Lettera a Sharon, l’israelita

di Rino DUMA 

Premessa

Questo scritto nasce come risposta all’articolo di una signora israelita, di nome Sharon, pubblicato su un giornale nazionale a grande tiratura, dopo gli orrendi avvenimenti dello scorso anno nella tormentata Palestina, in cui furono uccisi tre giovani studenti ebrei e, in conseguenza dell’immediata rappresaglia israeliana, oltre duemila palestinesi, di cui molti bambini, intrappolati senza scampo nella striscia di Gaza.

La durezza e l’irriverenza del linguaggio usato nel descrivere i fatti e nell’osannare la reazione israeliana contro la popolazione inerme, nonché l’arroganza con cui la signora Sharon ha espresso il suo pensiero, mi hanno procurato un profondo turbamento interiore e fatto riflettere a lungo sul perché episodi così cruenti e inumani continuino ad accadere con una certa regolarità in quella terra martoriata tra il silenzio inquietante e compiacente delle grandi potenze.

L’elemento che mi ha maggiormente indignato è rappresentato dall’odio sviscerato dell’anzidetta signora contro la popolazione palestinese, colpevole, a suo dire, di essere ospite sgradito e incomodo di un territorio che da sempre è “appartenuto” al popolo ebraico.

Tutto ciò mi ha profondamente segnato e indignato.

Nei suoi confronti userò il linguaggio fermo e incontrovertibile che la Storia, quella vera, ci ha insegnato e che lei o non ha mai conosciuto o, volutamente, ha dimenticato.

Lettera

Gentile sig.ra Sharon,

sicuramente non basteranno le mie parole per farle cambiare idea e farle vedere la realtà con occhi diversi dai suoi. Per arrivare a tanto sarebbe opportuno che lei andasse a rileggere con molta attenzione la storia ebraico-palestinese degli ultimi cent’anni, che andasse ad indagare sulle vere origini dello stato di Israele, sorto dal nulla, solo per il capriccio (ma anche convenienza) degli Usa, della Russia e di altri stati occidentali (tra cui l’Italia) e, in parte, anche della Gran Bretagna, che intesero donarvi la tanto amata “Terra Promessa”, dopo l’infame e orrendo olocausto nazista.

Tanto per svegliarle la memoria e fornire le opportune notizie a coloro che, come lei, ancora hanno una certa confusione sull’argomento, mi permetto di fare un breve excursus storico, partendo dal 1920, quando la Palestina era governata dalla Gran Bretagna, su mandato ottenuto dalla Società delle Nazioni, per preparare i residenti ad un futuro autogoverno.

In quegli anni avvenne un accadimento molto importante. Il segretario inglese per gli affari esteri, Arthur Balfour, fece un’epica dichiarazione, con la quale esprimeva il buon proposito britannico per l’istituzione in Palestina di una Casa Nazionale per la gente ebraica, ed assicurava, nel contempo, che nulla sarebbe stato fatto per pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche già esistenti in Palestina.

Da quel momento, l’immigrazione degli ebrei dall’Europa verso quella terra aumentò radicalmente.

Gli arabi di Palestina accusarono un certo nervosismo sempre più incontenibile di fronte a tale massiccio e preoccupante flusso migratorio, poiché lo ritenevano come una grossa minaccia alla loro identità e una pericolosa intrusione di gente straniera, per giunta di religione diversa, nella loro terra.

Scontri sanguinari tra le due comunità iniziarono già a verificarsi durante gli anni ’20.

Il risentimento arabo costrinse il governo britannico ad abbandonare il piano per la suddivisione della Palestina in settori arabi ed ebraici, arrivando a limitare seriamente l’immigrazione ebraica.

Alla luce di questi nuovi fatti, i britannici decisero di abbandonare il vecchio progetto e di istituire unicamente un governo arabo, come giusto premio a questa popolazione, per diversi anni assoggettata all’impero ottomano. All’interno dello stato arabo si sarebbe stabilita, poi, una limitata entità ebraica.

Apriti cielo! Ora erano gli ebrei a sentirsi oltraggiati e ad impegnarsi con ogni energia per abbattere questo ‘infame’ programma. L’inaspettato voltafaccia inglese determinò diverse scaramucce con i residenti, sino a sfociare in veri e propri assalti da parte ebraica, a cui non mancarono dure reazioni palestinesi.

