T.V. Camillo Milesi Ferretti

Affondamento del Smg. Berillo

Il Regio Somm. Berillo, al comando del Tenente di Vascello Camillo Milesi Ferretti, era partito verso la fine del settembre del 1940 da Augusta per andare a contrastare nel tratto di mare a sud di Candia, le azioni che le navi nemiche eseguivano frequentemente a sostegno delle truppe dell’8° armata impegnate duramente sul fronte di Sollum.
Camillo Milesi Ferretti comandava il Berillo dal gennaio del 1940. Nel settembre, quando venne avvertito di tenersi pronto a partire, disse a se stesso che quella era la terza missione; siccome il numero tre non ha mai tradito nessuno, certamente avrebbe incontrato il nemico: qualcosa, poi, sarebbe successo.

T.V. Camillo Milesi

Non sarebbe certamente andato incontro ai monotoni giorni di agguato conosciuti durante la prima missione nei pressi di Gibilterra, e la seconda sotto Malta: gli era capitato, allora, di non riuscire a scorgere un fil di fumo all’orizzonte; di non sentire un rumore agli idrofoni, se non lo sciacquio delle onde; di non ordinare una volta il posto di combattimento, se non per pura e semplice esercitazione. Il nemico dov’era? Possibile che fosse sparito del tutto dal Mediterraneo?
Il 17 settembre una telefonata da Messina, sede del Comando Gruppo Sommergibili: gli si chiede se era pronto a partire?
<Pronto? Ma se e’ un mese che sto fermo in attesa che vi ricordiate di me>, rispose Milesi Ferretti.

Regio Smg. BERILLO Taranto

La mattina del 18, altra telefonata: passare dal <pronto a muovere in due ore> al <pronti all’ordine>.
Tutto e’ pronto, in attesa dell’ordine, da giorni, da settimane. Comunque l’equipaggio rimane a bordo, gli ormeggi vengono allegeriti, i motori vengono messi in moto perche’ si scaldino. Bisogna poi telefonare al comando marina perche’ disponga l’apertura, quando sara’ il momento, delle ostruzioni del porto.
Tutto l’equipaggio e’ sul sommergibile, solo il comandante passeggia sulla banchina, conta le pietre, sale sulla passerella, ne ridiscende, accende una sigaretta.
Il sottotenente di vascello Nordio, ufficiale in seconda, informa il comandante che un fuochista ha la febbre alta. Bisogna lasciarlo a terra. <Comandante, il fuochista non vuole sbarcare: dice che e’ un male passeggero, forse un’indigestione. Vuol parlare con Lei>.

<Cosa c’e’? Non vuoi lasciare i compagni? Ma hai l’aria abbattuta…. senti la fronte come scotta! Mi dispiace, amico mio; apprezzo il tuo attaccamento al battello ma non ti posso portare. A bordo non c’e’ modo di curarti, saresti d’impiccio. Sara’ per un altra volta. Usciremo ancora… ora vai in infermeria>.
Il giovane si allontana, lentamente, con la testa china. Ore, altre ore di attesa. Quante pietre ha la banchina?
<Comandante, la chiamano dal comando marina>.
Un ufficiale in motocicletta sta correndo nella notte per portare al Berillo la busta sigillata con l’ordine di operazioni.
Nell’ufficio del comandante piu’ anziano che funge da capo squadriglia viene aperta la busta: ecco i numeri, le coordinate, la zona d’agguato. Sara’ una missione, al limite di autonomia di acqua e viveri: si tratta di mantenere l’agguato offensivo al largo della costa africana, all’altezza di Sidi el Barrani- Marsa Matruk.
Milesi saluta ed esce. Mentre sta salendo a bordo lo fermano un’altra volta. Il comando marina informa che un sommergibile nemico e’ stato avvistato sulla rotta che dovra’ percorrere il Berillo appena fuori dal porto.
Un’altra mezz’ora di attesa; finalmente: <pari avanti tutta>.
Il mare aspetta. <Camera di manovra: pronti all’immersione; guardia pari a posto di combattimento, guardia impari a dormire. Vedette, attenzione, passeremo nella zona di un nostro caccia che cerca un sommergibile inglese. Bisogna che lo vediamo prima noi per evitarlo>.
Due giorni di navigazione e di agguato. Nulla all’orizzonte. All’inizio della terza notte, allarme: c’e’ un ombra di prora. <Camera lancio avanti: pronti al lancio>.
Arriva in plancia il tenente. L’ombra si avvicina, e’ alta, precisa, lunga; dietro di lei, in fila indiana altre piccole ombre. Bisogna avvicinarsi, avvicinarsi ancora. Il tenente e’ impaziente: <Comandante lanciamo>.

