto riguarda il processo elettorale e il pluralismo. Il punto debole dell’Italia è invece il funzionamento del governo. La partecipazione democratica e la cultura politica sono fiaccate da un’ulteriore perdita di fiducia verso le istituzioni. Anche il dato sulle libertà civili non è incoraggiante: escludendo la Turchia, l’Italia ha il peggior punteggio della regione nella categoria ed è l’unico paese a segnare un valore inferiore a otto. Il nostro paese è indicato come democrazia imperfetta, insieme a Malta, Belgio, Cipro e Grecia.
Pur avendo subìto un regime totalitario nel XX secolo, l’Italia ha conosciuto 70 anni di democrazia e, tramite la sua Costituzione, garantisce da decenni la possibilità di eleggere liberamente un parlamento, di associarsi in partiti, di partecipare attivamente alla costruzione del benessere collettivo della nazione. I risultati deludenti dell’indice, però, evidenziano come siano necessarie varie consuetudini sociali, oltre a un articolato sistema normativo, per fare in modo che la democrazia formale si traduca in democrazia sostanziale.
Nelle ultime elezioni politiche del 2022 la coalizione di destra guidata da FdI ha ottenuto una solida maggioranza parlamentare e può quindi proseguire abbastanza tranquillamente la sua specifica agenda. Il governo attuale è guidato dalla prima Presidente del Consiglio donna. L’Italia adesso ha il governo più di destra dalla fine della seconda guerra mondiale, anche se gli analisti politici tendono a ridurre a puro folklore alcune celebrazioni neofasciste, come quella romana di Via Acca Larentia (7 gennaio 2024)[7]. Il governo Meloni ha inizialmente adottato una posizione moderata (motivata in parte dal desiderio di assorbire i fondi UE disponibili), ma il suo mandato era per una posizione di destra più dura e potrebbe tornarvi sotto la pressione dei suoi partner di coalizione. Il tentativo di approvare una legge sul premierato, per quanto velleitario, è da ascrivere tra i dettami dell’originario programma elettorale.
Sul piano più generale il nostro paese sconta la persistenza di tre problemi fondamentali, tutti di grande peso: un enorme debito pubblico con tendenza assai lontana dal rientro; un divario sociale sempre più marcato ed allarmante per la tenuta istituzionale; un tasso elevatissimo di evasione fiscale, che condiziona le risorse pubbliche con effetti paralizzanti in molti settori. Purtroppo la democrazia non è data una tantum, ma richiede un impegno continuo e consapevole da parte di tutti coloro che vogliono salvaguardarla[8]. Come dice lo storico Antonio Scurati con efficace metafora, più che ad una quercia altissima con solide radici, la democrazia è assimilabile ad una vite, una pianta assai fragile che richiede cura costante, amore e dedizione per poter dare il suo prezioso frutto[9].
La perdita dei valori. Il problema più grande che la civiltà del terzo millennio si trova ad affrontare è la definizione di un nuovo codice etico, che soppianti qualunque prospettiva egoisticamente nazionalista ed abbia valore universale. Il mondo moderno è dominato dalla tecnica, che ha permesso all’uomo di primeggiare sulla realtà naturale grazie al suo ingegno. Ma a lungo andare l’uso scriteriato di questa prerogativa ha decretato la fine del predominio dell’uomo sulla natura a causa degli irreparabili guasti ambientali che continuamente avvelenano parti sempre maggiori del pianeta con effetti ormai irreversibili. In tal modo l’uomo ha finito col diventare schiavo della tecnica, che essendo in continua evoluzione, non ha un fine ultimo, ma funziona solo per produrre risultati, riducendo l’umanità all’impotenza.
