Galatina si contraddistingue ed è apprezzata oggi, rispetto ad altri paesi della provincia di Lecce, anche per l’arte gastronomica e pasticcera in particolare, ma la sua storia, in vero, è poco nota ed anzi andrebbe, a mio avviso, maggiormente valorizzata e propagandata.
Avendo avuto modo di conoscere, al di là dei confini della provincia di Lecce e della nostra regione, offerte di prodotti di pasticceria di gran lunga più modeste e meno raffinate, da sempre mi sono chiesto da dove derivino determinati articoli di pasticceria galatinese, data la notevole varietà, squisitezza e qualità che li caratterizza. Chi ha iniziato a produrli e a quando risalgono?
Prima di rispondere a queste domande, occorre comprendere che le attività dedicate a questo specifico settore artigianale in Galatina sono frutto di un lento progresso, dovuto a numerosi contributi umani ovvero a un susseguirsi di iniziative commerciali, che trovano ragione non solo nell’evoluzione economica e sociale del territorio, ma anche in sempre nuove esigenze di consumo motivate da un graduale apporto di esperienze, di prodotti, di conoscenze e di tecniche.
La storia della pasticceria, intesa come impresa artigiana, evolve a Galatina da altri esercizi commerciali. Tra questi le spezierie, che inizialmente smerciavano, oltre ai medicamenti a base di sostanze naturali1, anche erbe aromatiche per alimenti e spezie2, adatte a preservare, aromatizzare e insaporire cibi e infusi. Successivamente sono comparse le caffetterie, che hanno iniziato a disporre servizi per la consumazione di vari tipi di bevande da abbinare in alcuni casi a cibi dolci.
Quali simbolo del lusso, le spezie furono in principio un elemento di distinzione nel costume delle classi nobili europee, sia laiche sia religiose, e venivano impiegate nella produzione, anche in casa, perfino di alcuni tipi di dolci3. Tuttavia, nel ‘700 l’utilizzo delle spezie comincia a decadere cedendo il passo all’aumento impetuoso del consumo di caffé, tè e cioccolato. Sul finire del ‘600 le caffetterie si diffondono dapprima a Londra, poi a Parigi. Molte di esse servono, oltre a caffè, cioccolata, tè e altre tisane, anche sorbetti, liquori aromatici e una serie di accompagnamenti, tra cui: biscotti, paste secche, piccole paste salate e dolcetti. Particolari, tutti questi, da farle già apparire precorritrici dei più recenti caffè-pasticcerie4. All’inizio del ‘700 le caffetterie cominciano a svilupparsi anche nelle città più importanti d’Italia.
Ai più non è noto5, ma Lecce potrebbe vantare il primato, rispetto alle altre province italiane, delle botteghe dedicate esclusivamente alla pasticceria. Nel 1755, infatti, nel nostro capoluogo di provincia troviamo già documentate sia la figura del «pastecciere» sia la «bottega per uso della sua arte», ossia dei negozi dedicati alla produzione artigianale e alla vendita al pubblico di articoli di pasticceria.6
La prerogativa commerciale del pasticcere leccese lo fa apparire come una figura professionale ben definita, distinta da quella del cuoco, che in genere fino ad allora ne includeva le competenze dovendo realizzare pietanze dolci nell’ambito di una più ampia gamma di preparazioni gastronomiche, quando era al servizio delle grandi corti reali europee, delle case aristocratiche e degli alti prelati.
Non conosciamo l’assortimento di prodotti di pasticceria dell’epoca a Lecce né tantomeno come lì possa aver avuto origine quest’arte. A Galatina, invece, troviamo alcune tracce della sua evoluzione, che tuttavia segue un percorso del tutto autonomo. Lo sviluppo commerciale di un centro come Galatina viaggia in ritardo rispetto a Lecce e alle grandi città italiane. A metà ‘700 si ha notizia della presenza dello speziale di medicina7, che altrove viene detto semplicemente speziale. Non conosciamo la varietà di merci trattate dalle spezierie galatinesi, ma è possibile che a un certo punto anch’esse abbiano trattato caffé, tè e cacao, poiché queste materie prime continueranno a essere importate dagli stessi rifornitori del mercato di spezie e vendute al dettaglio dagli speziali.8
Sta di fatto che, sul finire del secolo, a Galatina, oltre alle «speziarie manuali ben provviste di ogni sorte di medicamenti», si erano già costituite «caffettarie al numero di sei, altrettante botteghe di surbetto e gelati, venti botteghe di botteglierie di diverse specie de’ liguori dette trattorie». Questo è quanto attestato dal Procuratore fiscale della Regia Udienza di Lecce Pasquale dell’Acqua, allorquando espresse, in una relazione del 24 dicembre 1792, il proprio parere favorevole circa il conferimento del titolo di ‘città’ all’università di S. Pietro in Galatina per il progresso raggiunto.9 Dunque, la caffetteria sembra ancora distinguersi dalle attività di produzione e vendita di sorbetti e liquori, che tuttavia ben presto rientreranno tra i servizi normalmente offerti da alcuni caffè.