<No, bisogna andare piu’ vicini; non possiamo, non dobbiamo fallire il bersaglio. 1.500 metri, state calmi ragazzi, 1.000 metri. Attenzione, tutto il timone a sinistra! Tutto il timone a sinistra, sono scogli!>.
E’ una missione che non promette niente di nuovo.
Nei giorni successivi si verifica una grave avaria all’apparato motore per cui se il comandante decidesse di rientrare in porto nessuno potrebbe criticare il suo operato.

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Conscio della difficile situazione in cui si trovavano le nostre truppe operanti al confine cirenaico decide di rimanere sul posto avendo ancora qualche possibilita’ di arrecare danni alle navi nemiche che si avventurassero nei suoi paraggi. Ed infatti la notte del 1° ottobre avvista due cacciatorpediniere. Il comandante Milesi nel suo libro <20.000 rupie di taglia> descrive cosi’ quel drammatico scontro:
<… Avanzo su rotta circa normale alla direzione dell’avvistamento; la migliore rotta di attacco.
L’ombra comincia a prendere forma: l’abbiamo avvistata a grande distanza, circa 6.000 metri; ora la distanza diminuisce rapidamente, deve essere un caccia.
A 4.000 metri cominciano a delinearsi i contorni; si, e’ un caccia, classico profilo del tipo <Admiralty>; dietro a lui, a circa 2.000 metri, un’altra ombra.
Strano, di notte o si va in linea di fila a distanze piu’ ravvicinate o si fa rastrello esplorativo, in linea di fronte. Che si tratti di un piroscafo? Al buoi e’ impossibile fare apprezzamenti sulla velocita’.
L’ombra cammina molto velocemente, forse 25 miglia, normale velocita’ dei caccia inglesi di notte, ma se la seconda e’ un piroscafo, allora le navi vanno certamente piu’ adagio, da 12 a 15 miglia.
La distanza diminuisce. Siamo a circa 2.000 metri dal primo bastimento che ora si distingue nitidissimo a occhio nudo;lo vedo anzi cosi’ bene che mi meraviglio che lui non veda me: quello continua la sua rotta senza dare il minimo segnale di allarme. Anche il secondo sembra un caccia. Vanno veloci, certamente 25 miglia.
Difficile colpire un caccia: corti, veloci, manovrieri, bisogna portarsi molto vicino. Se fosse solo avrei buon gioco, ma, accompagnato com’e’, anche se lo affondo col primo siluro, ho poche probabilita’ di scampo poiche’ avro’ addosso il secondo e in breve anche il resto della squadriglia: quindi combattimento a non tornare. Dopo il lancio-penso – faro’ la prescritta manovra di immersione e disimpegno, ma rimarro’ in superficie avvicinandomi il piu’ possibile al secondo per tentare di affondare anche quello.
Mille metri; vedo cosi’ distintamente che non posso capacitarmi della loro cecita’; la tentazione di lanciare e’ fortissima, ma ho deciso di portarmi fino a 800 metri: voglio essere sicuro di colpire.
800…Un attimo per essere bene sull’angolo di mira.
<Prora, attenzione….tubo 1 fuori…>. Piccola scossa, il siluro e’ partito, scia diritta, deve impiegare circa 40 secondi per arrivare al bersaglio. <Prora, tubi 2 e 3 pronti al lancio>. Vedo la gente muoversi sulla coperta del caccia… 20 secondi… 30 secondi. Ora dovrebbe colpire.
Il primo caccia comincia a trasmettere un segnale al secondo col fanale azzurro di poppa: che mi abbiano visto? Non pare. 40 secondi: non ha colpito.
Sono ormai a 600 metri. < Tubo 3… fuori…>. Qualche secondo per lasciare scadere il caccia sull’angolo di mira piu’ piccolo. <Tubo 2… fuori>. I siluri partono: < Tutta la barra a sinistra>. A prora mi resta un solo siluro; voglio girarmi per presentare la poppa al secondo caccia onde potergli lanciare due siluri.
Oh! Un siluro non scende subito alla quota dovuta e fa i primi cento metri in superficie, alzando grossi baffi di spuma. Ora non possono non vedermi.
Infatti sono subito accecato da quattro proiettori, accesi contemporaneamente dai due caccia, e nello stesso istante una salva inquadra il sommergibile illuminato a giorno.
Vediamo se riesco a lanciare sul secondo caccia. Impossibile; il primo ha accostato violentemente a sinistra. Con un’accostata simile evitera’ certamente il siluro. (Seppi dopo che lo aveva evitato per pochi metri): Aumenta di velocita’ e mi mette la prua addosso.

