J’Accuse

J’Accuse, l’affaire Gioacchino Toma

Un grido d’allarme in difesa delle due tele di Tricase 

di Massimo Galiotta

Mater Divinae

I dipinti datati 1853 e 1854 (SS. Cosma e Damiano e il Mater Divinae Gratiae) versano in cattive condizioni di conservazione, si rende urgente un intervento di restauro per le due opere risalenti al periodo in cui il pittore, ancora adolescente, visse nella cittadina di Tricase.

Nel numero di Rinascenza Salentina del maggio 1933 Nicola Vacca, giornalista e storico dell’arte, dedica un saggio breve su tre opere giovanili di Gioacchino Toma conservate a Galatina presso una collezione privata[1], quella della famiglia De Riccardis. Siamo all’indomani di importanti monografie sull’artista, quella datata 1924, del pittore ed esegeta di Toma Ezechiele Guardascione, “Ediz. Laterza, Bari”, e quella del 1933 di Michele Biancale, “della Società Editr. di «Novissima», Roma”, tuttora riferimenti importanti, insieme al libro di De Rinaldis del 1934, “A. Mondadori Editore, Milano”, per quanti si avvicinino allo studio dell’opera tomiana.

A pochi mesi di distanza, siamo nel settembre 1933, sempre sulla stessa rivista, e sempre per opera di Vacca, coadiuvato nelle ricerche dal pittore Temistocle De Vitis[2], è pubblicato un importante articolo che fa luce sull’opera giovanile di Toma e sulla sua lunga permanenza nella città di Tricase[3], alla quale l’artista non fa mai cenno nei suoi Ricordi, a mio avviso volontariamente, ma questa è un’altra storia. Torniamo ai fatti. Il lungo soggiorno tricasino ipotizzato da Vacca ha ragion d’essere nei numerosi incarichi ricevuti da Don Pasquale Piri, una sorta di suo mecenate, cugino della zia che ospitava il giovane pittore, e dalla committenza a lui vicina. Tra le opere cui Vacca fa riferimento, ci sono: un “affresco sul portale esterno della Chiesetta di Loreto[4], situata sull’omonima via campestre che da Tricase conduce a Marina Serra; alcuni dipinti non firmati presso privati e due importanti tele, due pale d’altare, custodite “nella Chiesa degli ex Domenicani in Tricase”. La storia di queste due tele non finisce qui ma continua e, vent’anni più tardi, siamo nel mese di luglio del 1953, attirano l’attenzione di un noto pittore salentino, Vincenzo Ciardo. In quell’anno l’artista firma un articolo, comparso sul periodico culturale Brvtivm[5], dal titolo “Originalità precoce di Gioacchino Toma”. Un reperto raro che ho ritrovato nella Biblioteca Universitaria di Napoli, meritevole, al più presto, di essere oggetto di una riedizione, perché la memoria non si perda e la storia non divenga leggenda. Nel suo sopralluogo, Ciardo, è molto probabile fosse accompagnato dall’amico e poeta di Lucugnano Girolamo Comi – sono gli anni dell’Accademia Salentina e della rivista “l’Albero” – o almeno così mi piace immaginarli, tutt’e due a spasso per le vie del centro storico di Tricase, alla ricerca di Gioacchino Toma e parlando di cultura salentina. Gli anni scorrono via frettolosi, da quel giorno ne sono trascorsi ben sessantasei – scrivo il 2 ottobre 2019 – e da come leggo nel suo articolo, il pittore di Gagliano del Capo non accenna a danni evidenti, anzi, sembrerebbe che all’epoca di Ciardo, per le due tele, non vi fossero problemi conservativi. Eppure dalla loro realizzazione era già trascorso esattamente un secolo. Ma il 30 settembre 2019 è oggi, o così possiamo definire il giorno in cui mi sono recato, nelle vesti di visitatore, nella Chiesa di San Domenico in piazza Pisanelli a Tricase. A centosessantasei anni di distanza dalla loro realizzazione le due pale d’altare patiscono l’abbandono dovuto alla non valorizzazione del patrimonio artistico territoriale locale e nazionale, e di ciò il nostro Paese spesso ama fregiarsi. Ho raggiunto l’antica città feudale dei principi Gallone per visionare le due opere del giovanissimo Gioacchino Toma, dando in questo modo sostanza visiva ai testi letti, ossia unendo alla conoscenza teorica anche quella empirica; e soprattutto per comprendere cosa intendessero dire Nicola Vacca e Vincenzo Ciardo nei loro contributi storici, almeno questo era il mio intento iniziale. Recandomi sul sito ho colto il senso di numerosi dettagli dell’agire di Toma, di alcuni ero già certo, mentre per altri ho avuto conferma visitando il luogo; ma su tutto sono stato colpito dal precario stato di conservazione in cui si trovano attualmente le due opere giovanili del noto pittore galatinese.

