Il fiorente artigianato dolciario a Galatina negli anni ’70 continua a offrire un’occasione d’oro per la formazione professionale grazie, come già detto, alla disponibilità del maestro Rafelino Bello ad insegnare e a dare impulso alle nascenti attività commerciali del settore.
Intorno al 1970 viene aperto un bar annesso all’Ospedale “Santa Caterina Novella”. Molti anziani pasticcieri lo ricordano come il ‘bar dell’Americano’, così chiamato in quanto era gestito dall’italo-americano Frenchie (Franco) Serra. La moglie di quest’ultimo, Maria Luce (‘Lucetta’) Cito, essendone la proprietaria volle creare anche un laboratorio artigianale di pasticceria presso cui, come già avvenne per il Bar delle Rose, l’American Bar e il Bar Eden, intorno al 1971 lavoreranno occasionalmente numerosi pasticcieri sotto la direzione di Rafelino, quasi tutti suoi discepoli. Tra questi, i maestri Fedele Uggenti, Orazio Contaldo, che nel 1983 rileverà questo stesso bar, Giuseppe Palamà, Leonardo Rizzo, Michele Pellegrino, Piero Tundo e Celestino (‘Lino’) Chirenti, proprietario, dal 1981, del Caffé Parioli sito in viale Santa Caterina Novella 80.
Pure Lino Chirenti, come del resto anche gli altri discepoli[1] di Rafelino, sull’esempio di quest’ultimo ha proseguito volentieri l’opera di insegnamento dell’arte pasticciera[2]. Lo stesso, prima di mettersi in proprio, ha collaborato spesso con Antonio e Michele Pellegrino nella produzione e vendita di pasticceria, ad esempio per il Bar Mauro a Sogliano, intorno al 1975 e, per circa quattro anni dal 1978, per il Bar Santa Lucia, in via Liguria 37, aperto tre anni prima da Luigi Marotta grazie all’intercessione di Rafelino. Marotta avviò poi un proprio laboratorio di pasticceria l’anno successivo (1976), avvalendosi della collaborazione dapprima di Antonio e Michele Pellegrino e poi di Giuseppe Palamà, che in precedenza aveva trovato impiego presso il Caffè della Libertà a Maglie. Palamà, poi, in società con Albino Tundo rileverà l’attività di Marotta nel 1985.
Nel frattempo, Rafelino continua a formare giovani presso il Bar delle Rose. Adolfo Perrone ricorda, tra gli altri, di aver lavorato anche con il coetaneo Mario Codazzo, futuro pasticciere[3] e proprietario del Bar Caty (via Don Tonino Bello 21, prima in via Umberto I 43) e il fratello di quest’ultimo Giovanni (scomparso precocemente in Germania). Lo ricorda anche Michele Pellegrino e, tra i tanti aneddoti, racconta di quando, in quello stesso periodo, Rafelino ebbe ricavato in una parete del laboratorio interrato del Bar una nicchia dove poi sciolse in un recipiente mezzo quintale di cioccolato, servendosi di sole due lampadine da 100 Watt tenute accese per quattro giorni di fila. Con quel cioccolato realizzò il Castello di Windsor, con misure in scala conservate da una simile riproduzione precedente, realizzata in Inghilterra. Quest’opera venne esposta probabilmente in occasione dell’inaugurazione dello chalet[4].
Nella prima metà degli anni ’70, pur dimorando a Lecce Rafelino continua a frequentare Galatina. Forma una squadra itinerante di propri discepoli e occasionalmente di altri giovani operai con cui produce articoli di pasticceria e rosticceria per alcune attività sparse per la Provincia. Infatti, dopo i normali orari di attività dei bar, alcuni dei giovani che vi sono impiegati si riuniscono sistematicamente presso il Caffè Montecarlo di Fedele Uggenti per recarsi, con un furgoncino ben attrezzato, a Gallipoli presso i fratelli Savino e Antonio Scorrano, proprietari di un ristorante e di un bar di fronte al Teatro Schipa, a Corigliano d’Otranto presso il Bar Poker, a Cutrofiano presso l’Amico Bar, a Lecce presso l’Haiti Bar e la Torinese. Ognuno degli operai si occupa quindi di produrre in serie un determinato articolo: pasticciotti, fruttoni, cornetti, rustici, ecc., fino a raggiungere complessivamente circa 2/3000 pezzi per ognuna di queste attività. Questo tipo di servizio si spingerà addirittura fino a Torchiarolo e a Brindisi, diventando di fatto un modo per continuare a far conoscere e ingenerare altrove il bisogno di consumo di prodotti oramai tipici galatinesi.