Vuole speronarmi: tra 35 o 40 secondi mi tagliera’ in due. Unico scampo una rapida immersione, ma non so se arrivero’ in tempo. Mi attacco alla sirena interna e mi butto giu’, segiuto dalla vedetta che deve chiudere il portello.
Guardo i manometri: immobili: la piccola sosta che ogni sommergibile fa prima di iniziare la discesa: pare interminabile. Si scende: 4 metri… 6… 8… Sento a orecchio il fremito delle eliche del caccia.
15 metri… 25 metri… 30… Il caccia ci passa sopra.
Un attimo, poi uno scoppio fragoroso: bombe di profondita’. I manometri impazziscono e si bloccano, rotti. Immediatamente un altro scoppio piu’ forte; evidentemente bombe regolate per profondita’ superiore e scoppiate piu’ vicino. Tutto l’impianto luce salta in aria. Restiamo al buio, elica di dritta e’ sempre avanti a tutta forza, il sommergibile si e’ ormai appruato di 18°, i timoni orizzontali ancora tutti in basso. E’ tempo di manovrare.
<Ferma le macchine tutti i timoni in alto>. Il timoniere risponde < I timoni non funzionano>. Trasmetto a prora e a poppa per interfonico (specie di altoparlante), per telefono e con trasmettittore di ordini: < passare alla manovra a mano, tutti i timoni in alto, ferma le macchine>. Tutti i sistemi di trasmissione sono fuori uso> mi rispondono nel buoi. < Sta bene, apri le porte stagne, passare l’ordine a voce>. Guardo i manometri con la mia lampadina tascabile: cadiamo troppo rapidamente: 50… 60… 70, il sommergibile e’ collaudato per i 90 metri.
<Un filo d’aria a prora, un filo d’aria al centro>. Voci entro il buio. Ora siamo orizzontali, la caduta continua piu’ lenta: 90… 95… 100… 110… La quota di un sommergibile si disciplina con l’aria. Io do’ ordini opportuni per questo prezioso dosaggio, mentre ancora scendiamo, 126… 128… 130… 132. A 135 metri il battello si ferma e comincia a risalire.
Si risale fino a 40 metri, poi si ricomincia a scendere. Vedete che altalena, come si lavora male con le armi rotte, inchiodate. Daccapo fino a 130… si risale.
Da poppa mi avvertono che si sentono specie di guizzi sullo scafo. Brutto; stanno individuando la nostra posizione con periteri, strumenti precisi cui non si sfugge. Speravo ancora che avessero solo idrofoni, arnesi con i quali e’ ancora possibile farla franca.
Ormai e’ inutile tenere le macchine ferme: questo e’ un trucco che salva soltanto dagli idrofoni; meglio camminare, per rendere piu’ difficile la punteria. <Macchine di dritta avanti mezza forza>. I miei idrofoni non funzionano; mi segnalano il rumore di eliche di un solo caccia: evidentemente uno sta fermo per misurare la distanza e la posizione del sommergibile per poi trasmetterle all’altro, che, unendo i dati suoi a quelli del compagno, mi passera’ sopra con perfetta precisione lanciando le sue cariche micidiali.
Stiamo scendendo. Gli idrofoni segnalano eliche in avvicinamento. Ora si sentono a orecchio. Sono passati circa 8 minuti dalla prima scarica. Ecco, il caccia mi passa sopra. Si sentono le eliche cosi’ forte che si ha la sensazione che si debba cozzare; eppure siamo a settanta metri.
E’ passato, breve attesa, scoppio fortissimo: il sommergibile e’ scosso violentemente, cadono le lampade, strumenti fissati alla paratia, motori saltano dai basamenti, da poppa ci segnalano un incendio. < Ferma le macchine, usa l’estintore>. Cerco di ridare un assetto di equilibrio al battello riverso: lavoraccio: si scende, si sale, si ridiscende.
Ogni otto minuti il caccia passa sopra e lancia una scarica, sempre piu’ forte, sempre piu’ vicina. Tutto si va frantumando. Da poppa avvertono che l’incendio e’ spento. <Metti in moto l’elica>. Rispondono che il motore non parte: tutto e’ a massa. Si scende, si risale; due volte non riesco a fermare in tempo la salita e si arriva in un attimo in superficie; si ricade subito.
Dai locali batterie mi dicono: <Le cassette degli accumulatori sono rotte>. Ora, attenzione al gas di cloro che si sviluppa dall’unione dell’acido degli accumulatori con quel poco d’acqua di mare che c’e’ sempre in sentina. Per fortuna l’aumentata pressione interna, che comincia a dare fastidio alle orecchie, incolla a terra il tappeto di gomma che copre le batterie e non lascia uscire il gas.
Riesco a diminuire le oscillazioni in alto e in basso. Si oscilla ora tra 50 e 100, 50 e 90. Ogni otto minuti il caccia passa sopra. Non c’e’ difesa!
Ho fatto accendere due o tre lampade portatili ad accumulatore; a quel debole chiarore, do’ uno sguardo intorno a me. Vedo tutti al loro posto; visi seri,sguardi fissi su di me; cercano di leggermi in viso l’apprezzamento della situazione. Cosa si puo’ fare? Potrei forse fare qualcosa? C’e’ qualcosa da fare? Mille idee mi passano per la testa ma nessuna e’ una soluzione.
Penso: forse e’ meglio aspettare ancora, risistemare insomma, far di tutto per arrivare alle prime luci dell’alba.
Alle sette ci sara’ luce sufficiente per vedere al periscopio; forse i periscopi, rientrati, sono ancora efficienti; potrei tentare di lanciare i tre siluri rimasti.
E’ sola speranza.
Guardo l’ora: le cinque; due ore ancora, poi la luce. Chissa’. Riesco per fortuna a diminuire le oscillazioni verticali del sommergibile. Puntuale, ogni sette o otto minuti, il caccia passa sopra e lancia la sua scarica di bombe. Ormai non sono neanche demolitrici, perche’ tutto quello che gli scoppi potevano rompere e scardinare e’ rotto e scardinato. Ora si tratta solo di vedere se lo scafo resistera’.

