Una tradizione orale

LA FILASTROCCA

Un motivo degli adulti per istruire, a volte, i bambini divertendoli

di Piero Vinsper

La parola filastrocca deriva dal termine popolare toscano filastròccola; si comprendono sotto questo nome canzonette e formule cadenzate, recitate dai bambini o dagli adulti per quietare, addormentare e istruire, divertendo, i ragazzi.

Sono ordinariamente un’accozzaglia di sillabe, di parole, di frasi, che talvolta riproducono indefinitivamente lo stesso motivo; idee, parole e frasi che si seguono accostate dal caso più che dal nesso logico.

Il metro è breve, assonanzato o rimato, con ritmo celere. Vi predomina il gioco delle rime, che sono per lo più a coppia o al mezzo, e quello delle riprese della parola, che ne costituiscono la principale risorsa.

 

Genere affidato alla tradizione orale, è stato coltivato da diversi poeti, come il Burchiello, L. Leporeo, F. Redi, O. Guerrini.

Totorotò signor Tommasu

t’have piaciuto ‘u pane e lu casu?

La cipuddhra nu tti piace?

Totorotò signor Tommasu

Questo vale per i bambini schifiltosi nei cibi: mangiano certe cose altre no; non perché abbiano una certa predilezione per le une ma perché non hanno mai assaggiato le altre.

Lu casu ti fete a llu nasu

la ricotta nunn è cotta

lu sieru è de li cani

nun c’è nienti pe lli cristiani

Ed ecco che il genitore prende la palla al balzo e ammonisce: il formaggio ti puzza, la ricotta non è cotta, il siero è per i cani, non c’è niente per le persone. Perciò adàttati a ciò che passa il convento e mangia quello che ti si porge innanzi.

Quandu lu ciucciu facia lu cocu

cu llu culu fiatava lu focu

cu lli piedi stumpava lu sale

cu lla cuda scupava le scale

cu lla lingua llavava ‘a bbadella

viva lu ciucciu de Ciciriniella

Simpatico quest’asino che, oltre a svolgere la mansione di cuoco, si prodiga a mantenere viva la fiamma soffiando con il fondoschiena sul fuoco. E non solo: ce la mette tutta a rendere fino il sale pestandolo con gli zoccoli; mantiene pulita la scala scopandola con la coda; pulisce i rami leccandoli con la lingua. Veramente giudizioso quest’asino! E se tutti quanti quegli altri asini che sguazzano nelle mangiatoie del potere si comportassero in questa maniera, chi ci guadagnerebbe? Di certo non loro in quanto asini, ma le altre persone che asini non sono.

Comunque questo Ciciriniella doveva essere un personaggio molto noto al popolo se si canta ancora

Ciciriniella tenia nu cane

mozzacava le cristiane

mozzacava le caruse bbelle

viva lu cane de Ciciriniella

A volte accadeva che i genitori, per far divertire i bambini, li prendevano, li mettevano a sedere a cavalcioni sulle proprie ginocchia e dicevano

Sotta carrozza de miu cumpare

have nu vecchiu ca sape sunare

sape sunare lu vintiquatthru

una doi tthre e quatthru

Mi rumpisti lu menzu piattu

mi lu ccatti finu finu

schiatta e crepa malandhrinu

Lu menzu piattu è il piatto mezzano. In tempi remoti le famiglie povere non possedevano i tipi di piatti esistenti ai giorni d’oggi. Ci si adattava a mangiare tutti nello stesso piatto, sia in quello grande sia in quello menzanu. Anzi le mamme, per abituare i piccoli a prendere il cibo con il cucchiaio o con la forchetta dal piatto, intonavano questa cantilena: piattu crande, piattu menzanu vota l’occhi e fai cusì, mostrando loro come dovevano fare.

Mani manizzi mani manizzi

vene lu tata e nduce lu zzizzi

e llu mente susu ‘lla bbanca

vene la muscia e ssi lu rranca

isti isti de casa mia

Si prendevano le mani dei bambini e, recitando la filastrocca, si facevano, alternativamente, delle carezze sul proprio viso e su quello del ragazzo. Giunti all’isti isti de casa mia (via via da casa mia!) riferito alla gatta, si spingeva il fanciullo all’indietro e lo si solleticava, suscitando le sue sonore risate.