Le stesse squadre si ricompongono occasionalmente per i servizi di banqueting dei Bar galatinesi, allestiti presso vari prestigiosi hotel a Galatina e nella Provincia oppure, spesso, presso la Torinese a Lecce. Certamente, anche la produzione ordinaria di pasticceria e di rosticceria porterà progressivamente altre attività ad adeguarsi a questo tipo di offerta e quindi ad emulare lo stesso standard di produzione, che oggi costituisce una tipicità commerciale leccese e salentina.
L’esempio più rappresentativo è il cosiddetto ‘rustico leccese’, che in realtà trae insegnamento dai maestri galatinesi, i quali a loro volta ne ebbero appreso i metodi di preparazione direttamente dal maestro Rafelino.
A Galatina, anche la celebre rosticceria Moscara ha ereditato queste conoscenze, anche indirettamente, dal maestro Rafelino. Infatti, Michele Pellegrino sostiene di essere stato proprio lui negli anni ’70 ad aver insegnato a fare il rustico e le pizzelle direttamente a Giuseppe Moscara (‘Pico Pasi’). Il figlio Luigi, l’attuale proprietario, sostiene invece di averlo appreso direttamente da Rafelino.Oltre alla rosticceria, le competenze e l’attività dei laboratori di pasticceria abbracciano anche altri campi, come la gelateria e la cioccolateria. Non è un caso, dunque, se durante i primi anni ‘70 nasce un sodalizio tra il maestro Rafelino e il maestro Cosimo (‘Mimmo’) Tedesco, ex rappresentante della Perugina, che nel frattempo aveva aperto a Lecce il negozio di accessori per pasticceria: Tedesco Arte Dolciaria. Teorico appassionato di pasticceria, gelateria e cioccolateria, Mimmo Tedesco comprese subito le notevoli competenze di Rafelino, sin da quando gli ordinò, per telefono, di procurargli «la ‘Luisa’ della Perugina»[5]. Tedesco non ha difficoltà ad ammettere che Rafelino all’epoca «aveva una grande manualità e professionalità», che era «un pasticciere completo, molto più avanti degli altri, perché era stato all’estero». E, traccia un paragone con Lecce, dicendo che «Citiso, essendo stato tanti anni a Torino, quando è venuto a Lecce ha fatto la sua fortuna, perché a Torino lui faceva i bignè ripieni di crema», mentre a Lecce non c’era chissà quale assortimento di dolci; sicché, poi, aggiungendo alla crema delle paste gelato, iniziò a farli di gusti diversi, «e l’hanno chiamata pasticceria mignon».[6]
Lo stesso Tedesco conferma che Rafelino fu molto richiesto come maestro, da tanti giovani, oggi pasticcieri o titolari di attività di successo non solo nella provincia di Lecce ma anche in quella di Brindisi[7]. E, tuttavia, nonostante l’evoluzione che negli ultimi decenni c’è stata nei percorsi formativi professionali, il suo esempio e i suoi insegnamenti continuano a influenzare anche indirettamente le nuove generazioni. Il suo stesso esempio, infatti, è fonte di ispirazione, perché suggerisce la necessità di aprirsi all’esperienza, alla ricerca personale, alla sperimentazione, all’aggiornamento professionale, all’approfondimento.[8]
Va detto, inoltre, che sia Rafelino che Tedesco, negli anni ’80 hanno cercato, attraverso l’insegnamento o i suggerimenti personali, di trasmettere dei metodi e di difendere la cultura della produzione artigianale di qualità, essendo contrari a una sempre più diffusa tendenza, da parte delle attività del settore, a lasciarsi sedurre dal facile impiego dei surrogati o dei semilavorati.
A Galatina, intanto, nel 1970 Biagino Gaballo inizia a produrre e a vendere al minuto articoli di pasticceria.
Pietro Leonardo (‘Narducciu’) Rizzo (cl. 1942), discepolo di Rafelino, il 22 novembre 1972 (CCIAA; cesserà il 7/3/2007) apre il Cin Cin Bar in piazza Alighieri 68.