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L’unica cosa rimasta efficace e’ l’impianto idrofonico. L’idrofonista continua con calma a fare il suo ascolto, ormai completamente inutile: non lo faccio smettere unicamente perche’ penso che la sua voce tranquilla e riposata nel cavo silenzio del battello puo’ avere un effetto tranquillizzante sui nervi dell’equipaggio.
<Turbine (rumore di eliche azionate da turbine) a 160°… in avvicinamento… 155.. 158… 155. Aumenta… si avvicina… molto forte… fortissimo… passa sopra (lo sentiamo anche a orecchio)… tolgo la cuffia..>. Poi lo scoppio;… <Eliche per 350°… allontanamento… piu’ debole… riduce velocita’… si ferma… rimette in moto…; 345… 348… 345… si avvicina… molto forte… fortissima… passa sopra… tolgo la cuffia>. Lo scoppio. eccetera.
Finalmente riesco a fermare il sommergibile a 90 metri. Guardo l’ora: le cinque e mezzo: ancora un’ora e mezza prima di avere luce sufficiente per vedere al periscopio. Il caccia passa sopra e lancia la ventesima scarica che scoppia molto piu’ vicina delle altre: addosso.
Guardo il cielo del locale e vedo le forme rotonde dello scafo appiattirsi, schiacciarsi. Non sapevo che l’acciaio avesse tanta elasticita’. Occhi sui manometri: caschiamo rapidamente. Caschiamo troppo in fretta; o fermo subito il battello o non lo fermo piu’. <Aria per tutto>. Il direttore di macchina apre tutta la valvola; sento il famigliare sibilo dell’aria nelle tubature. Oh, il sibilo si affievolisce, si affievolisce, si spegne: la pressione dell’aria e’ inferiore alla pressione dell’acqua.
Non ho piu’ nulla che mi permetta di dominare il sommergibile, guardo i manometri, la caduta continua rapida, 110… 120… le lancette oltrepassano il settore graduato, continuano a ruotre velocemente, c’e’ ancora un settore non graduato, che puo’ corrispondere a 130-150 metri; le lancette lo percorrono in un baleno e finalmente, completato il giro del quadrante, si incollano sul piolo dello zero. Ora non posso piu’ neanche controllare i progressi del nostro affondamento.
Questo povero scafo ha gia’ fatto piu’ del suo dovere, non puo’ resistere all’infinito: tra poco con l’ammontare della profondita’ e della pressione, si schiaccera’ come una foglia. Il tenente mi guarda con aria interrogativa.
Nessuno parla, gli uomini sono al loro posto, tranquilli: il guardiamarina, ragazzo di 19 anni, sussurra al tenente: <Non c’e’ proprio speranza?>. L’altro risponde: <No>. Secco, secco.