Purtroppo, nella relazione del 1792 non compaiono nominativi legati alle attività commerciali elencate. Tuttavia, scopriamo che nel 1807 a Galatina esisteva una Bottega di Caffè appartenente a D. Giuseppe Miglietta abitante in Lecce. Negli anni dal 1810 al 1814 troviamo addirittura anche i nomi di alcuni caffettieri, che in effetti potrebbero essere gli eredi o i successori dei proprietari o gestori delle caffetterie censite circa un ventennio prima: Giuseppe Chiriatti, Antonio Mattei, Giuseppe Tomaso Greco, caffettiere senza giovane, e Donato Cioffi, confermato caffettiere anche nel 1825.10
Tra le altre attività lavorative dei galatinesi compatibili con l’evoluzione della caffetteria troviamo, nel 1810, vari venditori di liquori e di acquavite, fino ad allora impiegati nelle ‘trattorie’. Tra questi, va menzionato Vincenzo Ascalone (Scalone, in origine)11, acquavitaro, progenitore in Galatina della famiglia omonima, della quale alcuni rami daranno vita a varie imprese commerciali12, inclusa l’attuale celebre Pasticceria sita in Galatina, in via Vittorio Emanuele II.
Vincenzo Scalone, originario di Galatone13, ricomparirà in altri documenti con questo stesso mestiere, perfino alla sua morte14. L’attività di acquavitaro in genere non prevedeva solo la vendita, ma anche la produzione di acquavite, ottenuta dalla distillazione delle vinacce. Quella di Vincenzo Scalone, perciò, potrebbe essere legata sin dal principio alla produzione vinicola dei Mezio, proprietari di un vigneto di 12.000 m2 («orte dodeci di vigne») tra Galatina e Galatone, presso contrada «allo Tardio in feudo di Tabelluccia» e di «Botteghe sette, site sotto le case, nella Piazza [S. Pietro], e nelle concie…»15.
Verosimilmente, nella medesima bottega, presso Palazzo Mezio, è evoluta l’offerta commerciale della famiglia Ascalone. Peraltro, nell’atto di matrimonio (7 giugno 1830) del figlio Francesco Ascalone, caffettiere, anche l’oramai defunto Vincenzo Scalone verrà definito caffettiere, ma questa interpretazione del compilatore probabilmente denota il riconoscimento di un nesso tra i due tipi di attività oltre al possesso della medesima bottega. Questo nesso, però, ha avuto origine oltre dieci anni prima, poiché Giovanni Andrea Scalone, un altro figlio di Vincenzo, svolse per primo l’attività di caffettiere, come risulta dall’atto del suo secondo matrimonio (10 marzo 1820)16, a meno di quattro anni dalla scomparsa del padre.
L’insieme delle notizie conferma, quindi, il nesso tra l’attività di vendita di liquori e l’esercizio della caffetteria, suggerendo come in Galatina ha iniziato a realizzarsi, ampliando la gamma dei servizi offerti al pubblico. Anche altri commercianti di liquori17 potrebbero aver avuto, in questo senso, un ruolo nell’evoluzione delle caffetterie galatinesi, ma finora ciò è stato possibile ipotizzarlo soltanto per la famiglia Ascalone, la cui Impresa vanta una lunga vita nell’esercizio del commercio e nella pratica artigianale, avendo lasciato perciò, tra una generazione e l’altra, numerose tracce documentali.
