Un libro di gran pregio di mons. Antonio Antonaci

“GLI AFFRESCHI DI GALATINA”
SANTA CATERINA ANTE LITTERAM

di Maurizio Nocera

Da decenni sono socio dell’Aldus Club di Milano, l’Associazione Internazionale di Bibliofilia fondata da Mario Scognamiglio e presieduta prima da Leonardo Sciascia, poi da Umberto Eco, oggi da Gianni Cervetti. All’interno delle sue attività, mi sono dedicato ai caratteri tipografici e alla tipografia in generale, con una particolare predilezione per la tipografia pura e per quella d’arte. Da quando è nata l’arte della stampa, i grandi tipografi italiani sono stati: Aldo Manuzio (Bassiano, tra 1449 e 1452 – Venezia, 1515); Giambattista Bodoni (Saluzzo, 1740 – Parma, 1813); Alberto Tallone (Ber- gamo, 1898 – Alpignano, 1968); Giovanni Mardersteig (Weimar, 1892 – Verona, 1977); Franco Riva (Verona 1922-1981).

Con loro si può annoverare anche il milanese Luigi Maestri. Di lui, Attilio Rossi (Milano, 1909-1994) scrive:

«Se dovessimo tentare un ritratto analogico di Maestri e della sua opera di raffinato tipografo, di sibarita del bianco e nero, prenderemmo, come punto di partenza per meglio definire i tratti essenziali, una lettera del carattere “Garamond”, anzi una lettera maiuscola dove i canoni costruttivi sono più evidenti. […] Ebbene in questa scelta quasi esclusiva del carattere Garamond, in queste sue proporzioni, in questa sua euritmia ed eleganza l’osservatore attento potrà scoprire e gustare il segreto dei moduli spaziali con cui Maestri costruisce la sua bella e leggibile pagina, e quei suoi armoniosi frontespizi che suggeriscono, a riprova della loro perfezione, i punti essenziali con cui idealmente si costruisce il profilo perfetto di un’anfora./ Se poi con modulata pazienza continuerete ad osservare l’ottima stampa, la spaziatura meticolosamente e pazientemente perfezionata e la scelta oculata delle carte, forse riuscirete ad intravvedere quel tratto analogico di Luigi Maestri che promettevamo di tracciare all’inizio di queste righe» (v. Mostra di Luigi Maestri Tipografo. Opere stampate dal 1957 al 1967, Centro di Studi Grafici e Biblioteca Comunale di Milano – Palazzo Sormani, 1967, pp. 5-6).

Ancora una volta, sempre Attilio Rossi, in una sua brillante introduzione – Luigi Maestri Tipografo – alla Mostra “Mezzo secolo di Arte Tipografica” (Biblioteca Trivulziana, Milano 1992) scrive:

«Conosco Maestri da mezzo secolo, osservo il suo lavoro con trepidazione, stupore e qualche timore, nel vederlo perseguire la sua ideale vocazione in un generoso disordine che lo porta a collaborare spesso con poeti e artisti, illustri bibliofili, inquieti e spericolati editori, in imprese bellissime ma al limite del disastro economico. […] A settant’anni [quelli di Maestri], nelle stanze del suo Atelier del Libro, situato nel delizioso chiostro della Basilica del Carmine, fra pile di pagine di piombo, mentre termina di stampare sul suo torchio, Stanhope (1807), in cento esemplari l’edizione del Compendio delle stregonerie di Frate Francesco Maria Guaccio, Maestri si appresta, a distanza di quasi un trentennio dalla mostra del 1967 promossa dal Centro di Studi Grafici alla Civica Biblioteca Sormani, ad esporre i suoi lavori nella splendida Sala del tesoro della Biblioteca Trivulziana, con il patrocinio del Comune di Milano» (v. Op. cit., pp. 11 e 13).

Sul catalogo della mostra milanese del 1967-68, anche il critico d’arte Guido Ballo (1914-2010), intervenne scrivendo:

«quando si guarda – e si tocca, per la consistenza della carta – un’edizione di Bertieri, di Preda, di Mardersteig, di Tallone, o di Maestri, si prova una gioia particolare: non si ha più la sensazione di essere fuori dalla cultura innovativa e di subire la tradizione. […] La formazione di Maestri, a parte la familiarità, fin dagli inizi, con la tipografia paterna, avviene del resto attraverso l’insegnamento di Giulio Preda, il quale lo avvia a una pulizia grafica, a un ordine, che nascono da una chiara, coerente concezione morale più che estetica» (v. Op. cit., pp. 8-9).

Ed anche lui, intervenendo, con una seconda introduzione – La “pagina” di Luigi Maestri – sul catalogo della mostra citata del 1992, scrive:

«L’umiltà, che gli fa calibrare la pagina e il libro come prodotto di rigoroso artigianato, ha permesso del resto a Maestri di sviluppare un costume tipografico più personale, anche se in apparenza mai invadente o clamoroso. I risultati suscitano alla fine meraviglia» (v. Op. cit., pp. 15 e 16).