Passano secondi, forse frazioni di secondo. Francamente anch’io preferisco che finisca. A che quota saremo? I manometri a giro completo segnano una profondita’ di circa 150 metri piu’ 30 o 40 metri di pressione interna per l’aria sfogata dai doppi fondi: totale 180-190: data la rapidita’ di caduta, dobbiamo aver oltreppasato i 200 metri, con uno scafo fatto per 80.
Riporto lo sguardo sui manometri: la lancetta ha un fremito?… si… si… stacca… retrocede… lentissimamente.
Un miracolo: salita lentissima. Se c’e’ ancora un mezzo per combattere lo usero’.
So bene che non potro concludere nulla ma il combattimento, in circostanze come questa, e’ una liberazione oltre che un impegno di antica tradizione. La gente tace sempre; eppure capisce. Ora si appresta a morire alla luce.
Do’ ordini. <Preparare le cassette dell’archivio segreto in torretta. Devono essere immediatamente buttate in mare. Armamento del pezzo in torretta: tenente in torretta, diriga il tiro sul caccia piu’ vicino: tutto il resto del personale prepararsi ai portelli per salire in coperta, abbandonerà la nave soltanto al mìo ordine>.
Poi, rivolto al tenente: < Io resto abbasso per affondare il sommergibile se il cannone fosse avariato e se vi fosse pericolo di cattura; apra subito il fuoco: se entro tre minuti non sento sparare o non ho comunicazioni sue, affondo il sommergibile; quando sente a prora gli sfoghi d’aria, dia ordine di abbandonare la nave>.
Guardo i manometri, incredibile la lentezza con cui si sale: 100… 90… 80. A quota 40 l’ascesa si fa rapida: gli ultimi 40 metri sono fatti a pallone; arriviamo alla superficie sbandati di oltre 45°. <Apri portello, casseta a mare, armamento al pezzo>. Dall’oscurita’ della torretta scende una voce: <Non posso aprire il portello, manca il volantino>. <Prendi una chiave>. Maledizione non credevo che avessero rotto anche questo. <Apri portello di prora e poppa>.
Sento qualche boato sordo (abbiamo tutti le orecchie doloranti per la brusca caduta di pressione); debbono essere cannonate dei cacciatorpediniere. Da prora e da poppa rispondono: <Volantini spariti, perni tranciati>. Brutto affare, siamo chiusi dentro.
Possono venire a prenderci come sorci. Per ammainare una imbarcazione, mandarci dentro gli uomini armati e venire a bordo gli inglesi impiegheranno al minimo dieci minuti. Tra quattro minuti, se non siamo riusciti ad aprire i portelli, apro gli sfoghi d’aria e andiamo tutti a fondo. Scatto il cronometro. Seguo la lancetta conta secondi.
Un minuto… due… io sono proprio sotto la torretta. Odo un cupo schianto e mi crolla ai piedi un cadavere, guardo, lo riconosco dalla tuta, e’ il nostromo di bordo. Gli manca tutta la parte posteriore della testa, il viso, ancora attaccato al collo sembra una maschera di cera.
Una voce dalla torretta: <Portello aperto>. <Presto, cassetta a mare, armamento del pezzo a posto>. La gente sale, ecco.
Il controportello si chiude e resto tagliato dagli altri. Sento rumore di cannonate. Cosa aspetta il mio cannone a sparare? Gia’ due minuti che sono saliti.
Cominciano a diffondersi gas di cloro: una nuvola biancastra invade tutto, soffocante. Fazzoletto alla bocca. Tre minuti, quattro, aspettero’ ancora un minuto e poi affondero’ il battello, altrimenti rischio di morire avvelenato e non affondo piu’.
I gas rendono l’atmosfera irrespirabile. Affondare. Presto. Apro gli sfoghi d’aria, uno, due, tre.
Ora ai manometri vediamo se scende: tutti i manometri sono inchiodati ai 40 metri, deformazione permanente per l’eccesso di pressione dall’ ultima caduta. restero’ a galla, dunque, e prenderanno il sommergibile. Tremendo. Adesso devo essere solo a bordo, e sono disarmato; bisognerebbe avere sempre la rivoltella in tasca.
Salire in coperta, vedere cosa accade. Presto. Salgo in coperta: il controportello e’ chiuso; aggrappato con una mano, spingo con l’altra: e’ incredibilmente pesante: apro uno spiraglio e vi sguscio dentro ammaccandomi le costole.
Salgo in plancia abbagliato dalla luce dei proiettori inglesi fermi a 500 metri. Il sommergibile e’ appruato. Ma ora affonda lentamente, maestosamente. Guardo in giro; a un centinaio di metri, una macchia scura. Voci… dev’essere l’equipaggio. Il battello scende, vedo l’acqua venirmi incontro: d’isitinto apro la cinta per sflilare i pesanti pantaloni. Poi, riallaccio la cinta: non avevo deciso di restare a bordo? Sopra o sotto e’ lo stesso, rifletto. Saro’ risucchiato nel gorgo: mi appoggio esausto al’affusto di una mitragliera antiaerea; guardo il mio battello, per l’ultima volta.

Zona dell’affondamento del Smg. Berillo

Incrocio le braccia e l’acqua sale. Forse sto perdendo i sensi. Ora sto tutto in acqua. Faccio inconsciamente quei movimenti di nuoto che servono per tenersi a galla. Un atroce dolor di testa. Come mai sono qua? ma chi sono quei cretini che hanno parlato di risucchio delle navi che affondano? Devo essere stato portato a galla da una bolla d’aria uscita dalla torretta. I grossi pantaloni e le scarpe alte mi legano i movimenti.
Odo molte voci: <Comandante, comandante>. Rispondo: <Son qua>. Tento di slacciare le scarpe, ma non riesco a tenermi a galla, e i lacci si sono serrati. Due uomini vicino a me. Uno mi dice: <Si appoggi>. <Grazie, aiutatemi a sfilarmi i pantaloni>. Avendo tentato di toglierli e mi si erano fermati intorno alle ginocchia, legandomi completamente le gambe. L’uomo si tuffa e mi aiuta a sfilarli. Dice ancora: < Vado a cercare un’imbarcazione>. <Lascia perdere, vai tu, non voglio niente>. Si allontana; non sono mai stato un buon nuotatore, e ora sono sfinito: mi giro sulla schiena e nuoto lentamente. Quanto tempo?
Dopo circa un’ora mi trovo sottobordo a un caccia inglese. Mi lanciano una cima, tento di issarmi, ma non riesco neanche a fare una flessione sulle braccia: mi avvolgono la cima attorno alla vita e sono issato a bordo>.