Il 10 settembre 1974, tale Carlo Nicola Dimitri (di Calimera, cl. 1941) apre il Bar Casetta tra i fiori, un «chiosco di pasticceria e dolciumi» ubicato presso i «Giardini pubblici» di Galatina (CCIAA, Reg. nr 99218).
Intorno al 1973 viene aperto dal maestro Gino Sabella anche l’Elis Bar, in via Principessa Iolanda 3, ma la sua attività di pasticceria, che aveva dominato la scena dell’artigianato del dolce in Galatina fino ai primi anni ‘70 del Novecento, volge ormai al termine: abbandonerà definitivamente nel 1975.La sua scomparsa (1976) diviene, ipso facto, l’occasione per affermare la fama del maestro Andrea Ascalone nella produzione di uno dei più celebri dolci di Gino Sabella: il pasticciotto. E questo, nonostante fosse un articolo già prodotto anche dal maestro Salvatore Ascalone, padre di Andrea, e nonostante quest’ultimo fosse capace di produrre molti altri tipi di dolci (l’arlecchino, i fruttini, le maddalene, ecc.) e torte, in modo eccellente grazie all’esperienza all’estero, e che non mancherà comunque di esibire nelle proprie vetrine, oltre ai dolci tradizionali, ma che purtroppo non entreranno mai a far parte della cultura dolciaria locale, sia per un proprio, comprensibile desiderio di distinguersi dagli altri pasticcieri, sia per causa della sua nota riservatezza[9] professionale.
Fatto sta che nella seconda metà degli anni ‘70 iniziò a svilupparsi un filone estimativo, all’interno della comunità galatinese, a favore del pasticciotto di Andrea Ascalone. Da un aneddoto raccontato da Roberto Sergio Frassanito veniamo a sapere che per via di certi sfottò nei confronti di Rafelino da parte di amici comuni, si accese tra i due maestri un’amichevole competizione a chi lo facesse meglio.
In un modo o nell’altro, tale competizione porterà da una parte a ritipizzare i canoni del pasticciotto galatinese, mantenendo tuttavia quasi inalterati i caratteri originari (l’aspetto, la ricetta, la qualità, ma non proprio il gusto[10]) continuando a distinguerlo da quello di altri comuni della Provincia. Dall’altra, più in là negli anni, porterà a promuoverlo (in particolare, quello di Ascalone) come il prodotto più emblematico della cultura gastronomica salentina, pur attraverso l’elaborazione di racconti ad hoc e una notevole propaganda pubblicitaria, soprattutto in rete.
Ma negli anni ’70 vi saranno altre novità che cambieranno le abitudini della società nel rapportarsi con il dolce, ad esempio con l’introduzione di tecniche innovative nella produzione del gelato artigianale e nella lavorazione della cioccolata, che troverà ampio impiego nella pasticceria.
Errata corrige: Il primo titolare del Bar Oasi non fu Giuseppe, ma il fratello Donato Perrone. Il nome del Bar fu suggerito, invece, dall’amico di quest’ultimo, Vittorio Baldari. L’attività fu acquisita, inizialmente, dalla società composta dai fratelli Fernando e Alfredo Marzo (oggi è di Piero Marzo figlio di Fernando). |
NOTE:
[1] Fedele Uggenti, celebre inventore della Sibilla e altri dolci del genere, e ancora attivo al Top Orange, a Zollino, ha insegnato a molti pasticcieri. Tra questi ricordiamo, oltre al figlio Giuseppe, anche Fabio Mighali (ha lavorato a Galatina, Maglie, Santa Maria al Bagno, ecc.), Donato Perrone (pasticciere e proprietario di Pasticceria Salentina e Re Pasticciotto a Roma), Andrea Pascali (gestisce un laboratorio di pasticceria a Martignano), Paolo Tondi (Top Orange, Zollino) e molti altri.
Orazio Contaldo ha insegnato al fratello Bruno (operò anche al Caffè Colonna e al Bar Caty, a Galatina), Biagio Damiano (ha lavorato anche presso Caffè Ficile a Martano); i fratelli Stefano e Luca Perrone di Sogliano (L’Arte Dei Sapori, Matino), ma con lui hanno collaborato anche Adelchi Romano (oggi lavora a Ikebana Cafè, Scorrano), Massimiliano Baglivo (Dolci e dintorni, in società con Marzano Salvatore), Piero de Matteis (pasticcere del Manhattan, Castrignano de’ Greci), Riccardo Carachino (Bar Caffé dell’Opera, Galatina), Roberto Forte (ha esercitato a Nardò), Michele De Chirico (di recente, pasticcere presso il Super Mac, Galatina).