Nella seconda metà dell’800, se non prima, la caffetteria evolverà ulteriormente, aggiungendo finalmente la pratica artigianale pasticcera. Infatti, apprendiamo che Giovanni Andrea Ascalone tramandò l’attività al figlio Felice18, il quale avviò ufficialmente19 la propria ditta di «Pasticceria Caffè e affini» nel 1860, come si evince dalla dichiarazione (CCIAA, fascicolo n. 5302, 1882) rilasciata dal figlio Andrea20, subentrato al padre, postumo, quale titolare erede dell’impresa “Ascalone Felice”, che ora si chiamerà “Andrea Ascalone fu Felice”.21
La ditta “Ascalone Felice”, quindi, abbinò la pratica pasticciera alla caffetteria, peraltro con risultati degni di nota, come si desume da una lettera (Bologna, 21 aprile 1873) di Cesira Pozzolini Siciliani a Luigi Mezio in cui leggiamo: «Gentiliss.mo Don Luigi, Ieri ricevemmo la cara sua e la cassetta de’ torroni e il caratello del suo eccellentissimo vino. […] Ieri subito a tavola assaggiammo gli ottimi torroni e a Piero parve riconoscer la mano di Felice Ascalone, celebre ormai pe’ suoi dolci squisiti.»22
Da questi brevi indizi possiamo dedurre che Felice Ascalone si fosse specializzato da poco («celebre ormai pe’…») nei dolci e che non fosse nemmeno l’unico a produrne («parve riconoscer la mano di…») per fini commerciali.
Infatti, altri caffettieri coevi sono rintracciabili nelle carte dello Stato civile, alcuni dei quali potrebbero aver adottato, come Felice Ascalone, la stessa pratica artigianale, mentre altri solevano acquistare all’ingrosso alcuni prodotti di pasticceria o di cioccolateria per poi rivenderli. Alcuni nomi di caffettieri ne ho individuati negli atti di matrimonio tra il 1858 e il 1866 e sono: Pietro Luceri (1858), Tommaso Luceri (1859), Luigi Cafaro (1860, 1862), Luigi Cesari (1860, 1862), Beniamino de Benedictis (1861), Vincenzo Segreto (1861), Saverio Contaldo (1862), Carlo di Pietro Toma (1862), Cesario Bernardi (1863), Giuseppe Toma (1863), Luigi Luceri (1864), Salvatore Antonica (1866).
Sicuramente ve ne furono degli altri sia prima sia dopo e fino alla fine del secolo. Ad esempio, un inserto pubblicitario del 1890, nella rivista “La Provincia cattolica di Terra d’Otranto”, testimonia l’esistenza del Caffè Lombardo, ubicato presso Palazzo Andriani, in via Giuseppe Lillo, 53. Trattava: «Liquori esteri e Nazionali. Paste al burro – Confetture squisitissime – Chocolat».23
Quali altri erano, nell’800, i dolci e i prodotti di pasticceria a Galatina e da dove derivano?
di Alessandro Massaro
NOTE:
1. Gli speziali certamente sapevano preparare dei complessi prodotti ‘galenici’, ben conoscendo anche gli antichi rimedi popolari e le azioni farmacologiche o terapeutiche di vegetali reperibili sul territorio, quali: rosmarino, camomilla, menta, finocchio, salvia, sambuco, malva, aglio, cipolla, ortica, arancio, scilla marittima, papavero, segale cornuta, alloro, anice, asparago, ecc..
2. Le spezie sono state una componente essenziale e dal forte significato simbolico in molti ricettari antichi. Tra queste: pepe, cumino, ruta, radice di laser, asafetida, ligustico, origano, timo, santoreggia, prezzemolo, coriandolo, zenzero, mentuccia, zafferano, costo, cardamomo, malabatro. Alcune di esse erano note anche per le loro proprietà curative e benefiche.
3. Dai ricettari antichi si rileva come alcune spezie venissero impiegate nella preparazione di alimenti prevalentemente dolci, ben prima dell’introduzione dello zucchero di canna in Europa, ossia in ricette contenenti anche ingredienti quali: miele, mosto d’uva, mandorle, pinoli, datteri, uva passa. Cfr. Francesco Antinucci, Spezie, una storia di scoperte, avidità e lusso, Laterza, 2014, p. 17 ss.
4. Ivi, p. 134 ss.
5. Stranamente è sfuggito a Nicola Vacca, il quale non ha riportato l’arte del pastecciere in Professioni e mestieri a Lecce nel 1700, estratto (pp. 196-201), in Rinascenza Salentina, 4, 1933.