Conosco a memoria le opere stampate da Maestri in quei due cataloghi, ed in esse non ho scorto un solo libro salentino; si cita solo un libro pugliese, quello di Alfredo Giovine, Proverbi pugliesi, edito da Aldo Martello Editore ma «impaginato da Luigi Maestri, composto e stampato dalle Arti Grafiche Italo-Svizzere-Artis, Milano, MCMLXX». Per di più, in quei cataloghi non ho visto citato il libro galatinese di mons. Antonaci, e questo non è spiegabile. È da dire pure che fino a qualche tempo fa non esisteva nella mia mente l’idea che il grande tipografo puro e d’arte milanese avesse potuto stampare un libro di un nostro autore. Per me era grande la distanza tra la Milano tipografica degli anni ’60 e il Salento degli scrittori di quella stessa epoca. Mi sbagliavo. Perché, è accaduto che un giorno, contattato da Salvatore Coluccia e Giuseppe Serra, rispettivamente presidente e vicepresidente del Club Unesco di Galatina, mi venisse chiesto un consiglio su un libro di mons. Antonio Antonaci possibilmente da ristampare. Il volume in questione ha per titolo Gli affreschi di Galatina. Saggio di storia e Filosofia dell’arte.

Dato che Galatina – tra l’Ottocento e il Novecento – è la patria delle tipografie e degli editori salentini, ho chiesto loro chi fosse lo stampatore-editore, aspettandomi di avere come risposta o l’Editrice Salentina, o Panico, o l’editore Mario Congedo. Mi fu risposto: Luigi Maestri di Milano. Là per là mi venne spontaneo un sorrisetto. Quindi, ho chiesto di vederlo. Ma non solo i due Unesco me l’hanno fatto vedere, perché poi Giuseppe Serra, con un gesto di grande disponibilità, mi ha dato in prestito un esemplare del volume. A questo punto non credevo ai miei occhi, perché effettivamente il libro è firmato dallo stampatore-editore milanese con il colophon che recita:

 «finito di stampare dalla Maestri Arti Grafiche nel mese di dicembre MCMLXVI».

Francamente tutto mi sarei aspettato, ma non questo, cioè che un galatinese – mons. Antonaci – fosse riuscito a farsi stampare un libro da uno dei più grandi stampatori su torchio del Novecento.

Ed ecco ora lo stupendo volume Gli affreschi di Galatina, cartonato, formato mezzo folio (25 x 32), in copertina un’immagine a colori degli affreschi di Santa Caterina d’Alessandria, carta speciale priva di ossidanti, con un inchiostro nitidissimo e caratteri corsivi e normali Garamond, un frontespizio che respira classicità; l’impo- stazione della pagina segue i canoni pacioliani della misura aurea, mentre i testi dell’autore si alternano a stupende immagini storiche quando in bianco e nero quando a colori. Si tratta, vista l’epoca dell’edizione, di un unicum eccezionale, che dà oggi ampiamente idea di come erano gli affreschi a quel tempo e come sono oggi dopo il restauro.

Nell’incipit c’è una dedica dell’autore al «principe Alessandro Comneno d’Otranto, nella cui anima vibra la millenaria grandezza dei suoi Avi, e al cui mecenatismo si deve la presente pubblicazione; [all’]arcivescovo di Otranto, S. E. monsignor Gaetano Pollio, il quale affettuosamente mi ha incoraggiato e sostenuto nel “dubbioso calle” che ha portato alla realizzazione di un’opera che mi è tanto costata./ La mia riconoscente attenzione va anche al prof. Giacomo C. Bascapè, dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, e al bravo editore, dott. Luigi Maestri».

A presentare il prezioso volume è lo storico, paleografo e sigillografo Giacomo Carlo Bascapè (1902-1993) che dell’autore scrive:

«L’Antonaci esamina tali pitture ed istituisce un’attenta comparazione tipologica con altri affreschi del Salento; ne ricava constatazioni stilistiche ed apprezzamenti utili, che recano un contributo serio non solamente allo studio dell’argomento, ma in generale alla valutazione della pittura quattrocentesca pugliese. Egli vede nel fiorire della civiltà artistica di Galatina – che si manifesta in modo eccezionale nei dipinti citati – una singolare, viva ed efficace testimonianza dello svilupparsi del gusto, della cultura, della spiritualità del popolo salentino, dotato di una spiccata sensibilità che si potrebbe definire autoctona, nata in una zona felice del mondo classico, ove l’arte ed il pensiero greco si sono incontrati e fusi con quelli romani; il periodo bizantino ha tenuta viva la fiamma – mentre in altre aree d’Italia le invasioni barbariche cancellavano ogni luce – e gli ultimi splendori del Medio Evo e l’inizio del Rinascimento hanno  trovato qui un terreno fertile e un ambiente preparato./ Devo infine notare che l’Autore, oltre ad esaminare le pitture in sé, sotto l’aspetto formale, stilistico, compositivo, ha tentato di delineare il fervore spirituale, il clima culturale ed artistico in cui quelle opere sono nate e l’ambiente che le ha godute ed apprezzate, come monumenti di fede e di bellezza; insomma egli ha delineato un profilo di filosofia dell’arte della sua terra./ E questa è una novità, degna di plauso».

Infine della sua opera, «che gli è tanto costata», Antonio Antonaci scrive:

«studiando l’iter architettonico e specialmente pittorico (noi ci fermeremo sul secondo) della chiesa cateriniana di Galatina, si può avere una guida ampia e maestra per seguire gli sviluppi della storia e della civiltà salentina: poiché l’Arte – e come! – costituisce un materiale fecondo per stabilire le determinazioni sociali d’un popolo e quindi formulare una sociologia della conoscenza. Ecco perché Cosimo De Giorgi, ne La Provincia di Lecce, II, 1884, scriveva: “tutta la storia dell’arte e della civiltà di Galatina si potrebbe dire che si compendia nel tempio di S. Caterina” (p. 240)» (v. Op. cit., p. 4).