Con lo scoppio della 2^ guerra mondiale, un altro fatto di rilevante portata fece cambiare, ancora una volta, le carte in gioco. Gli ebrei di tutto il mondo appoggiarono apertamente ed economicamente gli Usa e la Gran Bretagna, mentre i palestinesi l’asse Germania-Italia-Giappone. Da quel preciso istante le sorti palestinesi conobbero un repentino declino, anche perché molti ebrei, avendo percepito che la loro presenza in Europa era osteggiata dalla Germania, Italia, Spagna e Russia, preferirono rifugiarsi in Usa e, clandestinamente, in Palestina, piuttosto che finire nei campi-lager. Il flusso migratorio in questi luoghi andò sempre più aumentando, nonostante i limiti imposti dagli inglesi, e, nel contempo, s’accrebbero gli attriti e le lotte tra le due parti in causa.

Il 29 novembre 1947, a guerra cessata, venne approvato dall’Assemblea Generale dell’ONU, con Risoluzione n° 181, il Piano di Partizione della Palestina, che prevedeva la costituzione didue stati: uno ebraico e uno palestinese, con Gerusalemme sotto il controllo internazionale. Si cercò, insomma, di accontentare ambo le parti, ma, così facendo, si scontentarono entrambe.

Il 14 maggio 1948, cessato ormai il Protettorato britannicoin Palestina, David Ben Gurion proclamò la nascita dello stato d’Israele. Da allora, i confini di questa nazione andarono sempre piùallargandosi, sino ad occupare quasi l’intero territorio palestinese.

Il resto è storia recente.

In quasi settanta anni di dominio israeliano centinaia di migliaia di vite umane sono state sacrificate in nome di una “rivendicazione unica” nel suo genere nella storia dell’umanità.

Stavate molto meglio, gentile Sharon, sotto il protettorato inglese con ebrei, palestinesi, arabi, cristiani e altre etnie a vivere in pace, nonostante qualche malumore di fondo da parte delle diverse comunità presenti nel territorio. Con il trascorrere del tempo, sarebbe prevalso il buon senso. Le nuove generazioni si sarebbero accettate, rispettate edavrebbero avuto la possibilità di professare liberamente il proprio credo religioso nei loro luoghi sacri.

Ed invece, no. Volevate una terra tutta vostra, anche a costo di sottrarla ad altri. Vi sentivate molto stretti a vivere accanto a gente che non accettava le vostre regole di vita e non si adeguava alle vostre tradizioni religiose; insomma, vi sentivate obbligati a dividere con “intrusi” la vostra “Terra Promessa”. Per certi versi ve le siete volute certe amare conseguenze. Invece di porgere la mano ed accettare il fratello palestinese, lo avete soffocato, soggiogato e sottomesso. Avete vinto molte battaglie, ma avete perso la possibilità di vivere in pace. Nessuna vittoria può essere piena, se ottenuta con la forza, può solo essere temporanea e può solo garantire una pace illusoria. Portando avanti questa linea dura e intransigente, vi siete esposti ad atti violenti di estremisti palestinesi (che rivendicano la loro terra e il diritto di governarla), ma anche le vibranti contestazioni di molti occidentali e di una grossa frangia di ‘ebrei ortodossi’ vostri fratelli, che hanno condannato con fermezza l’invasione di Gaza dello scorso anno.

Non è poi da trascurare il fatto che ultimamente la Svezia, la Francia e la stessa Gran Bretagna hanno riconosciuto lo stato palestinese (l’Italia, non essendo ancora una nazione autonoma, lo farà solo quando avrà ottenuto l’esplicita autorizzazione Usa). Probabilmente anche altri stati fra non molto si uniranno ai tre. Perciò, questo nuovo scenario internazionale, mutato rispetto a qualche tempo fa, dovrebbe farvi riflettere… e non poco.

La Palestina vivrà in pace solo quando sarà amministrata da un governo super partes voluto dall’Onu.

Questa terra, gentile Sharon, se ancora non l’ha capita, non è di esclusiva proprietà israeliana, come lei incautamente e prepotentemente ammette, ma è di palestinesi, di cattolici, di cristiani ortodossi, di arabi e perfino di appartenenti a religioni miste.

La Palestina è una terra cosmopolita e composita, in cui da secoli interagiscono diverse culture. È una terra che appartiene a tutti, perché è una sintesi delle diversità umane. È una miscellanea, o meglio un arcobaleno, di molti credi, tradizioni e saperi umani. Insomma è, per buona parte, la sintesi del cammino evolutivo della stessa umanità. E, come tale, andrebbe amministrata da persone al di sopra di ogni cultura, interesse, lingua, storia e religione.

