I FRATI MINORI
nel Convento S.Caterina di Galatina dal 1581 al 1710
di Pietro CONGEDO
Giovanni Battista Moles da Bari nella sua “Relatio Minoritica” (1664) ha scritto che il conte Raimondello del Balzo Orsini non solo fondò la chiesa e il convento S.Caterina, ma “fecit etiam amplam bibliothecam”. Quindi risalirebbe addirittura alla fine del XIV secolo la fondazione della biblioteca che i Frati Minori Osservanti arricchirono poi notevolmente, ritenendola strumento indispensabile alla propria formazione culturale e spirituale.
Un importante contributo per tale arricchimento fu dato nella prima metà del ‘400 dal frate minore galatinese Giovanni Barella o Barlà[1], che con testamento del 31 maggio 1423 assegnò tutti i libri manoscritti della propria biblioteca privata al convento S. Caterina di Galatina.
La Vicaria Cismontana della Regolare Osservanza assegnò nella seconda metà del ‘400 alla casa religiosa galatinese numerosi incunaboli.
Ma il principale mecenate della suddetta dotazione libraria fu fra Lorenzo Mongiò, che negli anni in cui fu Ministro Provinciale dell’Ordine ( dal 1581 al 1584 e dal 1591 al 1595) arricchì la stessa di un così elevato numero di libri su vari argomenti, provenienti da diverse parti del mondo, che fra Diego Tafuro da Lequile nel 1647 affermava: “…Bibliotheca nostra a prefato Episcopo Mongioio erecta precipua est”. In altri termini considerava il Mongiò vero fondatore della raccolta libraria.
Nel Codice lat. 11268 della Biblioteca Apostolica Vaticana, compilato nel corso di un’indagine disposta dalla S. Congregazione dell’Indice tra il 1598 e il 1603, sono riportati gli elenchi dei libri esistenti nelle biblioteche di 14 conventi della Provincia Minoritica Pugliese, i quali occupano 134 facciate di foglio manoscritto. Di queste 32 (cioè il 24%) riguardano esclusivamente la biblioteca del Convento S.Caterina, che era dunque la più dotata.
Nel 1600 fra Pietro da Galatina fece effettuare un inventario dei libri, e detta biblioteca risultò avere 460 volumi, dei quali 60 erano incunaboli. Di questi ultimi soltanto 13 sono attualmente conservati nella biblioteca “P.Siciliani” di Galatina, alla quale sono pervenuti dopo la soppressione degli Ordini Religiosi, decretata nel 1866 dal governo del Regno d’Italia.
Alla fine del ‘500 la Regolare Osservanza Francescana aveva raggiunto il suo massimo splendore: la reggevano capaci Ministri, possedeva fiorenti case di studio ed esprimeva religiosi colti e dalla vita esemplare. Tuttavia erano numerosi i Frati che sentivano l’esigenza di una più rigida interpretazione della Regola, cioè avevano un forte desiderio di rifarsi alle origini del Francescanesimo e, quindi, erano bramosi “di povertà, di solitudine, di ritiro”. Costoro erano in costante aumento nei primi decenni del XVI secolo e nel 1519 ottennero dal Ministro Generale Francesco Licchetto “costituzioni al vivere riformato…poste in esecuzione dal venerabile fra Stefano Molina nel Convento S. Francesco di Fonte Colombo, nella Valle di Rieti” (v. P. B. da Lama, Cronica de’ Minori Osservanti…, Lecce, 1723). Dal Lazio la Serafica Riforma si andò diffondendo in altre regioni d’Italia e arrivò in Puglia per iniziativa del venerabile Fra Lodovico Galatino che, “…zelantissimo della S. Povertà e uomo di altissima contemplazione”(v. Da Lama, o. c.) aveva ottenuto da papa Sisto V la facoltà di stabilirsi nel Convento di S.Maria del Casale di Brindisi e vivere “in continua mortificazione del corpo”. L’esempio fu seguito da numerosi altri Frati, che andarono ad occupare altri conventi messi a disposizione dai Ministri Provinciali. Fu, quindi, istituita una Custodia pugliese della Serafica Riforma e il primo Custode fu il sopraccitato fra Pietro da Galatina, che “…tradusse tanto in pratica il voto di povertà e si adeguò con tanto entusiasmo a S.Francesco d’Assisi, che nella sua vita si accontentò d’indossare un solo abito consunto e rattoppato”(v. P. Diego da Lequile, Relatio Historica, VII, 1647, p. 164).