La tecnica non aspira alla verità né apre scenari di salvezza. Di conseguenza l’uomo tecnologico è ridotto a “un viandante privo di valori e di una meta ultima”, ed è sollecitato ad adattarsi in continuazione, mentre tutto ciò che un tempo gli ruotava attorno dandogli certezze è diventato relativo: la casa, la patria, l’amore, la verità, la salvezza. Inoltre, in questo processo che ha reso tutto precario, l’uomo occidentale si è accorto che la pretesa di imporre il suo modello di civiltà a livello planetario è un fallimento, sia perché questo tentativo è respinto da altre forme di civiltà che hanno radici e sviluppi diversi dai nostri e non meno difendibili, ma anche perché, se generalizzato in tutto il pianeta, il modello occidentale significherebbe la fine della vita sulla terra[10]. Come afferma il filosofo Umberto Galimberti, occorre accettare il fatto che la terra non appartiene all’uomo, che finirebbe col distruggerla, ma appartiene alla natura, che esige rispetto per l’ambiente e fraterna accettazione verso tutti gli esseri umani, di qualunque razza e colore:
“La fraternità, che è alla base dell’etica cosmopolita, proibisce di uccidere, mentre l’etica dello stato limita questo solo all’interno dei propri confini. […] L’etica cosmopolita ritiene che i beni della terra sono a disposizione dell’intera umanità […] e impone di rispettare la vita in tutte le sue forme, comprese le condizioni essenziali che la rendono possibile come l’aria, l’acqua, la flora, la fauna, l’atmosfera, di cui gli stati non si sono mai occupati.”[11]
Dunque l’etica del superamento statalista fa un salto di qualità, perché estende la fraternità a tutte le cose animate e inanimate che ospita la natura, seguendo il modello originario di Francesco d’Assisi, che nel Cantico delle Creature chiamava “sorella” l’acqua e la luna, e “fratello” il vento e il sole. Solo quando una nuova morale, così motivata ed inclusiva, riuscirà a permeare di sé la coscienza individuale, potrà finalmente tradursi in azione collettiva, sino a condizionare anche la politica e indurla ad abbandonare obiettivi utilitaristici di breve respiro, che a lungo andare condannano all’inconcludenza.
[1] Si veda GIULIANO AMATO (a cura di), La democrazia nel XXI secolo, Guidonia Montecelio (RM), Istituto della Enciclopedia Italiana, 2022.
[2] Vedi al riguardo MANLIO GRAZIANO, Disordine mondiale: Perché viviamo in un’epoca di crescente caos, Milano, Mondadori, 2024.
[3] Freedom House è un’organizzazione internazionale con sede a Washington, D.C., che svolge attività di ricerca e documentazione su democrazia, libertà politiche e diritti umani.
[4] The Economist Intelligence Unit (EIU) è un’agenzia britannica con sede a Londra che fornisce servizi di consulenza politico-economica, analisi di mercato e rischi industriali su tutti i paesi del mondo.
[5] Cfr. LUCIO CARACCIOLO, “The end of history”, in La pace è finita, Trebaseleghe (PD), Feltrinelli, 2022, pp. 19-30.
[6] Circa l’efficacia strategica della potenza marittima cinese si veda DIEGO FABBRI, “Dalla terra al mare”, in Geopolitica umana: Capire il mondo dalle civiltà antiche alle potenze odierne, Milano, Ed. Gribaudo, 2023, pp. 157-176.
[7] Sul perdurare del retaggio fascista in Italia vedi SERGIO RIZZO-ALESSANDRO CAMPI, L’ombra lunga del fascismo, Perché l’Italia è ancora ferma a Mussolini, Milano, Ed. Solferino, 2022.
[8] Cfr. LUCIANO VIOLANTE, “I doveri sono il costo della democrazia”, in La democrazia non è gratis: I costi per restare liberi, Venezia, Ed. Marsilio, 2023, pp. 101-122.
[9] Vedi ANTONIO SCURATI, Fascismo e populismo, Firenze-Milano, Bompiani, 2023, pp. 90-93.
[10] Cfr. FRANCO CARDINI, “Le radici perdute dell’Europa e il destino incompiuto dell’Occidente”, in La deriva dell’Occidente, Bari-Roma, Laterza, 2023, pp. 81-106.
[11] UMBERTO GALIMBERTI, L’etica del viandante, Milano, Feltrinelli, 2023, pp. 57-59.