Oppi oppi cavallucciu

sciamu a Lecce cu llu papà

ni ccattamu nu bbeddhru ciucciu

oppi oppi cavallucciu

Muovendo le ginocchia in senso sussultorio si dà la sensazione al bambino che stia cavalcando: in breve tempo si giungerà a Lecce, si comprerà un asino e poi in fretta si ritornerà a casa.

Totu totalla

zzumpa ‘a palla

zzumpa ‘u pallone

‘u Totu miu

ede nu mmaccarrone

Tenendo il bambino per le manine, lo si fa saltellare simulando il rimbalzo della palla o del pallone e poi si finisce col dirgli che è uno stupido per certi suoi movimenti scomposti.

Zzumpa zzumpetta

Maria Lisabbetta

lu pede tisu tisu

e sciamu ‘n paravisu

Saltella, Maria Elisabetta, come una saltatrice, con i piedi dritti dritti e così andremo in paradiso. E già; in paradiso si va in punta di piedi, senza far rumore, leggeri, mondi da tutti i peccati terreni.

Era ‘na fiata ‘na muscia nchiata

se bbinchiau de simulata

se bbinchiau de simulone

o cc’è bbeddhru ‘stu malone

C’era una volta una gatta con la pancia gonfia, ben rotondetta, si era saziata di semolata, si era saziata di semolone. Quant’è bello questo mellone. Il mellone, naturalmente, era la pancia del bambino, la quale, alla fine del verso, veniva accarezzata e solleticata più volte.

Era ‘na vota ‘na malota

ca facia ci cchiù vota, ci cchiù vota

vo’ tti lu dicu ‘n’addhra vota?

C’era una volta uno scarafaggio che andava camminando su e giù, avanti e indietro, alla ricerca di qualcosa. Vuoi che te la racconti un’altra volta? A questa domanda il ragazzo annuiva sempre; di conseguenza la filastrocca veniva ripetuta tante volte sino alla noia.

Chiovi chiovi

l’acqua de li vovi

l’acqua de li geddhri

ni bbagnamu li piediceddhri

Quando nel periodo estivo cessava l’acquazzone ed una pioggerellina fine e sottile scendeva giù, potevi vedere frotte di bambini uscire dalle loro case e sguazzare nelle pozzanghere pestando l’acqua con violenza. Tutti insieme cantavano: “Piovi, piovi! L’acqua è buona per i buoi e per gli uccelli; noi intanto ci bagniamo i piedini”. Badate bene che l’ultimo verso poteva essere cambiato a seconda del- la loro inventiva. Se stavano mangiando un grappolo d’uva: ni mangiamu ‘st’acianieddhri, oppure: mòrenu i mìnchia e i povarieddhri, ecc.

Invece, durante le sere d’estate, quando la luna campanisciava, cioè splendeva alta, nel cielo, sentivi i ragazzini cantare

Luna luna

mènami ‘na cuddhrura

menamila cotta cotta

mi la mangiu cu lla ricotta

Cuddhrura è la focaccia, la ciambellina di pane, da non confondere con la cuddhrura pasquale, che è fatta di pasta frolla.

Ebbene, i ragazzini, con gli occhi rivolti alla luna, la pregavano che buttasse loro dal cielo una focaccina ben cotta, che poi, beata ingenuità ed illusione!, avrebbero mangiato con la ricotta.

La signura ttappata ‘n culu

ve alla chiesa e nnu tthrova pazzulu

torna a casa e nnu tthrova pane

la signura more de fame

Può sembrare una filastrocca irriverente nei confronti di chi da nobile e ricco è caduto a bbàscia furtuna. Questa nobildonna, trasandata e infagottata nel vestito, si reca in chiesa e non trova un posto su cui sedersi; ritorna a casa e non ha un tozzo di pane da mettere sotto ai denti e quindi muore di fame.

Ma il popolo qui si esprime in senso bonario, senza cattiveria alcuna; basti pensare a quel vecchio adagio è mmèju nu riccu a ‘mpovarire ca nu pòvaru a ‘rricchire.

Intelligenti pauca!