Nel Convento S.Maria del Tempio di Lecce, concesso ai Riformati dal Ministro Provinciale fra Lorenzo Mongiò, fu istituito un Noviziato, nel quale è verosimile che abbia prestato la sua opera il galatinese fra Giovanni Battista Gatto, che era un maestro capace di formare i Frati della Serafica Riforma, “adoperando una metodologia strutturata nella prassi. Egli insegnava la penitenza ai suoi novizi, disciplinandosi quotidianamente a mangiare solo un poco di pane, li ammaestrava all’umiltà facendosi calpestare; li istruiva ad amare il Crocifisso, meditando sul significato delle sue piaghe”(v. B. F. Perrone, Storia della Serafica Riforma…, vol. I, Bari, p. 58).
Molto favorevole alla Serafica Riforma fu Clemente VIII, eletto papa nel 1592 e seriamente impegnato nella riforma della Chiesa promossa dal Concilio di Trento (1515-1563). Egli nominò per le Province dell’Osservanza Francescana quattro Visitatori Apostolici con ampia potestà di scegliere i conventi da assegnare ai Frati Riformati. A questi il Visitatore fra Giovanni Maria da Palermo assegnò nel 1597 il convento Santa Caterina di Galatina, insieme alle case religiose francescane di Taranto e Gallipoli.
Quindi anche la S. Sede intervenne a favore della Serafica Riforma di Puglia nel clima della Riforma Cattolica. D’altronde i Padri conciliari con le ammonizioni relative agli Ordini monastici, decise nella XXV sessione, intendevano proprio inculcare il ritorno alla perfezione evangelica con l’osservanza dei voti di obbedienza, di povertà e di castità.
Nel 1599 il Capitolo Provinciale, riunito a Gravina, elesse Custode dei Riformati fra Aloisio da Galatina, il quale riuscì ad ottenere per i suoi confratelli il Convento di S. Antonio di Nardò, dove nel 1623 morì fra Giovanni da Galatina, che “… avanzava tutti i suoi pari nella facondia e nella vivacità ed era così dotto nella S. Scrittura e nella dottrina dei Padri della Chiesa, che senza prepararsi era in grado di trattare qualunque argomento gli si proponesse…”(v. B. da Lama, o. c.).
Nel 1646 nella Provincia Pugliese di S.Nicolò i Frati della Serafica Riforma erano 470 distribuiti in 28 conventi. Quello galatinese di S.Caterina ospitava 17 religiosi, fra i quali fra Paolo Micheli, nato a Sogliano nel 1589, lettore di teologia morale, a ricordo del quale sulla parete della navata destra della Chiesa S.Caterina c’è un’epigrafe in latino, il cui testo tradotto in italiano è il seguente:
“ A Dio Ottimo Massimo / Il venerabile Servo di Dio P. fra Paolo Micheli, soglianese, dell’Ordine dei Minori Riformati di S.Francesco, seguendo le illustri orme del proprio zio paterno fra Tommaso da Sogliano, il quale fu presente fra i teologi del Concilio di Trento e fu Ministro della Provincia di Bologna, emulandolo nella dottrina, superandolo in religiosità, morì insigne e famoso per i miracoli nell’anno del Signore 1657 all’età di 68 anni. Le sue ossa, a lungo seppellite in luogo solitario, Pasquale Micheli della stessa famiglia, con l’autorità e la partecipazione dell’ Arcivescovo di Otranto, fra Andrea Mansi, davanti alle autorità civili e a scelti testimoni, con devozione e grande affluenza di questa cittadinanza, curò che fossero seppellite in luogo più decoroso nell’anno 1828.”
Dopo il passaggio dall’Osservanza alla Serafica Riforma, la Comunità francescana di Galatina desistette in maniera definitiva dal rivendicare l’annuale assegnazione da parte dei monaci olivetani sia dell’elemosina per il proprio sostentamento che del contributo necessario per l’esercizio e la manutenzione del tempio cateriniano. Intanto il maggiore rispetto della regola di S.Francesco e l’evidente santità di alcuni Frati assicuravano a detta Comunità una sempre maggiore stima, se non addirittura la venerazione, da parte dei galatinesi.