6. A.S.L., Scritture delle Università e Feudi (poi Comuni) di Terra d’Otranto, Serie III – Catasti onciari, Catasto onciario di Lecce, (1755). Personalmente, ho scoperto che nella «Publica piazza», cioè l’attuale Piazza S. Oronzo, ben quattro pasticceri possedevano una bottega artigianale: Nicola Galasso «Pastecciere» di anni 60 (vol. III, c. 228), Felice Colaggiuri «Pastecciere» di anni 52 (vol. II, c. 539), Oronzio Dell’Anna «Pastecciero» di anni 45 (vol. III, c. 314), Carmine Tornesello «Pastecciere» di anni 35 (vol. I, c. 218). Altri due pasticceri erano degli apprendisti o collaboratori: Gioacchino Santoro «discepolo di Pastecciere» di anni 22 (vol. III, c. 1034) e Ottavio Quarta «Giovine di Pastecciero» anni 17 (vol. III, c. 233). Per avere un termine di paragone a livello europeo, si pensi che la fondazione della Pâtisserie Stohrer, a Parigi, si fa risalire al 1730, all’iniziativa del celebre omonimo pasticcere. Tuttavia, senza voler mettere in dubbio l’effettiva storia di tale attività, se si considera l’età del più anziano dei pasticceri leccesi, Nicola Galasso potrebbe aver iniziato a svolgere la propria attività ben prima di Nicolas Stohrer. Eppure, d’altra parte, alcuni dei pasticceri leccesi potrebbero persino aver ereditato l’attività. Non si ha notizia, per ora, di pasticcerie italiane più antiche di quelle leccesi, tutt’al più di caffetterie.
7. Si tratta di Nicola Sicuro, «di anni 50», cui vengono addebitati, «per il frutto che può dare ogni anno la speziaria, ducati cento venti» e Domenico Antonio Cesari, «di anni 33», fratello del dottor fisico Saverio Cesari, che possiede «una bottega per proprio uso di speziaria». A.S.L., Scritture delle Università e Feudi (poi Comuni) di Terra d’Otranto – Catasti onciari, Catasto onciario di Galatina (1754), cc. 388v, 502r.
8. F. Antinucci, Op. cit., p. 143. A metà Settecento, te, caffè e cacao divengono la merce fondamentale di tutte le diverse Compagnie delle Indie, praticando le medesime rotte commerciali di altre spezie, note agli speziali anche per le rispettive proprietà farmacologiche e benefiche, come quelle provenienti dalle colonie olandesi in India e Indonesia, ossia: il pepe, la cannella, il chiodo di garofano, le noci moscate e il macis.
9. Cfr. Baldassar Papadia, Memorie storiche della città di Galatina nella Japigia, Giancarlo Vallone (a cura di), Congedo Ed., Galatina, 1984, pp. XXVI (nota 47), LV ss.
10. A.S.L., Direzione delle Contribuzioni Dirette (D.C.D.) – Stati di Sezione e Stati di Sezione rettificati, contribuzione fondiaria dei comuni della provincia di Terra d’Otranto, Fascio 8/71 Galatina – Distretto di Lecce, 1807. D.C.D. – Contribuzione personale: Matrici dei ruoli e stato dei patentabili, Fascio 46/30 Galatina – Distr. di Lecce, aa. 1810-1815. D.C.D. – Giornali di mutazione di quota, Fascio 56/B, 43 Galatina ed aggregato di Noha – Distr. di Lecce, 1825.
11. Il padre di Vincenzo si chiamava Oronzo Scalone. Dall’atto di matrimonio (6/6/1751), contratto a Galatone con Rosaria (Rosalia) Brandolino figlia di Vito e Caterina de Ferraris, risulta che fosse vedovo e che provenisse da Lecce. Cfr. Archivio storico parrocchiale della chiesa di Maria Ss. Assunta di Galatone, Libro dei matrimoni n. VII. Probabilmente si tratta dello stesso Oronzio Scalone, fornaio di 35 anni, che si trova registrato nel Catasto onciario di Lecce (cit.), vol. III, c. 319., coniugato con «Apollonia de Tullie» e con due figli. La forma ortografica ‘Ascalone’ compare per la prima volta a Galatina, nel 1798, nell’atto di battesimo di Francesco figlio di Vincenzo e Francesca Lupo. Da questo momento in poi, il cognome Ascalone verrà adottato da ogni altro esponente della stessa stirpe e talvolta connoterà anche coloro i quali avevano già acquisito il cognome ‘Scalone’.
12. Tra queste, ricordiamo in particolare l’albergo-ristorante “Pietro e fratello” a Santa Cesarea Terme, di Pietro e Vincenzo Ascalone entrambi figli di Salvatore (nato a Carpignano Salentino), che avviò l’impresa nel 1862 (dichiarazione di cui al fascicolo CCIAA n. 16076, 1934), e di Lucia Marra. Alla morte di Pietro (31/8/1957) l’impresa cesserà la sua attività e Vincenzo andrà a gestire una pasticceria a Maglie, di fronte a Piazza Municipio. Maria Addolorata Ascalone, loro sorella, fu moglie di Andrea Ascalone (figlio di Felice), titolare (1882-1939) della omonima pasticceria galatinese.