Mi sento di darle un buon consiglio nell’interesse suo e di tutti. Ecco, non bisogna ostentare con fierezzae supponenza di essere ebrea, oppure musulmana, induista, cristiana, ma ognuno accolga la propria fede dentro di sé e frequenti la sinagoga, la moschea, il tempio, la chiesa quando vuole e come vuole. Ognuno preghi ed invochi il suo Dio, ma mai, dico mai, imprechi contro il Dio degli altri, perché commetterebbe un grande sacrilegio e determinerebbe odio e violenza! I fatti accaduti recentemente in Francia lo stanno a testimoniare largamente.

Insomma, la sua appartenenza religiosa non la deve manifestare in maniera sfacciata e arrogante, contrapponendola a quella di altri credi. Purtroppo, questo modo di “fare religione”, di fatto ostacola e rallenta il difficile processo di armonizzazione che lentamente si tenta di comporre.

Sia piuttosto fiera di sentirsi cittadina del mondo e si batta perché il mondo arrivi ad assumere una conformazione e una struttura pacifica.

Sono dell’avviso che chiunque si schieri da una parte con forza e fermezza, imponendo ad altri il proprio pensiero, è per sua natura un violento o si predispone alla violenza, in quanto sceglie deliberatamente di contrapporsi ad altre persone o ad altri gruppi.

Accetti, perciò, tutte le religioni del mondo, anche quelle poco praticate, ma non sbandieri soltanto la sua in modo sfacciato, ma la segua e la professi con sobrietà e in silenzio, nel chiuso della sua intimità, come d’altra parte si comporta ogni buon credente.

L’uomo del futuro, per essere veramente universale, non dovrà vantarsi di essere cristiano, musulmano, ebreo, induista, buddista, perché nel momento in cui ognuno esibirà la propria appartenenza, si starà separando dal resto dell’umanità. Allo stesso modo, se si vanterà di essere un inglese e non un tedesco, un liberista invece di un socialista, uno iuventino piuttosto che un milanista, un settentrionale e non un meridionale, pur avvertendo una certa fierezza di appartenenza, sarà pur sempre un uomo che determinerà separazione, distacco, diversità, ingiustizia, disuguaglianza e quindi acredine e, finanche, odio.

A giusta ragione sarà considerato un «generatore di violenza».

Come saggiamente sostiene Jiddu Krishnamurti, “il fuoco non si elimina con altro fuoco, ma lo s’incrementa, l’acqua non si asciuga con altra acqua, ma ne fa alzare il livello, la violenza non si risolve con altra violenza, anzi la si rinforza”. E di mio aggiungo che “la pace, tanto declamata dal suo popolo, si raggiunge solo ed esclusivamente se si è uomini di pace e non di guerra”.

Ecco, bisogna ‘costruire’ uomini di pace, se vogliamo risolvere i tanti mali dell’umanità. Si incammini su questa nuova strada e si troverà a vivere in un mondo diverso dal suo, in un mondo stupefacente, dove nessuno mai attenterà alla vita di altre persone. Si prodighi a diffondere questi ideali supremi, poiché rappresentano l’unico modo per aiutare l’uomo a ritrovare la sua vera identità.

Le faccio infine presente che, se lei fosse nata a Teheran oppure a Roma, o a Nuova Delhi o a Tahiti, oggi crederebbe in Maometto, in Cristo, in Buddha oppure in Ta’aroa (il dio dei polinesiani), ma non certamente in Mosè, anzi lo combatterebbe. Questo per farle capire che si abbraccia una religione per educazione ricevuta e non per convinzione o per scelta ponderata.

Perciò, gentile Sharon, si senta parte del mondo e trattenga in sé tutte le sue anime: ostenti questa ‘cittadinanza’, predichi l’amore, cardine di ogni religione e unico strumento divino in mezzo a noi, comune a tutte le religioni; guardi la pelle di ogni persona come se fosse di un unico colore e nessuno mai la rifiuterà, in quanto noterà in lei un’universalità di pensiero e di intenti. Lei sarà accolta da chiunque a braccia aperte, perché portatrice di pace, di gioia e di benessere ma non di guerra.

Un grande abbraccio in nome dell’amore, che si può conquistare solo se si avrà il coraggio di stringere tutte le mani del mondo, di ascoltare tutte le voci del mondo e di aprire il proprio cuore al mondo per sentirsi dentro i battiti del cuore di tutti.

La saluto, nella speranza e con l’augurio che riveda le sue idee di parte.

C’è un mondo incantato là fuori che ci aspetta: non lasciamocelo sfuggire.