Intorno al 1620, cioè nel periodo in cui i FF. Riformati adeguavano i loro studi provinciali alle norme del Concilio di Trento, il convento S.Caterina divenne sede provinciale di studi umanistici e la ricca biblioteca fu ottimo sussidio per lettori e studenti.
Sessanta e più anni dopo essere venuti a Galatina (cioè intorno al 1657) i FF. Riformati demolirono l’antico convento orsiniano, che sorgeva unito all’edificio dell’Ospedale (sede attuale del Municipio), ma staccato dalla Chiesa, dalla quale poteva essere raggiunto attraverso l’antica sagrestia, ubicata sul lato nord. Esso aveva un grande chiostro dotato di poligonali colonne marmoree, sormontate da artistici capitelli. Non fu abbattuto soltanto il grande refettorio, adibito ora a sala-museo.
Non si conosce il vero motivo per cui i Frati demolirono un tale monumento d’indiscutibile valore storico e artistico. E’ poco plausibile che ciò sia accaduto in quanto l’edificio era angusto e/o fatiscente. Infatti solo qualche decennio prima lo stesso era stato sede di studentato e quel che ne rimane (il refettorio) ha la stessa solidità muraria della chiesa. E’ invece probabile che i monaci, non comprendendo il valore della trecentesca dimora, abbiano deciso di sostituirla con altra di proprio gusto, incoraggiati dal fatto che numerosi benefattori galatinesi erano disposti a finanziarne la costruzione con generose offerte.
Il nuovo convento, tuttora esistente, è stato edificato completamente staccato dall’edificio dell’Ospedale sul lato nord e addossato alla chiesa sul lato sud. Al piano terra, secondo lo schema comunemente adottato nelle costruzioni francescane, c’è un quadriportico con cinque archi su ogni lato, sostenuti da robuste colonne in muratura. Dagli ambulacri del quadriportico si accede all’ex refettorio e in alcuni locali destinati a vari usi. Nel piano superiore da ampi corridoi si accede alle celle dei frati e ad altri ampi locali, tra cui la grande sala della biblioteca.
La nuova Casa minoritica di Galatina, che era fra le più grandi della Puglia, tra la fine del ‘600 e i primi decenni del ‘700 divenne sede di un piccolo centro teologico, nel quale insegnò anche fra Tommaso da Taranto, che dal settembre 1709 al febbraio 1710, vi dettò il “Tractatus insignis de visione beatifica et ultimo fine”, attualmente conservato nella Biblioteca Civica di Nardò.
[1] Alessandro Tommaso Arcudi nella sua opera “Galatina letterata”(ed. Genova, 1709, pp. 43-44) afferma che il frate minorita galatinese Giovanni Barella o Barlà , sommo teologo e famoso predicatore, fu nel 1424 nominato da papa Martino V vescovo di Nardò, come successore di “Giovanni Epifanio,ultimo abate e primo vescovo di quella Città”.
Aggiunge: “…Morì Giovanni nel 1434 come si cava dall’inventario di suoi libri, lasciati nel …Monastero di S. Caterina, fatto dal P. F. Andrea di Calabria Custode, nel quale… si scrive: Libri fuere Fr. Jaonnis Barella de S. Petro Neritonensis Episcopi.”
[1] Alessandro Tommaso Arcudi nella sua opera “Galatina letterata”(ed. Genova, 1709, pp. 43-44) afferma che il frate minorita galatinese Giovanni Barella o Barlà , sommo teologo e famoso predicatore, fu nel 1424 nominato da papa Martino V vescovo di Nardò, come successore di “Giovanni Epifanio,ultimo abate e primo vescovo di quella Città”.
Aggiunge: “…Morì Giovanni nel 1434 come si cava dall’inventario di suoi libri, lasciati nel …Monastero di S. Caterina, fatto dal P. F. Andrea di Calabria Custode, nel quale… si scrive: Libri fuere Fr. Jaonnis Barella de S. Petro Neritonensis Episcopi.”