[2] Lino Chirenti ha iniziato, come inserviente, presso l’attività di Pietro Scrimieri in corso A. Diaz, che aveva avviato una produzione di pasticceria mignon. Poi ha iniziato ad apprendere l’arte pasticciera lavorando al ‘bar dell’Americano’ con Piero Tundo e Rafelino e anche presso il Bar delle Rose, collaborando anche come cameriere nei ricevimenti. Ha prodotto pasticceria anche per il Bar Jolly a Galatone. Ha insegnato l’arte pasticciera al fratello Leonardo, attuale pasticciere del Caffè Parioli, e ad altri pasticcieri, tra cui: Fernando Ciccardi (Caffè Albert), Gianluca Longo (Caffetteria Cavour, Sogliano), Marco Frassante (chef, a Cesenatico) ecc.. Fernando Ciccardi, peraltro, a sua volta è stato il maestro di Luigi Carachino (Loris bar).
[3] Mario Codazzo imparerà l’arte pasticciera presso il Bar Caty, dai propri pasticcieri: Bruno Contaldo (†), che aveva imparato dal fratello Orazio (discepolo di Rafelino), Massimo Diso (†) (disc. di Rafelino), e Raffaele Antonaci (dopo l’esperienza al Bar Eden con Pantaleo Masciullo, disc. di Rafelino).
[4] Lo chalet fu realizzato nel 1970, non appena ottenuta la proroga della concessione del Comune per altri 10 anni. Alcuni pasticcieri ricordano che al centro dello chalet fu esposto anche un albero, a grandezza naturale, colmo di mandarini molto realistici (frutta martorana), realizzati a mano dal maestro Enrico Surdo.
[5] Luisa Spagnoli (nata Sargentini) fu cofondatrice della Perugina. Le fu intitolata una linea di prodotti e un cioccolato fondente di alta qualità.
[6] Citiso ammette di aver iniziato a vendere la mignon nel ’72, tre anni dopo il suo rientro, ma di aver importato anche alcune nuove torte, tra cui la mimosa.
[7] Per fare alcuni esempi riferiti da Tedesco, Rafelino ha insegnato: a Francesco Capriglia (Bar Pasticceria Gelateria da Ciccio, Ostuni), Giambattista Milani, (Pasticceria Gelateria Variety, Brindisi), Roberto Massaro (Pasticceria Centrale, S. Vito dei Normanni).
[8] L’estro creativo del maestro Rafelino, si manifestava in ogni sua iniziativa. Lillino Marzo ricorda che un giorno espose nelle vetrine della Torinese un’incredibile varietà di dolci e semifreddi mai visti prima. Nonostante i successi delle vendite, talvolta le critiche prevenute a lui rivolte dagli esercenti lo indisponevano, perciò le sue iniziative non venivano ripetute. Maria Luce Uggenti ricorda, invece, che presso il proprio bar ogni anno (finché rimase aperto), alla festa della mamma (la prima volta fu al Bar delle Rose) producevano torte di fragole, con pan di spagna, crema e bignè tutti intorno, alle quali abbinava una rosa rossa.
[9] Lo stesso Andrea Ascalone, stando a varie testimonianze, si dichiarò sin da subito a Rafelino contrario ai suoi generosi insegnamenti, temendo forse che la storica impresa di famiglia potesse essere penalizzata dal rapido processo di sviluppo di questo settore artigianale, con la progressiva nascita di nuove attività.
[10] La ricetta originale del pasticciotto di Gino Sabella, già influenzata della pasticceria siciliana e napoletana, prevedeva l’impiego di agrumi: la frolla era aromatizzata con buccia grattugiata d’arancia o di limone, e la crema pasticciera al limone. Oggi, invece, spesso il pasticciotto galatinese non contiene questi aromi: talvolta si avverte un leggero aroma di vaniglia o di vanillina, mentre sono in pochi quelli che continuano a preferire la crema al limone.