Contrariato dalla situazione, faccio le considerazioni del caso e decido di telefonare a una mia conoscenza, l’esperto Cesare Spaggiari, noto consulente in Arte e Restauro che vive e opera a Castel Gandolfo, il suo studio è a due passi dalla Casa Pontificia Vaticana, al quale chiedo una collaborazione in nome dell’Arte; la redazione di una relazione tecnica specifica, un’expertise, riguardante lo stato conservativo e gli interventi di restauro di cui le due tele necessiterebbero. Con accento squisitamente emiliano, Spaggiari è originario di Parma, accetta di buon grado la mia richiesta e, analizzando attentamente il materiale fotografico[6], dopo alcuni giorni scrive: «Caro Massimo, Le allego la breve nota tecnica sul restauro auspicabile delle due opere di Gioacchino Toma. Come testimonianze certe della prima attività pittorica dell’artista credo sia raccomandabile un recupero corretto delle due tele. Nel caso Le siano utili altre informazioni (tempi e costi prevedibili per il lavoro di restauro) mi consideri senz’altro disponibile, senza alcun impegno. Cordialmente, Cesare Spaggiari».

 

E nell’allegato continua: «A giudicare dalle foto e dalle informazioni ricevute le due tele, in cattivo stato di conservazione, fanno parte del ristretto numero di opere certe di Gioacchino Toma non ancora ventenne recuperate e pubblicate da Nicola Vacca nel 1933. I due dipinti tradiscono uno stile immaturo di manierismo scolastico e una tecnica pittorica ingenua e affettata[7]. Nondimeno data l’importanza storica dei quadri, rimasti nella loro collocazione originale come preziose prove pittoriche del primissimo Gioacchino, essi meriterebbero senz’altro un corretto intervento di restauro a scopo sia conservativo che estetico. (Nel caso le opere siano notificate e schedate, è necessario agire con la autorizzazione e supervisione della Soprintendenza MiBAC di zona). I danni e degradi rilevati dalle fotografie appaiono i seguenti:

Per “S.S. Cosma e Damiano” (tela ovale entro cornice in stucco bianco):

Santi Cosma e Damiano

– una lacerazione della tela nella parte alta a destra

– un’altra lacerazione nella parte bassa

– distacco dei bordi lacerati dalla chiodatura lungo quasi tutto il perimetro dell’ovale

– cadute di colore nella zona bassa

– tela non tesata con pieghe e ondulazioni

– superficie pittorica opaca e sporca

Per “Mater Divinae Gratiae” (tela rettangolare entro cornice in stucco bianco parzialmente dorata):

Mater Divinae

– alcune piccole lacerazioni della tela in coincidenza con la traversa del telaio

– distacco dei bordi lacerati dalla chiodatura lungo tutto il perimetro

– scolature biancastre sulla superficie pittorica

– tela non tesata con pieghe e ondulazioni

– superficie opaca e sporca».

