Premessa
Il termine educare deriva dal latino educo ed è composto dal prefisso ‘e’, che sta ad indicare fuori, e dal verbo ‘duco’, che significa ‘traggo, porto avanti,’ o anche ‘induco, incito, allevo’. Unendo le due parti emerge il significato di fondo dell’educare, che è quello di condurre fuori l’individuo dal suo stato di scarsa coscienza morale e percettiva e quindi di indurlo o incitarlo a comprendere consapevolmente la vita, individuandone gli aspetti e gli elementi da evitare e quelli da accettare e consolidare.
Considerato che le menti dei ragazzi sono ancora delle scatole vuote pronte ad introitare di tutto e di più, sia aspetti positivi che negativi, ci si rende perciò conto che l’atto di ben educare i giovani sia un dovere ineludibile ed imprescindibile dello Stato, della famiglia e della società umana. Lo Stato si serve degli insegnanti, la famiglia ovviamente dei genitori, la società dei mass-media (televisioni, giornali, cinema, sport, ecc.).
In questa prima parte ci soffermeremo ad analizzare l’opera dell’insegnante
Quale educazione impartire ai giovani?
Il compito principale del docente è quello di preparare e di condurre l’allievo alla scoperta e alla conoscenza dei molteplici aspetti della vita, fornendogli gli strumenti necessari per edificare nel tempo la propria personalità. Il buon educatore deve prospettare all’allievo i vari meccanismi che stanno alla base dello studio della disciplina e del vivere civile, gli ambiti entro cui muoversi e i modi con cui interagire. Sta poi al discente servirsene per appropriarsi dei vari saperi, acquisirne abilità e arricchire le proprie conoscenze.
La ‘buona educazione’ non deve essere, però, introdotta dall’alto e con forza, seguendo regole e schemi prefissati. Purtroppo sono non pochi gl’insegnanti che ricorrono a tale inopportuno metodo di educare. Con il “copia e incolla” si formano individui ad immagine e somiglianza dei docenti. Non tutti i discenti sono identici e non tutti devono essere educati allo stesso modo, se non negli aspetti generali.
L’educatore esemplare deve accompagnare l’alunno ad entrare per gradi nel difficile e impervio “campo della vita”, avendo cura di prospettargli i falsi richiami, le allettanti illusioni, i numerosi inganni disseminati ovunque, ma anche di parlargli dei doni che la stessa offre a colui che saprà discernere, valutare e procedere verso le mete prefissate, raggiungendo le quali sarà premiato. È questo il docente che costruisce i futuri uomini e non certamente colui che impone uno studio freddo, standardizzato e che suscita poco interesse.
Va quindi ribadito che l’impegno principale dell’educatore sta nel prendere per mano il discente, di guidarlo pazientemente per sostenerlo nella sua crescita conoscitiva, formativa e spirituale, e per condurlo a relazionarsi innanzitutto con sé stesso, mediante continue introspezioni e analisi, e di confrontarsi con il mondo esterno per arricchire la propria personalità, ancora in formazione, e irrobustirne il pensiero.
A tal riguardo sosteneva il grande ed intramontabile Mahatma Gandhi che le “fortune dell’umanità passano esattamente da quello che riescono a costruire gl’insegnanti in classe”.
Egli inoltre asseriva: “… [Come l’educazione fisica deve essere impartita mediante l’esercizio fisico, così l’educazione dello spirito è possibile soltanto mediante l’esercizio dello spirito. E l’esercizio dello spirito si fonda interamente sulla vita e sul carattere del maestro. Il maestro, perciò, deve prestare molta attenzione a quello che dice o che fa, a come si comporta, a come indirizza un rimprovero, mai troppo aspro e umiliante ad uno studente pigro e indolente, a come rivolge un elogio, mai troppo edulcorato e laudativo nei confronti dell’alunno meritevole, a come studia la personalità degli allievi. Egli non deve essere sempre severo ed esigente, se non nei casi in cui il livello della lezione è talmente alto da richiedere serietà e impegno, né tanto meno deve essere tenero e permissivo, se non quando il momento scolastico richiede dolcezza e tolleranza] … [Se il maestro è un bugiardo, sarà inutile insegnare ai ragazzi a dire la verità, perché impareranno ad essere menzogneri. Se il maestro s’impegna poco nel lavoro quotidiano, i suoi allievi saranno educati all’ozio; se, invece, è un vile non riuscirà mai a rendere i suoi ragazzi coraggiosi; se è lontano dall’auto-disciplina, non potrà mai insegnare i migliori principii educativi ai suoi discepoli; ma se il maestro è un uomo fondamentalmente responsabile e giusto, riuscirà a radicare negli studenti il senso del perfetto equilibrio, cosicché costoro, da grandi, trasmetteranno ai loro simili il comportamento necessario per vivere bene e giudicare bene] … [Perciò, le fortune di tanti ragazzi sono affidate unicamente al maestro, al quale i genitori consegnano i propri figli. Ecco, in questo modo, si costruiscono i successi o gl’insuccessi delle singole comunità e, di conseguenza, della stessa umanità].
Di mio aggiungo che il maestro è come se avesse nelle mani diversi aquiloni da lanciare in cielo e da governare a seconda dei venti. Il buon maestro deve imprimere degli strattoni, a volte leggeri a volte forti, per mantenerli in quota; deve trattenere il filo quando la corrente d’aria è intensa, oppure lasciarlo andare quando è debole. Proprio grazie al filo, cioè grazie al proficuo rapporto instaurato con gli allievi, il maestro trasmette loro le necessarie virtù per guadagnare “il cielo della vita”.
Il maestro deve essere un faro. A differenza di quello costruito sulla scogliera, che indirizza i marinai ad una sicura navigazione, egli è una luce perenne che illumina la mente dell’allievo ovunque si trovi.