13. Vincenzo Scalone sposa a Galatina Francesca Lupo il 13/1/1787. La provenienza da Galatone è attestata sia nell’atto di matrimonio sia nell’atto di battesimo (24/3/1790) del figlio Oronzo Felice Lorenzo Scalone. Cfr. Archivio storico parrocchiale della chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Galatina, Libri canonici. A conferma di tali indizi, rileviamo che Vito Vincenzo Scalone 1è nato a Galatone il 27/6/1762. Cfr. Archivio storico parrocchiale di Galatone (cit.), Libro dei battezzati n. XVI.
14. Nell’atto di morte (27/7/1816) di Vincenzo Scalone si legge: «figlio delli quondam Oronzo Ascalone, e Rosaria Mega [Brandolino], di professione contadini, domiciliato in questa Galatina, di anni cinquanta, di professione Acquavitaro». A.S.L., Stato civile Galatina, Registro dei morti, 1816, nr. d’ordine 114. È Acquavitaro anche negli anni: 1810, 1812 (vende «Acquavita a minuto, in bottega»), 1813 e 1814. Nel 1811 è «Liquorista a minuto, in bottega».
15. Catasto onciario di Galatina cit., c. 177r/v.
16. Giovanni Andrea Innocenzo Maria Scalone (n. 27/12/1793, †4/2/1858), sposa Carmina (Carmela) Sabella; nell’atto di matrimonio si legge: «[…] sono comparsi nella casa comunale Giov: Andrea Scalone, vedovo di Margherita Stefanachi, di anni ventisei nato in questo Comune [di Galatina] di professione caffettiere, domiciliato ivi, figlio del defunto Vincenzo Scalone».
17. Gli acquavitari che compaiono nel fascicolo del 1810 in Galatina sono: Pietro Duma, Francesco Greco, Vincenzo Romano, Giovanni Domenico Romano, Nicola Palumbo. Altri si aggiungono nella Matrice di ruolo del 1813: Giorgio De Molizza, Antonio Maffei, Francesco Tornese e gli eredi di Nicola Romano. Acquavitari più antichi si trovano nel Catasto onciario di Galatina (1754) cit., e sono: Francesco Moro, di anni 56 (c. 194r) e Donato Costantino, di anni 53 (c. 114r).
18. Felice Ascalone nacque a Galatina il 12/1/1821. Sposò Filomena Mengoli il 14/11/1858.
19. Presumo che l’indicazione fornita da Andrea Ascalone sia stata approssimativa, poiché il padre di Felice è deceduto nel 1858, lasciando nel contempo l’attività in eredità al figlio, come spesso avveniva.
20. Andrea Ascalone nacque a Galatina il 7/07/1865 da Felice e Filomena Mengoli. Sposerà Maria Addolorata Ascalone (n. 20/04/1875) fu Salvatore. Alla sua morte l’attività cessa (3/1/1939) e il negozio viene dapprima ereditato dalla moglie per testamento (1937) e poi acquistato nel 1939 dalla figlia Filomena, la quale, dopo aver recuperato nuovamente l’esercizio (osteria) da Bisanelli Alberto fu Vittorio nel 1950 e, modificate le finalità dello stesso, condurrà il Bar-pasticceria, assieme alla sorella Lucia. La cederà il 09/12/1981 (notizie tratte dai fascicoli CCIAA, Registro delle imprese, n. 41604 del 27/7/1950 e n. 41710 del 2/2/1952) e verrà quindi acquisita dal nipote Andrea, figlio del fratello Salvatore (“patronu Totu”), ossia il celebre pasticcere recentemente scomparso.
21. Si tratta della più antica attestazione storica disponibile riguardante questa impresa, poiché la Camera di Commercio di Lecce non dispone di documenti precedenti la propria istituzione (R. D. n. 829 del 16/10/1862).
22. Rosamaria Dell’Erba (articolo di), Lettera da Cesira Pozzolini Siciliani a Luigi Mezio, in «Il filo di Aracne», anno IX (2014), n.4, settembre-ottobre, pp. 22-23.
23. Informazioni fornite da Clelia Antonica il 19/3/2018 nel gruppo Facebook: GALATINArte storia folklore e natura di Rita Marra.