Il testo della lunga relazione continua aprendosi, in linea generale, a un progetto di restauro corretto che comporterebbe, per le due tele, «le seguenti operazioni principali […][8]».

Gioacchino Toma, parliamo di dati oggettivi, per chi ne trascurasse l’importanza, è il maggiore che il Salento possa annoverare tra i suoi pittori illustri, con Giuseppe De Nittis è il maggiore dei pugliesi, e dell’Ottocento meridionale è senza dubbio colui il quale ha meglio rappresentato in arte il modello letterario verista. Come Giovanni Verga in letteratura, Toma dovrebbe essere un cardine dell’Arte in grado di rendere in immagini la narrativa realistica dell’Ottocento riportata in tutte le antologie, prodotte per le scuole secondarie di ogni ordine e grado; ma questa è solo la mia opinione e conta ben poco negli asset culturali del nostro “bel Paese”. Ebbene, se non si tiene conto di questo mio ultimo pensiero, ma si considerano solo i dati oggettivi: «come possiamo permetterci il rischio di perdere per sempre un pezzo così importante della nostra storia?». Allo stato conservativo attuale, tra pochi anni, queste reliquie pittoriche saranno perse per sempre e non più stimolo a quanti, alla ricerca della propria identità, potrebbero in esse ricercarne il senso come in tanti hanno già fatto sino a oggi!

“J’accuse, l’affaire Dreyfus” ha ispirato un recente film di Roman Polanski, ma sui libri di letteratura studiati da ragazzo, era il titolo di un editoriale scritto da Émile Zola, il 13 gennaio del 1898, sul quotidiano parigino “L’Aurore”; un grido d’accusa sollevato dallo scrittore in difesa del capitano d’artiglieria Alfred Dreyfus condannato ingiustamente, per spionaggio, a scontare una dura pena in un penitenziario dei territori d’oltremare della Francia di fine Ottocento. Ma “j’accuse” è anche il grido che solleverebbe chiunque se ne intenda minimamente di Arte se vedesse le condizioni di degrado in cui si trovano i due dipinti[9] di Toma custoditi a Tricase, una condanna per le due tele scontata ingiustamente in una chiesa della Diocesi di Ugento e che, per la loro rilevanza culturale[10], non meritano di patire. Un “affaire” storico-artistico di portata nazionale ed esige lo sguardo della Regione Puglia e, al più presto, di un intervento del Ministero dei Beni Culturali (MiBAC) per salvaguardare la conservazione dei due preziosi dipinti, una rarità nell’opera del Nostro pittore, che non appartengono a Galatina, Tricase o Ugento, ma alla storia di tutti noi, salentini, pugliesi e italiani.

[1] «Sento il dovere di esprimere pubblici ringraziamenti all’illustre mio amico pittore Angesilao Flora che mi segnalò i dipinti del Toma e al Notar Marino De Riccardis da Galatina che me li affidò». [Cit. da Nicola Vacca in L’adolescenza di Gioacchino Toma – Da dipinti inediti, Rinascenza Salentina, anno 1, n.3, Mag-Giu 1933, XI-XII, pp. 113-117].

[2] «Mio collaboratore prezioso, compagno nei miei sopralluoghi in Tricase è stato il fraterno mio amico Temistocle De Vitis, studioso ed esegeta del Toma, pittore destinato a sicure grandi affermazioni». [Cit. da Nicola Vacca in Ancora sull’adolescenza di Gioacchino Toma – Da altri dipinti inediti, Rinascenza Salentina, anno 1, n.5, Sett-Ott 1933, XI, pp. 225-233].

[3] «Dalle mie ricerche risulta che non lo zio paterno si sposò in Tricase ma invece lo zio materno, Francesco Strati da Galatina, che passò in matrimonio a Maria Antonia Piri il 12 giugno 1844 in Tricase. Presso i coniugi Strati-Piri furono raccolti dapprima Clementina e, credo dopo alcuni anni, Gioacchino e Salvatore Toma. […] Queste notizie sono confermate dalla concorde tradizione di tutti i discendenti esistenti in Tricase. Nessuno parla di un Toma, zio paterno di Gioacchino, sposato in Tricase. Comunque il soggiorno tricasino del Toma è certo: egli dimorò al N.16 dell’attuale via Umberto I, credo dopo la morte della nonna e il ritorno, o meglio la fuga, dall’Ospizio di Giovinazzo». [ibid.]

[4] L’affresco di Gioacchino Toma è un’opera ormai irrilevante ai fini di un corretto studio iconografico, infatti già Nicola Vacca nel 1933 scriveva: «E’ stato manomesso da qualche ritoccatore da dozzina». [ibid.]

[5] «A parte il fatto che il dipinto di Tricase rappresenti uno dei pochissimi esemplari di pittura sacra di Toma […] anticipa alcuni di quei dati essenziali della sua personalità, i quali diventeranno via via, sotto altro cielo, caratteri definitivi del discorso pittorico, soffuso e discreto che non si compiace di comode soluzioni chiaroscurali […] con quelle tonalità ariose e aristocratiche, quel costante controllo che suggerisce al pittore di non varcare mai i limiti del temperamento […]. Il quadro di Tricase dimostra che questo senso della misura, questo non voler dire mai più del necessario, sono in Toma dei fatti naturali, già avvertibili in lui prima ancora che un più maturo tirocinio tecnico e stilistico li consolidi definitivamente, affinandoli e spogliandoli delle ingenuità degli inizi». [Cit. da Vincenzo Ciardo, Originalità precoce di Gioacchino Toma, in Brvtivm, periodico culturale edito dalla Società Mattia Preti, R. Calabria, 1953].

[6] Ringrazio GiorgioPerrone®, novolese appassionato di fotografia, per le immagini prodotte durante il secondo sopralluogo del 5 ottobre 2019. L’amico spesso mi accompagna nelle mie ricognizioni sul territorio salentino – le foto sono state scattate nel pieno rispetto delle opere, del luogo Sacro in cui si trovano e a debita distanza dalle stesse, per mezzo di una macchina Reflex NIKON D7100 senza l’uso di flash, tempo di esposizione 1/50 Sec, LF 35 mm.

[7] C. Spaggiari: Affettata o scolasticamente manierista, non personale, imitativa di stili passati, genericamente oleografica […] tipica di chi deve trovare un suo stile ed è all’inizio della sua avventura pittorica.

[8] Per la relazione completa si prenda contatto direttamente con l’autore oppure con la redazione del periodico “il filo di Aracne”.

[9]  N. Vacca, Rinascenza Salentina, sett.-ott. 1933 (p.228), – SS. Cosma e Damiano. Pala d’altare nella Chiesa degli ex Domenicani in Tricase. Occupa la parte laterale sinistra del 2° altare, a sinistra entrando. È una tela ovale. Dimensioni : m. 1,80×1,20. E’ firmato. A.D. 1853, Giovacchino Toma dipinse. Per devozione di Raffaele Minutello.

 – Mater Divinae Gratiae. Tela centrale dell’altare suddetto. Dimensioni: m. 1,76×1,25. È firmato a destra in basso: G. Toma dipinse il 1854. [ibid.]

[10] «[] credo non si debba giudicare il valore artistico e storico di queste pitture religiose in rapporto alla coerenza col suo stile maturo, ma constatare che sono le prime prove di larga dimensione, condotte in autonomia da un diciassettenne []». [Cit. da Massimo Guastalla – Professore aggregato in Storia dell’Arte Contemporanea, Dipartimento Beni Culturali Università del Salento – in “Palizzi, Toma, Paliotti […] Le arti per lo spazio sacro tra Otto e Novecento nell’Italia meridionale, atti del convegno di studi, Vallelunga, ottobre 2015].