Insomma il maestro deve essere una sicura guida spirituale, un esempio da emulare, una continua lezione di vita. Se riusciremo, perciò, a educare i ragazzi a “prendersi cura” dei propri problemi e bisogni e di riflesso di quelli del prossimo, avremo gettato le basi per rendere il mondo via via più vivibile e giusto, sino ad arrivare a trasformarlo in un’isola felice, forse la tanto favoleggiata ‘isola che non c’è’.
A che serve studiare?
Sarebbe opportuno che lo studente leggesse attentamente il seguente breve aneddoto, il quale potrebbe tornargli utile ai fini della sua formazione umana, nella speranza e con l’augurio che sappia cogliere gli insegnamenti in esso presenti.
Nel primo giorno di scuola un professore di filosofia pose una domanda ai suoi discenti, che ancora non conosceva.
“Ragazzi, sapete dirmi a che serve studiare?… Chi di voi sa rispondere?”.
Qualcuno osò pronunciarsi sostenendo: “A crescere bene!”. Un altro, invece: “A diventare brave persone!”. Seguirono altri generici interventi.
Sta di fatto che ad ogni loro risposta il professore scuoteva il capo.
“Prof., visto che dondola in continuazione la testa poiché non si accontenta delle nostre risposte, vuole essere lei a spiegarci a cosa serve studiare?” – intervenne a giusta ragione un allievo tra i più audaci.
Immediata la risposta dell’insegnante.
“Lo studio serve essenzialmente a farvi evadere dal carcere!”.
Tutti i ragazzi si guardarono stupiti, pensando che il loro prof. avesse le traveggole.
Il docente con tono molto serioso continuò a parlare.
“Vi vedo tutti imbambolati ed esterrefatti per la mia risposta. Fra poco sono convinto che mi plaudirete. Figli miei, l’ignoranza è un carcere, in cui voi siete al momento rinchiusi. Per tale motivo dobbiamo, in questi cinque anni, organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile arrivare a tanto perché coloro che vi governano vogliono mantenervi ancora stupidi e banali come una spugna rinsecchita in un deserto, ma, se avrete scavalcato il muro dell’ignoranza, arriverete da soli a capire di aver compiuto un’opera pienamente meritoria, che vi porterà a guadagnare una buona vita…”.
I ragazzi ora pendevano tutti dalle labbra dell’insegnante. Cominciavano a capire che qualcosa di stupendo, di speciale, d’importante si nascondesse in quelle parole ferme e sicure. Tutti indistintamente cavarono gli occhi fuori dalle orbite, prestando la massima attenzione.
“…Sapete perché mi sono espresso in questo modo?… La risposta migliore ve la darà l’impegno nello studio, nella ricerca, nei continui confronti. E allora chi di voi accetta di cimentarsi in questo importante progetto di vita? Mi auguro che siate in tanti, anzi che sia tutta la classe a seguirmi in questo fondamentale disegno”.
All’unisono tutti i ragazzi rivolsero un poderoso e lungo applauso all’insegnante. Poi il silenzio tornò sovrano.
“Grazie ragazzi per gli applausi. Li rifarò a voi con la stessa spontaneità e intensità solo se mi seguirete durante questi anni di vita scolastica…” – riprese a parlare il docente con maggiore slancio – “…Tempo fa, leggendo un giornale, ho appurato che solo un ragazzo su 20 capisce un testo e sa produrre una convincente relazione. Mi complimento con quel ragazzo, poi, però, penso agli altri 19 che faticano ad evadere e rischiano l’ergastolo dell’ignoranza”.
Si sollevò spontaneo un lungo e preoccupato “Oooh!”.
“Ecco ragazzi, uno Stato veramente democratico deve salvare quei 19 ragazzi destinati a vivere per tutta la loro esistenza nell’ignoranza. E quand’anche in seguito fossero risparmiati da un indulto o favoriti dalla concessione di un contentino di felicità, sarebbero pur sempre considerati dalle alte sfere delle “pecore nere” o, peggio ancora, insignificanti numeri e come tali essere gestiti. Purtroppo continuerebbero a subire torti e ingiustizie, arrivando persino a chiedere, anzi a pretendere, l’intervento di uno Stato forte e autoritario. Ma, ahiloro, in quanto ‘menti deboli’, non potrebbero mai capire che la loro situazione peggiorerebbe sensibilmente rispetto a prima”.
Conclusioni
L’attuale educazione offerta ai ragazzi spinge spesso gli stessi ad adeguarsi in modo sterile, remissivo e sbagliato ai modelli stereotipati della vita, con la conseguenza che, il più delle volte, le loro potenziali doti di creatività, di spontaneità e di libertà di pensiero vengono tarpate e soffocate.
Chi non avrà ricevuto un’importante educazione è destinato a subire la vita, piuttosto che a cavalcarla, rimanendo per sempre ai margini della stessa ed aspettando mestamente di congedarsi da questo mondo, nella speranza di trovare nel dopo uno migliore.
Invece, una profonda e accurata educazione magistrale è molto utile, direi vitale, in quanto affina nell’allievo il carattere, lo ingentilisce, lo fortifica, lo responsabilizza. Chi la possiede ha di fatto scrostato dalla sua mente l’ignoranza e costruito da sé le armi per combattere le ingiustizie, le prepotenze e le usurpazioni di diritti.
Da adulto, infine, percepirà una levità, una leggerezza interiore da sentirsi più spirito che corpo. Questo stato dell’essere gli consentirà di affrontare il distacco terreno senza alcuna sofferenza spirituale e nel pieno convincimento di aver vissuto bene le stagioni della vita.
William Butler Yeats
“Educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco”